![]() I ricchi Romani, per la cena, apprestavano appositi locali, i triclinia, nei quali i commensali potevano mangiare sdraiati su divani a tre posti. I banchetti ai quali avremmo assistito nelle grandi domus erano vere e proprie dimostrazioni di opulenza, comprendenti non solo alimenti provenienti da paesi lontani o cibi finemente elaborati, ma spettacoli di vario genere (letture, danze, giochi con buffoni, dissertazioni). Per farci un’idea di cosa veniva servito possiamo gettare un occhio alle ricette raccolte nel De re coquinaria, attribuito ad Apicio: si tratta infatti di un’opera composita, il cui nucleo originario è probabilmente da collocare al tempo di Tiberio, con aggiunte e rimaneggiamenti sino all’epoca di Diocleziano. Il primo elemento che ci avrebbe sorpresi era il desiderio dei cuochi romani di nascondere, mimetizzare i cibi: questi dovevano stupire, ingannare i commensali e dunque non apparire immediatamente identificabili. Di questa pratica troviamo traccia in Apicio, che riporta la ricetta per cucinare il fegato di alcuni animali (agnello, capretto, lepre) e dargli poi la forma di un pesce: così facendo, troviamo scritto, a tavola nessuno riconoscerà ciò che mangia. [1] Uno degli alimenti più amati dai Romani, di ogni estrazione sociale, era il garum, una salsa a base di pesce impiegata in svariate ricette e ricavata dalla macerazione di piccoli pesci, quali aringhe e sardine, uniti a pezzi di pesci più grandi, sale ed erbe aromatiche. I resti della lavorazione del garum (detti allec), venivano venduti come salsa a basso costo o impiegati per sfamare gli schiavi. Altro elemento onnipresente sulle tavole dei Romani era il vino: esso non veniva consumato puro, ma diluito con acqua e insaporito con miele e spezie; ne esistevano ovviamente molte qualità, da quelli più economici e adatti alla plebe a quelli più costosi, invecchiati 10-20 anni. Sotto forma di mosto cotto era impiegato in numerosissime ricette, oltre che come dolcificante per gli alimenti; altri alimenti impiegati per dolcificare erano gli sciroppi di frutta, il passito e, soprattutto, il miele. Solo i più ricchi potevano permettersi il consumo del saccharon, lo zucchero proveniente dall’India. Le carni menzionate nell’opera di Apicio sono le più svariate: troviamo comuni animali da cortile, come pollame, conigli, suini e ovocaprini, ma anche animali ben più rari, come ghiri, fenicotteri, struzzi, gru e pavoni. Grande problema per tutti i popoli del passato (almeno sino al XX secolo) è stato quello della conservazione dei cibi: si ricorreva dunque alla salatura e all’affumicatura, mentre in contesti più agiati si utilizzava anche il miele. La frutta e la verdura venivano immerse anche in olio o aceto (come accade ancora oggi). La cucina romana prediligeva inoltre le salse ricche di spezie ed erbe aromatiche. Tra queste non si può non ricordare il laser o silphium, il cui utilizzo è stato tanto intenso da determinarne la scomparsa già nel Tardo Impero, così come il ligustico, anch’essa quasi del tutto introvabile e sostituibile oggigiorno con il sedano o con l’anice; il pepe (piper) era una spezia molto costosa, che avremmo avuto modo di vedere solo nei banchetti più importanti. Un altro aspetto da tenere presente è l’attenzione posta dai cuochi romani per le proprietà medicinali dei cibi proposti a tavola: usavano molto spesso il cumino (cuminum), ritenuto un carminativo; i porri erano astringenti, mentre la bietola sortiva l’effetto contrario. Altri cibi erano largamente impiegati anche in medicina: i noccioli di datteri si polverizzavano per realizzare colliri [2]; dai semi dello zafferano si otteneva un olio depurativo [3]; la cipolla, grazie alla forma del bulbo, si pensava aiutasse a prevenire la caduta dei capelli. Ormai è però giunta l’ora di lasciare la cucina: la tertia vigilia è quasi giunta al termine, non ci sono più il vociare, le grida, la confusione che regnavano quando siamo arrivati, la brace è stata coperta ed anche il maldestro schiavo che abbiamo visto all’inizio ha appena terminato di pulire i banconi sui quali i cuochi hanno preparato i loro raffinati manicaretti. Ci avviamo verso il nostro cubiculum (camera): una sana dormita prima di un viaggio lungo diciannove secoli, per raccontare agli amici cosa mangiavano i nostri antenati. Note: [1] Apicio, De re coquinaria, IV,12 [2] Plinio, Naturalis Historia, 23,97 [3] Dioscoride, De materia medica, 4,188 Immagini tratte da:
triclinio, da romanoimpero.com, voce “il triclinio” anfore per garum, da wikipedia, Di Claus Ableiter - Opera propria, CC BY-SA 3.0, voce “garum” uva [Uva, pittura parietale. Complesso dei Riti Magici, 79 d.C. Pompei], da http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/minisiti/alimentazione/sezioni/origini/articoli/vino.html natura morta [mosaico del II secolo], da Wikipedia inglese, By Unknown - Jastrow (2006), Public Domain, voce “Food and dining in the Roman Empire” miele, da delish.com datteri, da Wikipedia francese, Par Mariluna, CC BY-SA 3.0, voce “datte” cumino, da Wikipedia inglese, By Sanjay Acharya - Own work, CC BY-SA 3.0, voce “cumin” zafferano, da Wikipedia inglese, By Hubertl - Own work, CC BY-SA 4.0, voce “Crocus sativus”
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Gennaio 2022
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