28/2/2017 Pillole di Arte Contemporanea: Allan Kaprow's Happening and George Maciunas' FluxusRead Now
“L'arte non dovrebbe essere differente dalla vita, ma un'azione della vita. Come tutta la vita, con ciò che vi capita, le sue possibilità, i suoi casi, le sue varietà, il suo disordine e solo alcuni momenti di bellezza”
John Cage
La chance method, o metodica del caso, condivide con l'automatismo psichico puro surrealista, con l'object trouvé duchampiano e con la gestualità spontanea e casuale dell'Abstract Expressionism statunitense, l'idea di un'arte asistematica, irrazionale e totalmente dominata dalle dinamiche del caso. Ai cadavre esquis, ai poemi dadaisti, al dripping di Pollock o alle creazioni novorealiste di Arman, César e Tinguely, sottintende infatti la medesima anarchia compositiva che sostanzia lo sperimentalismo dei performer di Happening e di Fluxus, due delle direttrici o tendenze artistiche di rilievo internazionale che sulla metodica del caso incardinarono la loro ricerca. Il termine Happening, che deriva dal verbo to happen, accadere, viene usato per la prima volta dall'artista statunitense Allan Kaprow nel titolo della sua performance 18 Happenings in 6 parts, col significato di “assemblage di eventi che si svolgono in più di una situazione spaziale e temporale e un lavoro artistico attivato dai performer e dal pubblico”. Nel 1959 la Reuben Gallery di New York viene suddivisa da teli di plastica semitrasparenti in tre ambienti diversamente caratterizzati tramite l'uso di specchi, luci, suoni e dipinti. Il pubblico, che partecipa su invito cui sono allegate le necessarie istruzioni, interagisce con l'ambiente e con i performers che vi si trovano, tra cui lo stesso artista, leggendo, mangiando, chiacchierando. Ciò che importa maggiormente a Kaprow non è “cosa accade, ma il fatto che qualcosa stia accadendo”. Kaprow maneggia il tempo e il pubblico quali materiali per la sua opera così come il pittore usa il pennello, la tavolozza e la tela, guidando consapevolmente la realizzazione della performance ma lasciando che l'esito ne rimanga in buona parte imprevedibile, spontaneo, casuale. Nonostante Kaprow, in Assemblage, Enviroments and Happenings del 1966, teorizzi sistematicamente il termine Happening non lasciando (paradossalmente) niente al caso e alla generalizzazione, da allora l'espressione venne sempre più frequentemente usata, per estensione, a indicare una qualsiasi forma d'arte in cui venga utilizzata un'azione umana che includa il coinvolgimento del pubblico, dell'artista o di persone appositamente istruite.
Nel 1961, l'artista lituano George Maciunas, cogliendo come occasione un concerto sperimentale intitolato Musica Antica et Nova (negli stessi anni il compositore John Cage e il coreografo Cunningham fecero nelle rispettive discipline di competenza, la musica e la danza, le medesime ricerche sulla casualità dei performer di Happening e di Fluxus), tenne a battesimo FLUXUS. Fluxus è indefinibile. Fluxus significa scorrere, ondeggiare liberamente, fluire, insinuarsi, infiltrarsi fugace. Fluxus significa (stralcio del MANIFESTO UFFICIALE FLUXUS alla mano):
“1.Purgare. Una liberazione fluida, esagerata, dalle viscere o da altre parti. 2.Un movimento continuo, di passaggio, come un ruscello che scorre. 3.Un ruscello, un fluire copioso. 4.Il fermarsi della marea sulla spiaggia. 5.Ogni sostanza o mistura, come silicati, calcare e fluorite, usati per aiutare la fusione, la fusione di metalli e minerali” Parole in libertà. Come un poema DADA, un automatismo surrealista. Fluxus spinge per un'arte wagnerianamente totale, vitale, indeterminata, come l'esistenza quotidiana, concepisce la creazione artistica come un multidisciplinare e multimediale fluire ininterrotto di situazioni. Ogni forma artistico-rituale proveniente dalla cultura popolare come il circo, il musical, l'avanspettacolo viene riutilizzata da questi artisti in grandi manifestazioni che li vedono essi stessi protagonisti come il Fluxus Internationale Festspiele del 1962. Come Duchamp aveva spostato un orinatoio in un museo, decontestualizzandolo e defunzionalizzandolo per renderlo di fatto un'opera d'arte, così gli artisti Fluxus spostano azioni quotidiane quali respirare, fumare, sedersi, o battere le mani o i piedi, facendole diventare anch'esse opere. L'esperienza di Fluxus si esaurisce negli anni settanta e può essere associata all'ultima rassegna organizzata da Maciunas nel 1976. La sua estrema indefinitezza (tutto è Fluxus), che era stato il suo punto di forza per un decennio, ne segnerà la definitiva condanna. I suoi maggiori esponenti, Joseph Beuys, George Brecht, Yoko Ono, continueranno a portare avanti una ricerca individuale molto libera ma sempre memore dell'esperienza di Fluxus.
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Il 1° novembre 1922 Carter torna ad analizzare un punto già scavato, dove in precedenza erano venuti alla luce i resti di capanne di operai che avevano lavorato alla tomba di Ramesse IV, e qui, tra il 4 ed il 6 novembre, viene scoperta una scala di 16 gradini che conduce dinanzi ad una porta ancora sigillata. Potete immaginare lo stupore e la gioia di Carter nel constatare che il cartiglio sull’ingresso è proprio quello del faraone Tutankhamon: l’egittologo vorrebbe entrare subito nella tomba, ma deve aspettare che Lord Carnarvon torni dall’Inghilterra.
Il 26 novembre 1922, dopo un’attesa che deve essere sembrata eterna, Carter può finalmente entrare nella tomba, assieme a Lord Carnarvon, alla figlia di questi, Evelyn, e all’ingegnere americano Callender. Il sepolcro è già stato visitato dai profanatori di tombe in tempi antichi ma, incredibilmente, il tesoro del faraone è pressoché intatto. Il primo ambiente, l’anticamera, si presenta davanti ai loro occhi piena di oggetti accatastati: si vedono armi, due carri, scrigni in legno, tre letti, sgabelli, gioielli, in totale oltre 600 oggetti. Due grandi statue di Tutankhamon sorvegliano un’altra porta, oltre la quale si trova la camera funeraria del faraone. Carter e gli altri membri del gruppo vi entrano il 17 febbraio del 1923, trovando un’ampia stanza interamente decorata (l’unica del complesso) e con al centro una grande struttura in legno dorato.
Dalla camera funeraria accedono poi al “tesoro”, una terza stanza contenente molti oggetti del corredo funebre del defunto, tra i quali una statua del dio Anubi su una portantina ed un tabernacolo in legno dorato con i vasi canopi in alabastro all’interno (vasi nei quali erano riposti gli organi estratti dal corpo del faraone).
Nello stesso anno, ad aprile del 1923, nasce anche quella che verrà ricordata come la “maledizione di Tutankhamon” in seguito alla morte prematura di Lord Carnarvon (morte causata da un’infezione).
Tra il 1924 ed il 1925 Carter ed i suoi collaboratori continuano lo studio degli oggetti conservati nella camera funeraria: il “santuario” prima citato contiene altre tre strutture simili che coprono un sarcofago in quarzite. A sua volta questo involucro custodisce tre sarcofagi antropomorfi, due lignei e coperti di una lamina d’oro ed un terzo in oro massiccio. È solo nell’ottobre del 1925 che Carter apre quest’ultima “matrioska” vedendo così, per la prima volta dopo oltre 3000 anni, la mummia di Tutankhamon con il volto coperto dalla nota maschera in oro. In totale sono stati necessari otto anni per liberare la tomba dagli oltre 3500 oggetti qui custoditi, catalogarli e restaurarli. Il sogno di Carter si è avverato: ha portato alla luce una delle tombe più famose nel campo dell’egittologia.
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Howard Carter, da Wikipedia Italia, Di Chicago Daily News, Inc., photographer - The Library of Congress (USA), Pubblico dominio, voce “Howard Carter” Lord Carnarvon, da Wikipedia Inglese, By The original uploader was Gunray at English Wikipedia. Photographer was Harry Burton. - Originally from en.wikipedia, Public Domain, voce “George Herbert, 5th Earl of Carnarvon” Gli oggetti nell'anticamera, da pinterest La porta di accesso alla camera funeraria, da nationalgeographic.com Santuario ligneo, da Wikipedia Inglese, CC BY-SA 2.5, voce “KV62” Statua di Anubi, da Wikipedia Italia, Di Hotepibre at it.wikipedia - Transferred from it.wikipedia, CC BY-SA 2.5, voce “Tomba di Tutankhamon” Vasi canopi, da Wikipedia Italia, Di Jon Bodsworth - http://www.egyptarchive.co.uk/html/cairo_museum_49.html, Copyrighted free use, voce “Tomba di Tutankhamon” Maschera d’oro, da Wikipedia Italia, Di en:User:MykReeve - Uploaded to en.wikipedia as Image:Tutankhamun-mask.jpg on 28 May 2004 by en:User:MykReeve (see talk page for details)., CC BY-SA 3.0, voce “Tomba di Tutankhamon” Carter e la mummia del faraone, da pinterest Sarcofagi, da Wikipedia Inglese, By Hotepibre at Italian Wikipedia - Own work (Original text: Autore: Hotepibre), CC BY-SA 2.5, voce “KV62” Tomba di Tutankhamon, da Wikipedia Inglese, By R.F.Morgan - Own work, CC BY-SA 3.0, voce “KV62” Scalinata di accesso, da pinterest
Era il 16 Agosto del 1972, quando un sommozzatore romano, Stefano Mariottini, si immerse nelle acque dello Ionio, a poca distanza da Riace Marina (Calabria), e rinvenne due statue bronzee di guerrieri: i cosiddetti Bronzi di Riace. Sin da subito, dopo le dovute verifiche, fu molto chiaro a tutti che si trattava di una scoperta sensazionale perché opere in bronzo greche sono molto rare.
Sono state e lo sono tutt’ora al centro di studi per capirne la provenienza, l’identificazione e anche gli artisti che le realizzarono. Le ipotesi sono numerosissime e qui ne riporteremo le più condivise.
Il Bronzo di Riace contrassegnato dalla lettera “A” è un uomo maturo e barbuto, rappresentato in piedi, con la gamba destra tesa a sostenere il peso del corpo e la sinistra libera, flessa e portata in avanti con il piede girato e il tallone poggiato al suolo. Alla posizione della gamba destra corrisponde la posa naturale dell’anca destra che è più alzata di quella sinistra (elemento importantissimo che si nota per primo nell’Efebo di Kritios del 480 a.C. ca. Questo permette di esprimere l’idea di una figura animata).
Il braccio sinistro è piegato con la mano a tenere lo scudo, mentre il destro è disteso lungo il corpo a portare la lancia. Le spalle sono poste orizzontalmente e la testa è girata verso destra con i capelli disciolti in riccioli tenuti da una benda e la bocca dischiusa a mostrare i denti d’argento. Ciò che colpisce è la resa di un’anatomia dettagliata in cui vengono messi in evidenza le fasce muscolari, le ossa e le vene che corrono sotto pelle. Il Bronzo di Riace “B”, con scudo, lancia ed elmo, presenta delle importanti differenze nella sua composizione. La parte destra, con la gamba che sorregge il peso del corpo, è molto più contratta rispetto al lato destro del guerriero “A”. Infatti, a differenza dell’altro guerriero, qui il fianco destro è più in alto e la spalla destra più in basso di quella sinistra. Inoltre il guerriero “B” ha un ritmo diverso con un movimento più sinuoso dato dallo spostamento del torace e della linea alba verso sinistra. Queste differenze hanno permesso di datare le statue in due momenti differenti: il guerriero “A” intorno al 460-450 a.C., mentre il “B” intorno al 430 a.C. allorchè erano aumentate le acquisizioni per la resa del movimento e della figura nello spazio.
Oltretutto le analisi delle terre di fusione del bronzo avrebbero confermato che i bronzi sono stati realizzati in due luoghi differenti: il guerriero “A” ad Argo, mentre il “B” ad Atene. È molto probabile che le statue ornassero qualche santuario panellenico dai quali i Romani erano soliti razziare opere per portarle a Roma.
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Rai.it www.bronziriace.it “[...] for the world, which seems To lie before us like a land of dreams, So various, so beautiful, so new, Hath really neither joy, nor love, nor light, Nor certitude, nor peace, nor help for pain; And we are here as on a darkling plain [...] […] perché il mondo, che pare stendersi dinanzi a noi come una terra di sogni, così vario, così splendido, così nuovo, non possiede in realtà né gioia, né amore, né luce, né certezza, né pace, né sollievo nel dolore; E siamo qui, come in una piana che s’oscura [...]” (Dover Beach (1867), Matthew Arnold) “We are the hollow men [...] Shape without form, shade without colour, Paralysed force, gesture without motion; […] This is the way the world ends. Siamo gli uomini vuoti […] figura senza forma, ombra senza colore, forza paralizzata, gesto immoto; […] E' questo il modo in cui finisce il mondo.” (The hollow men (1925), T.S.Eliot)
“Siamo gli uomini vuoti, […] siamo ombre”. A loro, sì lunga tratta/ di gente, ch'i' non averi creduto/che morte tanta n'avesse disfatta (Inferno, III), a un'umanità inane che s'affanna sul proscenio senza ribalta della modernità, che s'aggira inquieta tra i dedali della praziana Età dell'Ansia, disorientata, smarrita e stravolta, a simili esistenze fatte di niente, piatte, fatue e vane, a siffatte vite, grigie, sordide e insignificanti, il poeta rivolge la sua accorata supplica. Inascoltato. E l'amore, la gioia, la certezza, la luce, la pace e il conforto al dolore non sono che flebili Eco di passate esistenze in questa piana che s'oscura, istantanee trascolorate, beffarde illusioni. L'animo dell'uomo moderno è tarlato, roso, la felicità guastata, l'energia fiaccata, le sue ali tarpate, i suoi polsi serrati, il petto oppresso dal giogo dell'affanno, dell'angoscia e dell'inquietudine. Dio è morto, o silenziato dal tuono del cannone. La realtà è un cumulo d'immagini frante, è caos, e alla desolazione non c'è ristoro, all'aridità Oasi, alla disperazione conforto. “Tutta la vita è senza mutamento/ha un solo volto la malinconia/il pensiere ha per cima la follia/e l'amore è legato al tradimento”.
Ne La metamorfosi Kafka fissò in pagine memorabili l'inquietudine sua e dei suoi consimili così come l'entomologo infilza con spilloni le farfalle alla sua collezione; Picasso scompose le atrocità della guerra in Guernica; Edvard Munch liberò il mal del secolo in un disperato Urlo senza tempo; Bacon sostanziò i suoi deliri in forme terrificanti; Hermann Nitsch celebrò in remissione dei nostri peccati la sua laicissima eucarestia col corpo e il sangue di bestie da soma; Alberto Giacometti plasmò nelle sue filiformi statuette il dramma de l'uomo a una dimensione. L'arte, più della coeva psicanalisi, riuscì quindi a scavare nelle discrasie del cosiddetto secolo breve, il Novecento dei conflitti e delle dittature, delle contraddizioni e delle fratture mai composte, e riesumare quella verità altrimenti sepolta dall'incedere violento e atroce della Storia.
Con Rabarama (al secolo Paola Epifani, Roma 1969) le fila di questo esistenzialismo astorico e transnazionale si riallacciano al contemporaneo in una riflessione artistica e sociologica mirata a ricostruire tassello per tassello il vissuto dell'uomo moderno ancora irrimediabilmente disgregato e franto. E' infatti il puzzle il pattern che l'artista romana predilige per le sue statuette in ceramica policroma o per le gigantesche sculture in metallo (bronzo, alluminio principalmente), marmo e gomma. Al centro l'uomo, quindi. In pose raccolte, riflessive, intimiste. Le braccia a cingere le gambe, la schiena china, la testa poggiata sulle ginocchia. La fronte corrugata, il volto spesse volte accigliato o fissato in un'espressione che suggerisce angoscia, inquietudine, talvolta paura, del sé e dell'altro. Pezzi di un puzzle che a stento combaciano, linee spiralate, contorte, aggrovigliate, lettere, numeri, lacerti d'un enigma infinito, e ancora alveoli, celle e innumerevoli altri pattern geometrici, tutte decorazioni scultoree che, se decifrate, rendono perfettamente l'immagine dell'uomo moderno, frammentato e irrisolvibile, perennemente alla ricerca di unità, d'una composizione ben al di là dal raggiungere. Immagini tratte da: Immagine 1, 5, 6: www.barbarapicci.files.wordpress.com Immagine 2: www.restaurars.altervista.org Immagine 3: www.ilpost.it Immagine 4: www.tate.org
L’arte racconta l’amore in tutte le sue declinazioni. Che sia passionale, surreale o struggente, ha ispirato i più grandi artisti di tutti i tempi. Il bacio, il suo simbolo più forte, viene immortalato in quel magico istante così da diventare eterno.
Pittori, scultori, fotografi hanno celebrato questo sentimento così profondo nelle loro opere. Emblematico è “Il bacio” di Klimt, uno dei quadri più conosciuti al mondo.
I due amanti sono stretti in un abbraccio, le due figure eteree si abbandonano in un bacio intenso. La donna, ad occhi chiusi, tiene le mani del suo amato, estasiata mentre riceve il suo bacio. L’uomo, di cui si vede solo il profilo,si china su di lei con dolcezza e protezione. I due corpi si fondono in una macchia d’oro,non c’è più differenza tra donna e uomo. Il bacio, simbolo dell’eros, rende tutto evanescente ed oltre al loro amore,intorno non vi è niente.
Famoso è anche “Il bacio” di Hayez del 1859.
Nell’androne di un castello medievale si consuma un bacio sensuale tra due giovani innamorati. Il ragazzo tiene il viso della sua amata e quest’ultima si abbandona dolcemente al suo bacio, limitandosi a stringere le spalle dell’innamorato con il suo braccio. Il bacio raffigura una passione travolgente, ma la scena è permeata da un sentimento drammatico. Si presagisce un’imminente partenza dell’uomo. In uno straziante addio, questo sarà l’ultimo bacio per i due giovani.
Tutti ricorderanno il tormentato amore di Giulietta e Romeo. Frank Dicksee nel 1844 raffigura il loro bacio il giorno dopo la prima e unica notte passata come marito e moglie. L'amore dei due giovani è raffigurato in toni realistici ma che al tempo stesso contengono note d’incanto, segno dell'idillio della loro passione e della loro innocenza. Dicksee , attraverso Romeo e Giulietta, ci invita a superare gli ostacoli della vita e a rendere quest’ultima una celebrazione d’amore.
La letteratura, nonché la storia, ci ricorda un altro bacio passionale entrato a far parte dell’immaginario sentimentale popolare. Il bacio tra Paolo e Francesca, a cui Dante, nella sua Commedia, riserva le pene del cerchio dei lussuriosi.
Amos Cassoli nel 1870 rappresenta il bacio furtivo tra i due innamorati nel suo quadro “Il bacio”.
« Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». (Inferno, Canto V, versi 133-138) Lo stesso De Chirico, trae ispirazione per il suo dipinto “Ettore e Andromaca “ da un amore epico-letterario. Egli ritrae i due protagonisti dell’Iliade nel loro ultimo abbraccio presso le Porte Scee, prima che l’eroe troiano affronti in duello Achille, perdendo la vita. E’ così rappresentato l’ultimo bacio tra i due, ma ad aumentare la tragicità della scena, Ettore e Andromaca sono raffigurati come due manichini privi degli arti superiori. Il tentativo del loro ultimo bacio fallisce. Nonostante ciò i due innamorati tentano di restare l’uno accanto all’altro. I loro visi stretti in un bacio metafisico, il loro amore perso in un tempo immobile.
Proseguendo la nostra rassegna, ritroviamo Magritte con “Gli amanti”.
Un bacio ossimorico, il corpo che si tocca accostato al corpo che non vede. Un bacio appassionato, ma molto particolare: i volti degli amanti sono coperti, ciascuno dei due è avvolto in una stoffa bianca, un ostacolo che crea impossibilità di comunicazione. Agli amanti è vietato vedersi,conoscersi. Magritte spiega: « C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente. »
Sono molteplici le interpretazioni, il quadro può richiamare sia la difficoltà di comunicazione della coppia, sia la passione del puro amore fisico che non ha bisogno di tante parole. Tantissimi altri artisti hanno raffigurato l’amore ed in particolare i baci sulle loro tele. Ricordiamo :
Il bacio con la finestra di Munch, dove le due figure abbracciate, impossibili da distinguere separatamente, rappresentano la perdita d’identità. Il rapporto tra uomo e donna si configura come tensione tra desiderio di amare e paura di amare.
Il bacio di Roy Lichtenstein, esponente della Pop Art americana, prende in prestito il fumetto e lo stravolge.
Nel mondo della fotografia, impossibile non citare il bacio fotografato da Albert Eisenstaedt a New York: un marinaio americano che bacia una giovane donna, il 14 agosto 1945, a Times Square.
Un bacio travolgente e liberatorio, simbolo di libertà e della fine di un era di sofferenze.
Celebre è anche il bacio scattato dal grande Robert Doisneau: Il bacio dell’Hotel de Ville. simbolo dell’amore per eccellenza, nella città più romantica di sempre, Parigi nel 1950.
Per quanto riguarda la scultura, Amore e Psiche di Canova è il simbolo indiscusso dell’amore. I due sono rappresentati nell'attimo che precede il bacio. I corpi morbidi e i loro sguardi che si contemplano l'un l'altro con una dolcezza di pari intensità.
Completamente antitetico è l’amore di Plutone per Proserpina che prende vita nel gruppo marmoreo del Bernini,“ Il ratto di Proserpina”.
L’amore violento, carnale, possessivo di Plutone, dio degli inferi, lo induce a rapire la bella fanciulla di cui si è invaghito. E’ un amore prepotente. Plutone accecato dal suo folle amore trae a sé il frutto del suo desiderio, pazzo la prende, le sue mani forti afferrano le sue cosce.
Il dio appare come impotente di fronte al suo amore. Proserpina è impaurita, lotta contro il suo rapitore, lo allontana , spinge indietro il suo volto, cerca di sfuggire ad un amore non richiesto, non corrisposto.
Bernini in quest’opera mostra tutti i suoi virtuosismi, regalando la viva rappresentazione del mito. L’altra faccia della medaglia, un amore violento. In questo giorno dedicato agli innamorati, si celebra l’Amore e si chiarisce tutto ciò che amore non è. L’amore non è violenza, prepotenza,l’amore non è pregiudizio, l’Amore è condivisione e felicità reciproca. Buon San Valentino!
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“Folli sono quelli che considerano le mie sculture astratte. Ciò che essi credono essere astratto è quanto vi è di più reale, […] l’essenza dei fenomeni”. Secondo Constantin Brancusi “è impossibile per chiunque esprimere qualcosa di reale imitando la superficie esteriore delle cose”. Scultore di grande raffinatezza intellettuale e purezza formale, Brancusi giunse a Parigi il 14 luglio del 1904. La difficile infanzia trascorsa nel paese natale, in Romania, non gli impedì di coltivare la sua abilità di intagliatore, diplomandosi con lode prima alla Scuola d’Arti e Mestieri di Craiova, poi alla Scuola Nazionale di Belle Arti di Bucarest. La volontà di intraprendere la carriera di artista spinse Brancusi a partire alla volta della capitale mondiale dell’arte: Parigi. Pochi mesi dopo il suo arrivo in città, ebbe modo di visitare l’importante retrospettiva di Medardo Rosso, tenutasi quello stesso anno. Fu una rivelazione. Le modalità con le quali lo scultore italiano interveniva sulla materia insegnarono al giovane Brancusi come sfruttare le possibilità offerte dai giochi chiaroscurali e dalla rifrazione della luce sulle diverse superfici. La selezione non naturalistica dei particolari da rappresentare, capace di rivelare l’essenza più intima delle cose, era oggetto della ricerca di un altro grande scultore francese. Nel 1907, Brancusi entrò nello studio di Auguste Rodin come apprendista, mentre nei quartieri di Montmartre e Montparnasse si respirava più che mai il clima delle Avanguardie storiche. L’essenzialità delle forme di Preghiera, un monumento funebre commissionato in patria, richiama opere rodiniane come L’uomo che cammina, nella quale la figura acefala porta a compimento il percorso di eliminazione degli elementi anatomici.
Tuttavia, ben presto Brancusi decise di lasciare l’atelier del maestro ritenendo che “ sotto le grandi piante non cresce niente”, per dirlo con le parole di una sua celebre metafora. Analogamente, sospese la produzione di opere bronzee, per dedicarsi alla pietra. Guardando al primitivismo e al sintetismo della potente Figura accovacciata di André Derain, Brancusi percorse il proprio “cammino di Damasco” per scolpire Il bacio. Il tema degli amanti strizza l’occhio all’omonima opera del maestro, ma, instaurando una sorta di silenzioso dibattito, l’arcaico taglio diretto della pietra compie una stilizzazione del tutto nuova.
“La semplicità non è un fine dell’arte ma si arriva alla semplicità malgrado se stessi avvicinandosi al senso reale delle cose. La semplicità è la complessità stessa”. L’ermetico aforisma brancusiano può essere esplicato da uno degli ovali perfetti che costituiscono la serie di volti dedicati alla Musa addormentata, ciascuno realizzato in un diverso materiale. Passando dal marmo al bronzo e, infine, alla novità del bronzo lucidato e specchiante, Brancusi studiò il corpo umano, osservandolo nel momento in cui si trasforma in oggetto durante il sonno.
Brancusi fu estremamente innovatore nell’annullare il rapporto gerarchico tra l’opera scultorea e il suo piedistallo. Con lui la base diviene parte integrante della scultura, ed è quindi dotata di pari valore estetico e qualitativo. L’opera, ora fusa inscindibilmente con il supporto, risulta collegata al suolo ponendosi in un rapporto del tutto nuovo con lo spazio e con l’ambiente. È il caso della Colonna senza fine: una base romboidale con due tronchi di piramide alle estremità, pensata inizialmente per accogliere altre opere, vede moltiplicare il suo modulo creando una tensione ripetitiva, così che l’occhio dell’osservatore è indotto ad immaginarne la continuità.
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