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8/1/2020

Al L.u.C.C.A. in scena l'arte magistrale di Werner Bischof

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di Enrico Esposito
Foto
Image 1 - Nude, Zurich, Switzerland, 1942
Si è chiusa oggi al Lu.C.C.A. (Lucca Center of Contemporary Art) "Werner Bischof, Classics", mostra che ha raccolto oltre cento scatti realizzati dal celebre fotoreporter svizzero. A cura di Maurizio Vanni e Alessandro Luigi Perna, l'esposizione rende omaggio alla brillante carriera di Bischof attraverso una precisa divisione in sezioni che ne mettono in luce le diverse fasi artistiche.

​Werner Bischof nasce nel 1916 a Zurigo, città che lo vede già in età precoce (soli sedici anni) studiare presso la Scuola di arti applicate alla "corte" del fotografo Hans Finsler, appartenente alla corrente artistica della Nuova Oggettività, movimento nato in Germania alla fine della Grande Guerra che ricercava una rappresentazione della realtà senza trucchi (in contrasto dunque con le ideologie dell'Espressionismo, delle Avanguardie, del Surrealismo). Fu dunque nel quadriennio di frequentazione della Scuola dal 1932 al 1936 che Bischof ricevette una formazione negli ambiti della fotografia realistica e di moda che lo indirizzò infatti ad "esordire" nelle vesti di collaboratore fisso della rivista svizzera "Du" per la quale svolgeva principalmente lavori negli ambienti del pret-a-porter. In questa fase embrionale, corrispondente alla I sezione dell'esposizione (Zurigo 1934 - 1945) sono le modelle e i nudi femminili i soggetti preferiti dall'artista, fotogrammi che mostrano sin da subito una caratteristica essenziale all'interno del suo metodo di lavoro: l'importanza assoluta alla composizione. Bischof cura in maniera impeccabile i dettagli tecnici dell'immagine, rifinendo gli effetti provocati dalla luce e riuscendo a conservare perennemente durante la sua carriera un atteggiamento distaccato nei confronti di soggetti più complessi che sceglierà per i lavori successivi.
Image 2 -  Courtyard of the Meiji shrine, Tokyo, Japan, 1951; Image 3 -  Employees of the Tata Iron and Steel Company on their way to work, Jamshedpur, India, 1951; Image 4​ Returning from the market, Indochina, 1952
Il 1945 segna una svolta di grande valore nello sviluppo dell'attività di Werner Bischof. Egli intraprende un viaggio attraverso i diversi Paesi europei sconvolti dalla Seconda Guerra Mondiale, esperienza che lo porta (II sezione – L’Europa e le conseguenze della guerra 1945-1950) a "destinare" gli scatti a protagonisti contrapposti del terribile conflitto. Seppur stia indossando ufficialmente i panni del fotoreporter, i militari, le strade, i bambini ritratti non assolvono al compito di testimoniare la drammaticità della fame, della violenza, della morte. Bischof, come Zola e Cartier - Bresson realizza bozzetti molteplici, tratti da scene quotidiane che rendono pubblici i momenti personali vissuti da uomini, donne, bambini. In questa fase si ritrovano i primi scatti che ritraggono i bambini per l'appunto, il soggetto prediletto dal nostro. Bambini piccoli, non ancora fanciulli, che nella loro solennità sembrano in realtà adulti, depositari di conoscenze universali riconducibili alla loro semplicità. Quando nel 1949 la Magnum Photos, una delle maggiori agenzie fotografiche del mondo nata appena due anni prima, lo ingaggia e tre anni dopo la rivista americana "Vogue" gli affida il compito di allargare il suo raggio d'indagine all'India e al Sud Est Asiatico, Bischof coglie in pieno l'opportunità ricevuta per poter consegnare ai lettori del tempo ma soprattutto agli amanti della sua arte memorie uniche in virtù di un' opinione molto chiara e riconoscibile. Oggi ne viene considerato uno dei maestri, ma a Bischof il fotogiornalismo in realtà non piaceva per niente. La caccia alla notizia, la pressione nel catturare quell'istante preciso prima degli altri erano diventate a un certo punto insopportabili per lui, al punto da fargli smarrire il piacere di lavorare. Era arrivato a non scovare più dentro di se stesso "la gioia della scoperta" e ad affermare che per lui il mestiere di foto-reporter si era tramutato in un prostituirsi. Due anni soltanto che accolgono al loro interno tempi e luoghi quasi interminabili per la storia alle loro spalle. Millenni di tradizioni raffigurati nella bellezza intatta di un paesaggio in fiore nipponico, di una cerimonia tibetana, o di un bambino cencioso che si copre su un marciapiede con un sacco di tela per proteggersi dal freddo campeggiano negli scatti che Bischof considerava il più bello e si vedeva scartare senza tanti complimenti. 

Lui, Werner Bischof non si era dimenticato di sentirsi ancora e per sempre "un artista", uno spirito libero nell'elaborazione dei suoi lavori. E quando, nel 1953, partì in direzione continente americano, riuscì a rimettersi nelle condizioni di poter esprimere il suo talento cristallino in serenità. Nordamerica, Messico, e soprattutto Perù, Cile, ancora luoghi in cui la natura non è stata violentata dall'uomo e i secoli non trascorrono. La vita fiorisce genuina, secondo le dinamiche naturali alle quali non sfuggono le strisce della morte, di fronte agli occhi di un fotografo innamorato irrefrenabile dell'uomo pur collocando in piani geometrici e prospettive ben studiate. "Il bambino che suona il flauto nella strada per Cuzco" corrisponde alla sua fotografia più famosa, il manifesto puntuale di una poetica esercitata con pazienza e passione. Werner Bischof morì in un incidente stradale a Trujillo, nelle Ande peruviane mentre stava raggiungendo una miniera per rendere omaggio ancora una volta all'arte.

Foto
​Image 5 - On the road to Cuzco, near Pisac, Peru, May 1954
​
Immagini gentilmente fornite dall'Ufficio Stampa del L.U.C.C.A (Copyright: Caption © Werner Bischof / Magnum Photos)

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