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19/7/2016

Artemisia Gentileschi: un'icona oltre il pregiudizio

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di Ilaria Ceragioli

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Per molto tempo la pittura è stata una disciplina concessa esclusivamente ad individui di sesso maschile. Alle donne era negata la possibilità di rivestire un determinato ruolo sociale, perciò, la pittura non poteva essere un mestiere praticato dalle stesse. A partire dalla fine del ‘500 e l’ inizio del ‘600, però, alcuni talenti femminili cominciarono faticosamente ad emergere sul panorama artistico internazionale. Tra questi, degna di nota fu la pittrice Artemisia Gentileschi. Un’artista che, in un’epoca ancora tetra per le donne, riuscì a mettersi in luce grazie alla sua spiccata personalità e al suo indiscutibile genio.
Artemisia Gentileschi era figlia di Orazio Gentileschi, un artista toscano che risentì fortemente della pittura caravaggesca (soprattutto nell’uso di marcati effetti chiaroscurali) che, come vedremo, influenzerà anche la stessa Artemisia.
Nelle opere dell’artista le donne, presentate come eroine, sono le vere protagoniste. Una scelta, come vedremo, non dettata dal caso. Pertanto, prima di procedere all’analisi di alcune tra le sue più celebri opere a sfondo femminista, risulta necessario soffermarsi su un episodio personale della pittrice che ebbe un considerevole impatto non solo sulla sua vita più intima, ma anche e soprattutto sulla sua attività artistica. La sua notorietà, di fatto, raggiunse il proprio apice quando l’artista fu vittima di un terribile avvenimento. Siamo nei primi anni del ‘600 e Artemisia, allora diciottenne, subì una violenza carnale da parte di Agostino Tassi, maestro della prospettiva. La pittrice con estrema audacia ed eroicità decise di denunciarlo, ma, suo malgrado, si trattò di un processo piuttosto ostile nei suoi confronti la quale, per dimostrare l’attendibilità dell’accusa, giunse addirittura a sottoporsi ad alcune torture, tra cui lo schiacciamento delle dita. Indubbiamente, si trattò di una crudele tortura fisica e psicologica. Così facendo Artemisia Gentileschi diventò il simbolo di rivalsa delle donne nei confronti dei pregiudizi maschilisti del suo tempo. Dopo questo tragico fatto produsse opere in cui, con estrema chiarezza e insistenza, intenderà scagliarsi contro la sfera maschile. In particolare, due sono i dipinti che mostrano più efficacemente un atteggiamento disprezzante verso gli uomini: Susanna e i vecchioni (1610) e Giuditta che decapita Oloferne (1620), soggetti tratti dall’Antico Testamento.
La prima opera menzionata fa riferimento ad un episodio del Libro di Daniele.


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Si narra che Susanna, una donna particolarmente casta, venne sorpresa senza veli da due uomini anziani i quali sottoposero la donna a ricatto: o cedeva al loro desiderio sessuale oppure avrebbero raccontato al marito di averla avvistata con un amante. Susanna, tuttavia, decise di non cedere al ricatto rivelando, al contrario, il terribile episodio al marito. Volutamente Artemisia Gentileschi decise di raffigurare il momento in cui i due uomini cercano di convincerla a cedere ai loro appetiti sessuali. Susanna, disgustata ed infastidita, invece, è colta nell’atto di allontanare i due malintenzionati. Di estrema importanza, dunque, risulta l’intensa gestualità dei personaggi. Molti studiosi, per giunta, sostengono che nell’uomo barbuto e dai capelli scuri si celerebbe proprio la figura di Agostino Tassi.
La scena raffigurata nella seconda opera, invece, è ripresa dal Libro di Giuditta.


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Si racconta che Giuditta, accompagnata da un’ancella, prima sedusse il generale Oloferne, poi lo decapitò. È proprio in quest’opera che la Gentileschi da sfogo all’ira e allo strazio per la violenza subita in giovane età. La pittrice si ritrae nei panni di Giuditta che, con innegabile risolutezza e crudeltà, è intenta a decapitare Oloferne. Un atto di violenza tale che, come sottolineò lo storico dell’arte Roberto Longhi, con difficoltà si attribuirebbe ad una donna.
Al 1620 risale un'altra tela in cui viene mostrata nuovamente una volontà di riscatto della figura femminile nei confronti di quel sesso maschile che tanto l’aveva umiliata e addolorata. Si tratta dell’opera Giaele e Sisara.
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Il racconto fa riferimento ad un episodio biblico narrato nel Libro dei Giudici: Giaele prima attrae nella sua tenda Sisara, generale sconfitto dall’esercito israeliano, poi lo uccide perforandogli il cranio con un picchetto. Qui l’artista rappresenta un momento di estrema violenza inserito, però, all’interno di un’atmosfera piuttosto calma e pacifica. Il volto della figura femminile è disteso e pacato come quello di Sisara che sembra essersi addormentato. A spezzare questa aura di calma apparente, tuttavia, vi è il brutale gesto della donna.
Attraverso la sua arte la pittrice volle opporsi alla visione maschilista della sua epoca. Furono la sua determinazione e la sua innata abilità pittorica a definirne la fama mondiale di donna e di pittrice. Artemisia Gentileschi è entrata così a far parte di quelle icone femminili che ebbero il coraggio di scagliarsi contro i pregiudizi e le oppressioni sessuali di una società ancora mentalmente arretrata.

 

Immagini tratte da:
- Artemisia Gentileschi autoritratto come martire 1615, wikipedia, collezione privata, pubblico dominio
- Susanna e i Vecchioni, wikipedia, publico dominio
- Giuditta che decapita Oloferne, wikipedia, pubblico dominio
- Giaele e Sisara www.arte.it

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