di Marianna Carotenuto Il 26 Febbraio del 1808, a Marsiglia, nasceva Honoré Daumier: pittore, scultore, litografo e caricaturista francese. Vogliamo ricordarlo con il suo dipinto realista “Il vagone di terza classe”, senza dubbio una delle sue opere più note. Daumier era un acuto osservatore degli effetti che l'industrializzazione causava sulle classi lavoratrici di Parigi. Cominciò a raffigurare scene di trasporti pubblici già nel 1839. La sua attenzione si focalizzava non sui mezzi stessi, bensì sulle reazioni delle persone che si adattavano a condizioni che erano spesso scomode, nonché drammatiche. Soprattutto Il vagone di terza classe del 1862, segna l’apice del prolungato impegno di Daumier con il tema del viaggio in treno, simbolo di denuncia delle condizioni delle classi più disagiate, dimenticate dallo Stato. Il pittore ritrae un vagone ferroviario di terza classe molto affollato, i finestrini lasciano appena intravedere un cielo livido e i viaggiatori, ammassati su dure panche di legno, hanno un’espressione che suggerisce evidentemente la rassegnazione al loro destino di povertà e sofferenza.
In primo piano sono raffigurati due viaggiatori seduti, probabilmente una famiglia. Una giovane madre allatta un neonato al seno e accanto a lei una donna anziana, con il capo coperto da un cappuccio e un mantello, sembra avere lo sguardo fisso nel vuoto. Sulle gambe ha un cesto sul quale poggia le mani. Affianco a loro, sulla destra, dorme un ragazzino adolescente, completamente in ombra, persino su di lui sembra pesare l’infelicità della sua giovane vita. In netta contrapposizione con la classe povera, sui cui volti si intravede la fatica, si individuano i borghesi, che con la loro arroganza e indifferenza danno le spalle ai poveri lavoratori, non curandosi di loro. I ricchi borghesi sono posti in secondo piano e sembrano occupare spazi migliori. Inoltre, anche il clima emotivo è decisamente diverso. In primo piano sembra aleggiare un senso di impotenza e di tristezza senza speranza. Nello spazio posteriore, invece, i passeggeri conversano animatamente e sembrano vivere una dimensione sociale appagante. Si delinea così il netto divario tra le due classi sociali, un concetto metaforico e reale che l’artista vuole sottolineare. Daumier, nei suoi dipinti realisti, adattò il suo talento di caricaturista per rendere i suoi personaggi molto espressivi. I volti e le figure de Il Vagone di terza classe sono ripassati da una linea nera di contorno molto scura. Il chiaroscuro utilizzato per dare volume alle forme è costruito con ombre molto profonde. Il colore è steso in maniera poco uniforme: Il vagone di terza classe è un olio su tela, ma presenta allo stesso tempo un tratto veloce, che lascia le figure quasi incompiute. È così che Daumier, percependo la tristezza della povera gente costretta a vivere in ristrettezze economiche e condizioni drammatiche, dà voce ad una denuncia sociale a favore delle classi più disagiate. Se sei giunto fin qua: al termine dei prossimi articoli di arte e archeologia inseriremo una parola non legata all'articolo. Potrete ricopiarla e inserirla nei commenti su FB senza spiegare il perché: una sorta di gioco mensile al termine del quale riporteremo i nomi dei "lettori più attenti" in un post a loro dedicato. La parola di oggi è: dizionario Immagine tratta da: Wikipedia pubblico dominio “Il vagone di terza classe” Potrebbe interessarti anche:
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di Ilaria Ceragioli
È nota come digital art o computer art quella tipologia di arte elaborata in forma digitale mediante un computer, una tavoletta grafica, una scansione fotografica e via dicendo.
La nascita dell’arte digitale si colloca nel 1950 per merito di due matematici e programmatori appassionati di grafica: lo statunitense Ben Laposky e il tedesco Manfred Frank. L’evoluzione di quest’arte è sostanzialmente legata a 3 fasi: una fase pioneristica che giunge fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso; una seconda fase che si colloca negli anni ’80; e una terza ed ultima fase a partire dagli anni ’90. La prima fase è caratterizzata da esperimenti di visualizzazione di immagini al computer. Tra i maggiori digital artist di questo periodo ricordiamo Charles A. Csuri e Vera Molnar. Charles A. Csuri fu tra i primi a cimentarsi nell’utilizzo del computer, specializzandosi nella creazione di immagini bidimensionali e nell’animazione. Attualmente è professore presso l’Ohio State Advanced Computing Center for Art and Design (ACCAD), da lui ideato. Nel 1967 crea Sine-Curve Man, un uomo barbuto la cui immagine viene alterata adoperando la funzione di curva sinusoidale.
Vera Molnar, invece, è un’artista di origini ungheresi, tra le fondatrici del movimento di Arte Cinetica GRAV (groupe de recherches d’Art Visuel) che sancisce l’unione tra l’arte e l’informatica.
Celebre è la sua Computer rosace-series, opera del 1974 in cui Vera Molnar traduce, con un’evidente sensibilità minimalista, immagini elaborate tramite un computer che ripetono ossessivamente motivi geometrici.
Passiamo adesso alla seconda fase evoluzionistica dell’arte digitale. Essa vede la diffusione di personal computer e di varie forme d’arte basate sulla tecnologia digitale.
Eccellente e significativo interprete di questa fase fu l’inglese William Latham, oggigiorno professore presso la University of London. Latham, fu tra i primi artisti a creare forme evolutive ed organiche attraverso un programma chiamato “mutator”, sviluppato in collaborazione con il matematico Stephen Todd. Da qui la realizzazione del cortometraggio The Evolution of form (1989). Per concludere il nostro breve excursus sulle varie tappe di sviluppo dell’arte digitale ci avventuriamo adesso nell’analisi dell’ultima fase, segnata dallo sviluppo della realtà virtuale, dell’interattività e dalla nascita della Net Art. Una figura di spicco nell’ambito dell’arte interattiva è Jeffrey Shaw, uno dei digital artist più acclamati dal pubblico e dalla critica attuale. Era il 1991 quando Shaw presentò The Legible City. Siamo dinanzi ad una installazione interattiva che connette spazi reali e virtuali; il visitatore, infatti, può esplorare una città virtuale in cui gli edifici sono sostituiti da lettere dell’alfabeto semplicemente guidando una bicicletta. Tutto ciò è possibile grazie al collegamento dei pedali e del manubrio con un computer che genera immagini proiettate su un grande schermo. Infine, per quanto riguarda la Net Art (quella disciplina artistica che crea opere d’arte servendosi della rete internet) degna di nota è la creazione “Riot” (1999) dello statunitense Mark Napier. In questo progetto Napier unisce diversi siti web portando così al collasso dei domini e dei confini territoriali. Dunque, con l’avvento dell’era elettronica l’arte ha ampliato ulteriormente i suoi orizzonti, i suoi spazi di esecuzione, coinvolgendo attivamente lo spettatore e manifestandosi in forme e modalità un tempo impensabili. Immagini tratte da: www.siggraph.org www.dada.compart-bremen.de www.marknapier.com di Paola Desiderato Dal 6 ottobre 2018 al 27 gennaio 2019, il Museo della Permanente a Milano ha ospitato la mostra “Caravaggio. Oltre la tela. La mostra immersiva”, a cura di MondoMostreSkira. Dopo il successo di precedenti mostre sul pittore cinquecentesco che si sono susseguite nel corso degli anni e in varie città d'Italia, questa mostra, per l'appunto "immersiva", intendeva raccontare le tappe fondamentali della vita di Caravaggio, in un modo ancora più coinvolgente ed affascinante: sotto forma di una narrazione teatrale, l’esposizione era divisa in quattro atti, come i periodi di vita dell’artista, accompagnati ed illustrati da oltre cinquanta opere. Per superare l’ostacolo oggettivo dell’impossibilità di vedere dal vivo alcune di queste opere inamovibili, si è voluto riportarle ugualmente di fronte agli occhi meravigliati del pubblico con l’ausilio di strumenti multimediali. La mostra, prodotta da NSPRD, ha coinvolto un team di giovani sceneggiatori, cineasti, video artisti, scenografi, doppiatori che, con la consulenza della storica dell’arte Rossella Vodret, hanno elaborato un nuovo formato di mostra, che non si limitava alla semplice presentazione delle opere in alta risoluzione e dei loro dettagli, ma mirava a sfruttare al massimo le tecnologie per una divulgazione scientifica di ultima generazione. Il personaggio di Michelangelo Merisi è stato oggetto di una serie di esposizioni e di mostre non solo per la sua straordinaria tecnica e la sua visione artistica, ma anche per il carattere turbolento e l’alone di mistero che lo ha sempre avvolto così come le vicende riguardanti le sue fughe dal peccato e la paura di attentati alla sua vita – vicende che si riflettevano nelle sue opere e nel modo febbrile che aveva di approcciarsi alla tela. Proprio per l’ambiguità che questo artista rappresenta, le discussioni storiche ed artistiche su di lui e sulle sue opere non avranno mai fine: I Bari, Giuditta e Oloferne, Amore Vincitore, Morte della Vergine, Medusa, Martirio di San Matteo e tante altre. Che si conoscano già oppure no, questi capolavori lasciano sempre senza fiato. Ciononostante alcune esposizioni, meglio di altre, hanno cercato di svelare i misteri del Caravaggio o di raccontare un nuovo punto di vista sulla sua vita. È il caso di questa mostra in cui, come in un vero e proprio spettacolo, cinematografico o teatrale, il racconto è stato avvincente ed è risultata quindi, per chi l’ha vista, più memorabile ed utile delle famose ma superficiali esposizioni multimediali, note come “experience”, dedicate ai grandi artisti. Il titolo “Oltre la tela. La mostra immersiva” è stato coerente con il contenuto, esemplificativo e chiarificatore rispetto alle vicende storiche. L’analisi delle opere, seppur sommaria, aiutava l’occhio degli spettatori a scoprire i dettagli principali, e le aspettative del pubblico sono state rispettate: tutti elementi non da poco nel mondo dell’arte e delle mostre, attualmente. Foto tratte da: Foto dell’autore. di Marianna Carotenuto La maggior parte dei manuali di letteratura, accanto alla biografia dell’autore de “I Promessi Sposi” riporta questo ritratto: Alessandro Manzoni seduto su di una elegante poltroncina, con un’espressione molto intensa e profonda. Sebbene sia la sua immagine più conosciuta, pochi studenti sanno chi sia stato a dipingerlo. Se sfugge anche a te, rimediamo subito. Alessandro Manzoni era già stato ritratto nel 1831 da Giuseppe Molteni: in questo dipinto lo scrittore è in piedi e regge nella mano sinistra proprio una copia della sua opera principale. Sullo sfondo si vedono Lecco e il Lago di Como, località dove hanno avuto luogo le vicende di Renzo e Lucia, protagonisti del romanzo. Nel 1841 la seconda moglie di Manzoni, la contessa Teresa Borri Stampa e suo figlio, Stefano Stampa, grande appassionato d’arte e mecenate, commissionarono il suo secondo ritratto.
Il desiderio di Teresa era quello di tramandare l’aspetto quotidiano del marito, allontanandosi dall’immagine di letterato ispirato che caratterizzava il ritratto precedente. A tal scopo si rivolse a Francesco Hayez, l’autore del celebre dipinto “Il Bacio”. Il pittore romantico si impegnò molto nella realizzazione del ritratto, tanto che vi dedicò ben quindici sedute di posa, prima di portarlo a compimento il 26 giugno 1841. Hayez volle esprimere in una sola immagine le qualità personali, morali e professionali dello scrittore, utilizzando uno stile estremamente realistico. Manzoni è seduto e rivolto verso sinistra, con il volto inclinato, labbra sottili che accennano un sorriso, il viso incorniciato da due lunghe basette. Indossa una giacca scura sopra ad una camicia chiara ed ha un fazzoletto stretto intorno al collo. La mano destra è posata sul bracciolo della poltrona, mentre nella mano sinistra non regge I Promessi Sposi, come nel precedente dipinto, ma una tabacchiera. La gamba destra è accavallata sulla sinistra in una posizione naturale e disinvolta. L’artista spogliò il ritratto di tutti gli elementi decorativi, facendo apparire lo sfondo plumbeo, con un alone luminoso in corrispondenza del busto dello scrittore. Il tessuto dei pantaloni è di color ocra scuro e richiama il colore del fondo illuminato. L’incarnato è caldo e lo spazio è reso attraverso la luce che crea una limitata profondità. Con quest'espediente pittorico, Manzoni sembra esser circondato da una sorta di aura che lo colloca in una dimensione senza tempo. Il quadro ebbe enorme successo tanto che venne apprezzato sia dalla famiglia del Manzoni che dall’opinione pubblica. Fu lo stesso Hayez a vantarsi del suo ottimo lavoro, accompagnando personaggi famosi del tempo a visitare il ritratto dello scrittore. Tra i tanti ammiratori, Gaetano Cattaneo lodò la scelta dell’artista di collocare il Manzoni «in una posizione naturale e sua abituale». Il critico d'arte Fernando Mazzocca lo ha ritenuto il «vertice più alto dell'iconografia manzoniana» per aver saputo interpretare il «carattere, insieme pacato e inquieto, dell'effigiato, una pittura essenziale, raffinatissima, funzionale a esprimere le più intime e sfuggenti variazioni dei moti dell'animo». Se sei giunto fin qua: al termine dei prossimi articoli di arte e archeologia inseriremo una parola non legata all'articolo. Potrete ricopiarla e inserirla nei commenti su FB senza spiegare il perché: una sorta di gioco mensile al termine del quale riporteremo i nomi dei "lettori più attenti" in un post a loro dedicato. La parola di oggi è: lampada. Immagini tratte da: Wikipedia pubblico dominio: Alessandro Manzoni Wikipedia pubblico dominio: Molteni Giuseppe, Alessandro Manzoni 5/2/2019 Il Museo Civico Gaetano Filangieri: alla scoperta di uno dei tesori nascosti della città di NapoliRead Nowdi Nicola Avolio Tra i tanti musei e le tante bellezze di cui la città di Napoli è stracolma, ci terrei ad approfondire la figura di un museo che, in occasione di mie numerose visite e sopralluoghi, mi ha colpito particolarmente e che nel corso degli anni è sempre rimasto un passo indietro rispetto alle principali mete artistiche solitamente frequentate da turisti e cittadini: il Museo Civico Gaetano Filangieri. Situato sull'arteria di Via Duomo, nel cuore del centro storico di Napoli e a pochi passi dal Duomo, il Museo fu progettato e realizzato a partire dal 1883 da Gaetano Filangieri, principe di Satriano: egli trovò nel rinascimentale Palazzo Como il luogo ideale in cui poter ospitare la sua collezione privata e, per scongiurarne l'abbattimento a causa dei lavori del Risanamento, lo arretrò di 20 metri allineandolo, quindi, lungo Via Duomo. Il Museo fu inaugurato nel novembre del 1888 e risulta essere diviso nel seguente modo: al pianterreno vi è la sala dedicata a Carlo Filangieri, padre di Gaetano, contenente, oltre a un busto in marmo raffigurante lo stesso Carlo, una rarissima e stupenda collezione di armi orientali (databili tra il XVII e il XIX secolo) di provenienza cinese e giapponese a quest'ultimo appartenuta; salendo lungo una scala a chiocciola si accede a quello che costituisce il cuore del Museo, ovvero la Sala Agata, divisa in due settori, quello inferiore e quello superiore, nel primo settore troviamo raccolte di dipinti del '600 napoletano, di artisti del calibro di Jusepe Ribera, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Battistello Caracciolo e Andrea Preti, mentre nel secondo settore troviamo una raccolta di porcellane giapponesi in stile Kakiemon e Imari databile al XVIII secolo, pastori presepiali del XVIII e del XIX secolo e porcellane napoletane della fabbrica di Capodimonte, ma anche di manifattura tedesca, francese, inglese e olandese. Dal livello superiore della Sala Agata si accede, tramite una piccola scalinata, ad una biblioteca contenente, oltre a più di 30.000 volumi, un archivio storico con documenti compresi tra il XIII e il XIX secolo. Immagini tratte da:
Immagini museo: https://www.tvdaily.it/arte-cultura/napoli-arte-contemporanea-per-salvare-il-museo-filangieri.php Armi in asta e porcellane: fotografie dell'autore Sala Agata: http://www.arte.it/guida-arte/napoli/da-vedere/museo/museo-civico-gaetano-filangieri-2840/immagini/il-museo-gaetano-filangieri-foto-copy-lorenzo-cabib-courtesy-of-museo-civico-gaetano-filangieri-napoli-br-63749 Biblioteca:https://www.artribune.com/attualita/2012/05/filangieri-se-riaprire-un-museo-diventa-provocazione/attachment/museo-filangieri-biblioteca-2/ |
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