di Ilaria Ceragioli L’osservazione della pienezza e della mutevolezza di un istante nascosto nella natura che ci circonda fu la condizione necessaria che portò il celebre pittore Claude Monet a ideare un nuovo modo di dipingere, o meglio una nuova filosofia artistica che cambiò radicalmente il mondo dell’arte. Monet fu il cosiddetto “padre” di questo nuovo movimento artistico nato a Parigi nella seconda metà dell’800, l’Impressionismo. La nuova estetica stravolge le regole: quasi totale è l’abolizione della prospettiva, del disegno e dei contrasti chiaroscurali. La luce è padrona dei colori e ne regola l’intensità. Il nero è bandito e le pennellate sono stese attraverso rapidi tocchi. Per cogliere e fissare su tela le variazioni luminose, l’artista non dipinge più all’interno del suo studio, bensì en plein air, all’aria aperta. A partire da questo momento, quindi, il pittore non osserva più la natura con occhi distanti, ma giunge a dialogare con essa divenendone parte integrante. La natura diventa così una vera e propria musa ispiratrice. Le sensazioni, le impressioni e le emozioni, o forse sarebbe più giusto dire l’anima di Claude Monet, rivivono a Roma nella Mostra “Monet” che dimora presso il complesso del Vittoriano. La mostra, curata da Marianne Mathieu, accoglie 60 opere dell’artista provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi. Si tratta di tele a cui Claude Monet era particolarmente affezionato tanto da conservarle per tutta la sua vita. La visita è accompagnata, almeno per alcuni brevi tratti, da un percorso multimediale e sonoro che mira a riprodurre quell’atmosfera naturale e fatata che tanto incantò Monet. Sulle pareti di alcune sale sono riportate anche citazioni dell’artista, dalle quali è percepibile l’amore attraverso il quale Monet creò opere capaci di far vibrare le corde del cuore. L’intento della mostra è quello di evidenziare l’evolversi della carriera dell’artista. Ripercorrendo le fasi del suo entusiasmante lavoro il visitatore si imbatte immediatamente in tele maggiormente note a un pubblico di esperti, nonché una serie di bizzarre caricature che Monet realizzò al principio della sua produzione artistica, alla fine degli anni ’50 dell’800. Nelle pareti successive, invece, sono esposte tele che immortalano paesaggi rurali, la periferia di Parigi, le vedute della Bretagna e della Normandia e il celebre Parlamento di Londra con i suoi suggestivi riflessi sul Tamigi. Il percorso conduce poi al soggetto più caro a Monet: le ninfee. L’immagine e la fama di Claude Monet, di fatto, sono estremamente legate a questo soggetto. L’artista le dipinse per ben 250 volte perché nella sua ideologia figurativa non era importante la cosa rappresentata, ma il modo con cui essa veniva trasposta su tela. Tali capolavori furono elaborati nel giardino della sua casa a Giverny dove i bellissimi fiori che galleggiavano nello stagno permisero a Claude Monet di cogliere l’immensità e la fragilità della natura. Da qui maturarono nell’artista profonde riflessioni sulla dimensione dello spazio e sulla luce. Di seguito il visitatore trova dinanzi a sé dipinti raffiguranti salici piangenti che risalgono al 1818, data in cui Claude Monet dovette affrontare un periodo particolarmente difficile segnato da lutti e da un drastico calo della vista. Infine, tra i dipinti di notevole valore che la mostra ci offre vi è Le Rose (1826). A quella data Claude Monet è quasi cieco e prossimo alla morte, ma non smette di dipingere. Dalle immagini impresse nella sua memoria ha così origine la sua ultima opera. Appassionato, dunque, è l’invito a penetrare nell’affascinante mondo di Claude Monet visitando questa mostra che, in merito al grande riscontro del pubblico, è stata prorogata sino al 3 giugno di questo anno. Per ulteriori informazioni: http://www.ilvittoriano.com/mostra-monet-roma.html Immagini tratte da: Foto dell’autore
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di Antonio Monticolo Era il 46 a.C. quando Cesare, due anni prima di morire, inaugurò il suo foro. Il foro di Cesare nacque come progetto unitario, a differenza del Foro Romano che è andato sempre modificandosi nel corso del tempo. Il foro cesariano era costituito da una piazza centrale il cui centro era occupato dalla statua equestre del dittatore. Sul lato nord-ovest si ergeva il tempio di Venere Genitrice, mentre sui restanti lati si trovavano i portici da cui si aprivano le tabernae. La composizione era tale da attirare l’attenzione al centro della piazza e verso il tempio della dea. Il tempio era periptero (con colonne tutto intorno) sine postico (parte posteriore priva di colonne), su alto podio con otto colonne sui tre lati e all’interno della cella doveva trovarsi la statua della dea. La scelta di dedicare il tempio a Venere non è affatto casuale ma risponde a una precisa ideologia politica. Infatti, la dea era madre di Enea, padre a sua volta di Iulo i cui discenti (Romolo e Remo) fonderanno Roma. Dunque, Venere appare come la progenitrice mitica della gens Iulia (Venere-Enea-Iulo-gens Iulia). La volontà di Cesare era quella di mostrare a tutti come la sua posizione di preminenza a Roma fosse legittimata anche dall’origine mitica della famiglia, come se fosse voluta dagli stessi dei. Alla stessa maniera di Cesare, ma in forme più monumentali, farà suo figlio adottivo Ottaviano Augusto. Nel 42 a.C. darà inizio ai lavori per la realizzazione del suo foro che verrà terminato soltanto nel 2 a.C. (maggiori informazioni sul foro di Augusto) La valenza simbolica e di significato del foro di Augusto è enorme. Già la dedica a Marte Ultore (Vendicatore) non rimanda soltanto alla vendetta che Ottaviano nel 42 a.C. ottenne sui “cesaricidi” (uccisori di Cesare nella battaglia di Filippi), ma anche a una seconda vicenda: infatti, Augusto era riuscito a farsi riconsegnare le insegne romane rubate dai Parti (acerrima popolazione nemica di Roma) a Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C. L’elemento di maggiore interesse però sono le statue contenute nelle esedre. Infatti, le statue della gens Iulia e della progenie dei re di Alba Longa indicavano la continuità che intercorreva fra Enea e la stessa gens Iulia; le statue dei summi viri rimandavano, invece, al grande passato di Roma che permise ad Augusto di condannare all’oblio le vicende poco gradevoli della storia di Roma, come quelle delle guerre civili (Mario contro Silla, Cesare contro Pompeo e Ottaviano Augusto contro Marco Antonio) creando un nuovo insieme riveduto e corretto della storia romana. Come dice Paul Zanker in Augusto e il potere delle immagini: “Nel Foro di Augusto veniva resa pubblica, tramite la forma di un doppio messaggio scritto e visivo, un’immagine della storia riveduta e adattata alla nuova situazione politica. La storia romana veniva a coincidere con la marcia inarrestabile dell’Impero e il fatto di ricondurre l’intera vicenda alle imprese personali dei summi viri conferiva a quella marcia un indubbio carattere di inevitabile destino”. Immagini tratte da: - Tesoridiroma.net - https://it.wikipedia.org/wiki/Foro_di_Cesare, Di Cassius Ahenobarbus - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29395344 - https://it.wikipedia.org/wiki/Foro_di_Augusto, Di Cassius Ahenobarbus - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29496413 - https://it.wikipedia.org/wiki/Foro_di_Augusto, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=281002 Potrebbero interessarti anche: di Andrea Samueli Siamo al confine nord dell’antica Britannia, una terra dura ed inospitale, la frontiera più settentrionale dell’Impero romano. Tra il 122 ed il 128 d.C., per volere dell’imperatore Adriano, i soldati di stanza in Britannia realizzarono quella che ancora oggi è considerata la linea di confine più fortificata dell’antichità: il Vallo di Adriano. In precedenza la difesa della provincia dalle incursioni del bellicoso popolo dei Pitti era affidata a una fortificazione minore, oggi conosciuta come Stanegate. Si trattava di una strada romana che correva da Corbridge a Carlisle, realizzata dopo la ritirata romana dalla Scozia centrale intorno al 105 d.C. (dettata dal richiamo di truppe per l’imminente conquista della Dacia). La strada era dotata di una serie di forti maggiori, posti ogni 7 miglia romane - poco più di 10 km, inframezzati da fortini minori. Il sistema difensivo così composto era valido per l’avvistamento ed il pronto intervento contro corpi ostili di grandi dimensioni, ma non era in grado di fermare gruppi di consistenza minore. ![]() Per volere dell’imperatore Adriano venne così costruita una nuova linea difensiva che, inizialmente, doveva fare da supporto al confine preesistente. Il Vallo di Adriano si erge poco più a nord a chiusura dell’Istmo Tyne-Solway, da Wallsend sul fiume Tyne (ad est) fino a Bowness sul Solway (ad ovest), coprendo una lunghezza totale di 76 miglia - circa 115 Km. Era composto, da nord verso sud, da un ampio fossato disseminato di pali appuntiti, una muraglia, una strada militare ed il vallum vero e proprio, cioè una profonda trincea a forma di V. Il muro, elemento cardine del sistema, raggiungeva i 5 metri di altezza per uno spessore variabile tra i due ed i tre metri. Ad intervalli di un miglio era posto un fortino di guardia e tra un forte e l’altro erano presenti torri di avvistamento e segnalazione. Il tutto era sorvegliato da oltre 9000 uomini, suddivisi in distaccamenti legionari e unità ausiliarie, di stanza in 14 forti maggiori e sempre pronti ad intervenire in caso di attacco. Gli studi nel campo dell’intelligence e della trasmissione delle comunicazioni in epoca romana (vedi l'articolo Guerra segreta nell'antica Roma) hanno dimostrato come il posizionamento di forti, torri e fortini rispondesse all’esigenza di comunicare tempestivamente eventuali incursioni o attacchi, mediante l’utilizzo di fuoco e fumo (anche con sistemi complessi basati su torce alzate in sequenza per codificare i caratteri dell’alfabeto).
Il Vallo, nonostante attacchi e ricostruzioni, rimase in uso fino al 410 d.C., quando l’ultima guarnigione di stanza venne richiamata per far fronte alle invasioni in Italia. Immagini tratte da: Resti di un fortino, da Wikipedia Inglese, By Adam Cuerden - Photograph by uploader, Public Domain, voce “Hadrian’s wall” Attacco al Vallo, da romanoimpero.com, voce “Il Vallo di Adriano” Cartina, da Wikipedia Italia, Di Nilfanion - Ordnance Survey OpenData.Administrative borders and coastline data from Boundary-Line product.Rivers, lakes and urban area data from Meridian 2 product.Hadrian's Wall from Strategi product., CC BY-SA 3.0, voce “Vallo di Adriano” Sezione del Vallo, da Wikipedia Inglese, By Ujap.de - http://ujap.de/index.php/view/HadriansWall, CC BY-SA 3.0, voce “Hadrian’s wall” Ricostruzione, da romanoimpero.com, voce “Il Vallo di Adriano” In mostra alla Fondazione Lazzareschi gli scatti di Hollywood e quelli, più personali, dedicati alla street photography Dal 24 marzo al 27 maggio 2018, la Fondazione Giuseppe Lazzareschi a Porcari (Lu) presenta ‘Il Sogno Americano. La Fotografia di Gusmano Cesaretti’, la mostra fotografica, a cura di Riccarda Bernacchi e Lucia Morelli, che raccoglie le opere dell’artista italo americano Gusmano Cesaretti. Una selezione di trenta scatti, due sezioni, Gusmano e il cinema e Gusmano e la Street Photography narrano la vita di un fotografo vicinissimo ai grandi del cinema tra cui Michael Mann, Tony Scott e Marc Forster eppure così vicino anche agli uomini più piccoli, non per dimensioni, ma per essere ai margini della società. E’ la sua prima antologica in Italia, ma il fotografo porcarese, nato a Lucca, è molto conosciuto all’estero ed ha viaggiato moltissimo. Grato a suo padre per avergli regalato la sua prima macchina fotografica, Gusmano Cesaretti emigra agli inizi degli anni ‘60 in America, affascinato dal cinema e dai grandi spazi. Insegue il Sogno Americano ed entra in contatto con il mondo di Hollywood, fino a diventarne attento interprete. Il ragazzo arrivato in America a diciannove anni con una grande passione per la fotografia, oggi è diventato un uomo maturo che vive in quel paese e che torna a casa, per la prima volta in Italia per una personale, dopo 55 anni. Gusmano è fotografo di locations, fotografo di scena, produttore, regista di seconda unità. La sua attività di ricerca, di osservazione, di cura del dettaglio prima e durante la realizzazione dei films sono illustrate nella mostra, al piano terra, attraverso scatti scelti tra alcuni titoli di Mann: Thief (1981), Miami Vice tv show (1985), L’ultimo dei Mohicani (1992), The Insider (1999), Miami Vice The film (2006), Blackhat (2015). Nel piano seminterrato della Fondazione Lazzareschi è invece ricostruito lo studio di Pasadena, in California. Il profilo di un uomo tatuato, gli occhi al cielo di una guaritrice messicana, il volto coperto di chi non ha nulla da perdere. Sono istanti fissati sulla pellicola, gli scatti più personali di Gusmano Cesaretti che alla fotografia ha dedicato la sua vita. Le sue foto testimoniano una parte importante dell’East Los Angeles, fatta di cultura di strada e di graffiti. Un patrimonio inestimabile non solo sotto il profilo artistico, ma anche sotto quello storico e documentaristico. La storia personale di Gusmano Cesaretti e l’opera artistica sono indissolubilmente legate. Il ‘Picture man’, l’uomo delle immagini, così come chiamano Gusmano nelle periferie, documenta emozioni, relazioni, eventi quotidiani in cui gli esseri umani sono protagonisti. L’esposizione sarà arricchita da un’importante esclusiva: l’intervista di Gusmano a Michael Mann, appositamente realizzata per questa prima esposizione italiana del fotografo. L’incontro con il regista Michael Mann, di cui Gusmano Cesaretti è, ancora oggi, stretto collaboratore, avviene nel 1979, quando alcune foto di Gusmano vengono pubblicate sulla rivista ‘Picture’ e Mann lo invita sul set di ‘The Jerico Mile’. Da allora diventa personaggio chiave del processo creativo di uno dei più grandi registi americani. Michael Mann lo definisce ‘suo fratello da madre diversa’. In mostra anche contenuti video speciali per le due sezioni: da una parte il minuzioso lavoro di ricerca portato avanti da Gusmano e Mann per la realizzazione del film Miami Vice (2006) dall’altra il docufilm Take None Give None, nato nel 2010 da un profondo legame creatosi negli anni tra Gusmano Cesaretti e il Chosen Few Motorcycle Club in collaborazione con il fotografo Kurt Mangum, premiato al Toronto Motorcycle Film Festival per aver catturato luce, movimento e suoni del più antico club motociclistico fuorilegge degli Stati Uniti nel South Central e selezionato nel 2017 al Motoblot Film Festival. Gusmano Cesaretti sarà presente all’inaugurazione del 24 marzo e parteciperà ad una serie di iniziative collaterali che faranno parte di un calendario reso noto su www.fondazionelazzareschi.it e www.ventidarte.com L’iniziativa, promossa dalla Fondazione Giuseppe Lazzareschi, vede il patrocinio di Regione Toscana, Provincia di Lucca, Comune di Porcari e, per il suo alto valore culturale, della Cattedra UNESCO Universidad y Patrimonio. A comporre il Comitato scientifico illustri membri: oltre alle curatrici, Nicola Borrelli Presidente del Lucca film Festival e Europa Cinema, Keane artista, fotografo e giornalista, Olimpia Niglio docente universitaria e alla Business School del Sole 24 Ore. Tra i partner della mostra ci sono il Lucca Film Festival e Europa Cinema e il Photolux Festival. BIO - Gusmano Cesaretti ha lavorato a stretto contatto con alcuni tra i più grandi registi del cinema, da Michael Mann a Tony Scott e Marc Forster nei film Blackhat, Unstoppable, Nemico pubblico, The Taking of Pelham 123, Quantum of Solace, Miami Vice, Stay, Domino, Collateral, Ali, The Insider, Calore, l’Ultimo dei Mohicani, Manhunter. Ha lavorato con alcuni degli attori più conosciuti ad Hollywood, da Al Pacino a Russell Crowe, da Tom Cruise a Daniel Day-Lewis a Colin Farrell, Will Smith, Johnny Deep e molti altri. Gusmano ha curato numerose mostre nel suo studio a Pasadena (California). Il suo lavoro è stato descritto nel 2010 in un innovativo spettacolo Art in the Streets presso il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, coinvolgendo nell'organizzazione importanti writers e scrittori. Nel 2014 ha avviato la pubblicazione di Los Angeles FOTOFOLIO, una rivista di fotografie, esclusivamente in bianco e nero, di fotografi noti e talenti emergenti, nata per stimolare coloro che non riconoscono la fotografia come forma d'arte. Inizialmente distribuita in forma gratuita alle istituzioni della East Los Angeles e nel South Central, Los Angeles FOTOFOLIO è oggi accreditata in Europa e in Asia. Le fotografie di Cesaretti sono state esposte presso il Los Angeles County Museum of Art, il San Francisco Museum of Modern Art, l’Herbert F. Johnson Museum of Art presso la Cornell University, nella Galleria Roberts & Tilton e nel 2008 ha partecipato ad una grande mostra collettiva dal titolo This Side of Paradise: corpo e Paesaggio a Los Angeles, esposte presso la Biblioteca Huntington, collezioni d'arte e giardini botanici (San Marino). Le sue opere sono presenti nelle collezioni permanenti del Museum of Contemporary Art di Los Angeles e dello Smithsonian Institution a Washington, DC; edite in importanti libri pubblicati in Giappone, Gran Bretagna, Italia, Messico, USA. Nel 2016 il docufilm Take None Give None, nato nel 2010 da un profondo legame creatosi negli anni tra Gusmano Cesaretti e il Chosen Few Motorcycle Club in collaborazione con il fotografo Kurt Mangum, è stato premiato al Toronto Motorcycle Film Festival per aver catturato luce, movimento e suoni del più antico club motociclistico fuorilegge degli Stati Uniti nel South Central e nel 2017 è stato selezionato al Motoblot Film Festival. Nel 2018 Gusmano ha appena concluso il progetto espositivo Varrio, presso la Galleria Little Big Man a Los Angeles, mostrando e anticipando di oltre 40 anni la forza testimoniale della street photography. 20/3/2018 Io Dalí: un grande viaggio nella mente di uno dei più geniali artisti del XX secoloRead Nowdi Marianna Carotenuto Dal 1 marzo fino al 10 giugno 2018 il PAN - Palazzo delle Arti Napoli ospita una mostra dedicata al pittore Salvador Dalí. I visitatori possono scoprire la parte meno conosciuta della vita dell’artista, importante per comprendere la sua straordinaria personalità. Oggetto della mostra sono dipinti, disegni, video, fotografie e riviste, modo in cui il pittore è stato capace di creare il proprio personaggio rendendo opera d'arte ogni suo gesto. Dalí, non vuole limitarsi a un unico mezzo di espressione, quale la pittura, ma desidera andare oltre, fare altre scoperte, sperimentare nuove tecniche, cosicché diventa un artista poliedrico: pittore, disegnatore, pensatore, scrittore, amante delle scienze, illustratore, designer, creatore di gioielli, costumista, scenografo. È un artista che si è cimentato in tutti i campi della creazione, compresi i più innovativi come installazioni e performance di cui la mostra ne offre rappresentazione tramite filmati. L’artista catalano si contraddistingue anche per il suo spiccato senso dell’umorismo, come si evince dal video che ha per oggetto la sua partecipazione in veste di ospite a un popolare concorso televisivo: What’s My Line? trasmesso nel 1957 dall’emittente CBS. Le sue apparizioni in Tv sono tutt’altro che improvvisate: Dalí pianifica le proprie apparizioni pubbliche così da trarre vantaggio dalla grande popolarità ottenuta. Facendo riferimento al rapporto con i mass media, non possiamo dimenticare i due numeri della rivista Dalí, News, una palese allusione al celebre quotidiano Daily News, pubblicati rispettivamente nel 1945 e 1947, in concomitanza con le esposizioni dell’artista presso la Bignou Gallery di New York. Lo stesso artista ne chiarisce lo scopo: “Tuttavia, poiché nei giornali si trova di tutto [...] questa volta ho deciso di scrivere ciò che mi piacerebbe leggere su me stesso nei quotidiani”. Presenti alla mostra le numerose riviste che lo ritraggono in copertina. L’artista, protagonista di performance e show desidera promuovere la sua arte e se stesso ed inoltre arrivare al grande pubblico che nel tempo aspetta impaziente le sue esibizioni pubbliche sempre più audaci. Dalí inizia a pensare a se stesso in termini di un brand da promuovere. Egli stesso afferma dei mass media “[…] adoro utilizzarli perché, dal punto di vista pratico, dopo ci sono più persone che corrono dietro Dalí, e i quadri vendono più cari. E allora, visto che esistono, sarebbe del tutto sciocco non approfittarne”. Il suo essere incline alla pianificazione, è visibile anche nelle numerose fotografie di Philippe Halsman. Dalí viveva ogni fotografia, ogni evento come una performance e si impegnava affinché il suo aspetto e il suo comportamento venissero considerati surrealisti, proprio come la sua arte. Tra le più grandi ambizioni di Salvador Dalí c’è quella di stupire, sorprendere, spingersi oltre ogni limite, essere acclamato e adorato, è così che si assiste all’affermazione del Personaggio, ma l’artista è sempre attento a non rivelarsi troppo, consapevole di offrire al pubblico soltanto uno dei suoi tanti aspetti; poiché, dietro il personaggio c’è un uomo che ama la sua professione lavorando anche per 14h al giorno. Io Dalí è una mostra innovativa attraverso cui si cerca di spiegare chi è il geniale artista catalano, per poi rendersi conto che è impossibile. Dalí è un Enigma senza fine. Per info e biglietti: http://www.comune.napoli.it/io-dali Immagini tratte da: foto dell’autore di Olga Caetani Figure tragicamente isolate o masse convulse, dalle fattezze caricaturali e animalesche, goffe, ridicole, perché dire “satiriche” in molti casi è un eufemismo, si stagliano su fondali neri e impenetrabili. Personaggi bestiali, dai denti aguzzi e spaventosi, sembrano usciti dal peggiore dei propri incubi, tra i quali, per molti, vi è quello del comunismo russo, del socialismo, del liberalismo atavico e parassitario. La personificazione dell'Italia non è la consueta donna dalla corporatura androgina, massiccia e fiera, ma si presenta schiva e messa in disparte dalla minaccia dell'opposizione. Eminenti uomini politici, italiani e stranieri, sono derisi e umiliati, dinanzi a desolati paesaggi industriali e scarni profili cittadini, perfettamente in linea con gli sviluppi pittorici post-futuristi dell’illustratore. Falci e teste mozzate, tra cui spicca una Medusa caravaggesca, stillano mari di sangue nero, dai fiammeggianti bagliori crepuscolari. È senza dubbio la morte, oltre alla violenza delle rappresentazioni forti e propagandistiche, il fil rouge che collega e unisce le 100 illustrazioni in mostra al Lu.C.C.A., Lucca Center of Contemporary Art, le quali – allora e ancora oggi - colpiscono al centro il petto dell'opinione pubblica, in bilico tra retaggi fascisti e movimenti di stampo popolare. L’autore è un Mario Sironi (1885-1961) sconosciuto alla maggior parte della letteratura artistica, nonostante il fatto che la sua attività di illustratore e grafico per il quotidiano ufficiale del regime fascista, “Il Popolo d’Italia”, oltre che per ulteriori testate giornalistiche, precedentemente alla marcia su Roma, rappresenti un momento imprescindibile per la piena comprensione della sua produzione artistica. Nato come pittore futurista, dopo aver subito il fascino di Balla, Boccioni e Severini, si avvicina alla Metafisica, mentre, in seguito alla disillusione provocata dalla Prima guerra mondiale e dalle Avanguardie, il suo linguaggio si fa realisticamente sintetico ed essenziale, ben espresso dalle solitarie vedute di periferie urbane degli anni venti, che si riflettono anche in alcune vignette de “Il Popolo d’Italia”. L’esposizione prosegue al secondo piano di Palazzo Boccella, nel quale, avanzando anche a livello cronologico, le illustrazioni diventano sempre più semplici e pulite, caratterizzate da allegorie immediatamente riconoscibili e dai simboli - rigorosamente fuori scala a conferire loro monumentalità e preponderanza - del partito fascista, ora totalitario e invincibile. Compare anche Mussolini, glorioso e superbo, nel suo tagliente e inconfondibile profilo. Sironi partecipa attivamente come uomo, oltre che come artista, allo stesso modo di molti suoi colleghi all’epoca, alla nascita del fascismo, e vi crede fermamente. Se, fino al ’24, i temi privilegiati delle sue vignette satiriche e propagandistiche sono quelli della vittoria mutilata, della questione di Fiume e delle riparazioni di guerra, da quel momento in poi si tratta di legittimare e giustificare la violenza perpetrata dallo squadrismo. All'indomani dell'omicidio Matteotti, “Il Popolo d'Italia” inizia una vera e propria campagna diffamatoria contro Amendola, mentre la satira è davvero sfrenata nei confronti del senatore Albertini, direttore del Corriere della sera, di Turati, di De Gasperi e degli altri leader del “collaborazionismo antifascista”. La gigantografia dei titoli della testata crea volutamente scandalo, e le vignette di Sironi le fanno eco. Egli lavora in modo forsennato: per ogni illustrazione definitiva crea numerosissime prove e bozzetti. La china, la biacca, la tempera e il collage su carta, di memoria futurista, danno vita a una sorta di tuttotondo, quasi scultoreo e strutturale, non ignaro del Costruttivismo russo. La mostra si conclude con la visione di un documentario, il quale chiarisce molto la posizione politica di Sironi nei confronti dell'ideologia fascista – che meritava, forse, un po’ più di spazio di approfondimento - e il suo rapporto con la redazione de “Il Popolo d'Italia”, smantellata nel ’44, fortunatamente dopo aver salvato il corpus delle illustrazioni dell’artista dagli archivi. La mostra, a cura di Fabio Benzi, è visitabile fino al 3 giugno 2018, dal martedì alla domenica, ore 10-19, chiusa il lunedì. Per ulteriori informazioni: www.luccamuseum.com Immagini tratte da: www.luccamuseum.com www.pinacotecabrera.org www.pinacotecabrera.org www.mariosironi.org galleria di foto dell’autore 13/3/2018 Ozmo e la sua Street Art protagonisti al secondo appuntamento di "Preziose conoscenze"Read NowDialoghi d’artista a Palazzo Blu. Mercoledì 14 marzo alle 17.30 l’artista Ozmo, maestro dell’arte urbana italiana, sarà al centro del ciclo di incontri “Preziose conoscenze”. Le opere pubbliche di Ozmo sono presenti in luoghi significativi di tutti i continenti (da Miami a Shanghai); tra le sedi museali prestigiose ricordiamo il Museo del Novecento di Milano e il MACRO. L’artista, che la scorsa estate ha chiuso la prima edizione del Welcome to Pisa festival, curata Gian Guido Grassi, con l’opera muraria “Ritratto di Galileo Galilei” e l’opera “Al mare”, sarà protagonista dell’appuntamento in auditorium. Interverranno Davide Guadagni e Gian Guido Grassi. Una scelta, quella del presidente della Fondazione Palazzo Blu Cosimo Bracci Torsi che, con la volontà di ampliare e diversificare il proprio pubblico, apre per la prima volta le porte del museo all’arte urbana che si sta affermando sempre più in Italia e all’estero per la sua potenza espressiva e per la sua vivacità. Il legame di Pisa con la street art, l’arte urbana e i graffiti risale alla fine degli anni ’80 e ad inaugurarlo è stato il murale “Tuttomondo” di Keith Haring. La ricerca visiva figurativa di Ozmo si esprime variamente (con graffiti, installazioni, tele,…), attinge dalla tradizione con una sensibilità “rinascimentale” e fa frequente riferimento a fonti e citazioni che “remixa” con fantasia in chiave personale e contemporanea, elevandole spesso a simboli e riferimenti enciclopedici. “Per alcuni anni ho anche smesso di disegnare a mente, nel senso che il fatto di poter attingere non solo dalla mia fantasia, ma anche da immagini esterne, è stata un’idea che mi ha dato un sacco di spunti e mi ha permesso di agire in maniera abbastanza neutra… un po’ come se le figure che copiavo fossero dei ready made", racconta Ozmo. “Questo spazio all’interno di Palazzo Blu ̶ dichiara l’assessore Andrea Ferrante ̶ vera istituzione cittadina quando si parla di arte, rappresenta una strategia complessiva e testimonia la presenza in città di un fermento culturale che la caratterizza ormai da sempre. Inevitabile dunque un’attenzione delle istituzioni, come il Comune, l’Università e la Scuola Normale, a questo fenomeno che probabilmente rappresenta il movimento artistico globale di maggiore espressività della nostra epoca”. Pagina fb https://www.facebook.com/PalazzoBluPisa Profilo Instagram https://www.instagram.com/palazzoblupisa/ Profilo Twitter https://twitter.com/PalazzoBlu Hashtag Periodo Blu #periodoblu OZMO (Gionata Gesi), nato a Pontedera nel 1975, si forma all’Accademia di Belle arti di Firenze e, dopo un esordio nel mondo del fumetto, si concentra sulla pittura e sul writing; nel 2001 si trasferisce a Milano dove partecipa come protagonista alle idee innovatrici e alle correnti di rottura della sua generazione, gettando le basi insieme a un gruppo di amici di quella che sarebbe diventata la street art italiana: di questi anni rimane come emblema il Leoncavallo, dove ha dipinto parte di quella che Sgarbi ha definito la “Cappella Sistina della modernità”; ama però tornare in Toscana e ha già omaggiato la propria città natale con “il ritratto di PI” e l’iconografico “ritratto di Galileo Galilei”. La sua ricerca visiva figurativa si esprime variamente (con graffiti, installazioni, tele,…) ed è immaginifica; attinge dalla tradizione con una sensibilità “rinascimentale” e fa frequente riferimento a fonti e citazioni che “remixa” con fantasia in chiave personale e contemporanea elevandole spesso a simboli e riferimenti enciclopedici: “la fantasia è il collante invisibile che lega tutto. Gli elementi X, per i quali attingo dalla tradizione non necessariamente artistica, sono cose che preesistono indipendentemente dai miei disegni, che incontro nella vita di tutti i giorni e poi anche nella pratica artistica. Alla base però c’è la fascinazione per le immagini, è un qualcosa che subisco sin da bambino ed è l’attitudine che muove tutto. Per alcuni anni ho anche smesso di disegnare a mente, nel senso che il fatto di poter attingere non solo dalla mia fantasia ma anche da immagini esterne è stata un’idea che mi ha dato un sacco di spunti e mi ha permesso di agire in maniera abbastanza neutra… un po’ come se le figure che copiavo fossero dei ready made. E poi c’era anche l’aspetto del furto, ossia di appropriarsi indirettamente prima di tutto degli spazi urbani e poi anche delle fonti, riprendere dei quadri famosi…”. Le sue opere pubbliche sono presenti in luoghi significativi di tutti i continenti (da Miami a Shanghai) e, tra le sedi museali prestigiose che hanno ospitato le sue numerose esposizione ricordiamo il Museo del Novecento di Milano e il MACRO sul quale ha realizzato un’opera permanente. http://www.ozmo.it/ di Antonio Monticolo CAIRO - L’antico Egitto non finisce mai di stupire. Pochi giorni fa il ministro delle Antichità ha annunciato la scoperta di una necropoli nei pressi Minya non lontano dal Cairo, a nord di Tuna al-Gabal. Si tratta di un’antica necropoli databile alla seconda metà del I millennio a.C. La necropoli consta di numerose tombe con quaranta sarcofagi e mille statue. Le tombe si datano al periodo tardo tra il 672-332 a.C. (XXVI e XXXI dinastia) e al periodo di Tolomeo, generale di Alessandro Magno, che, dopo la morte del re macedone, ottenne il trono d’Egitto. Secondo il ministro delle Antichità ci vorranno almeno altri cinque anni per indagare l’intero complesso. Dalle prime notizie sembra che le tombe appartengano ai sacerdoti di Thot e ai loro familiari. Sui vasi canopi (vasi che contenevano gli organi interni del corpo) ritrovati all’interno di una tomba, un sacerdote è chiamato djehuty irdy es (uno dei grandi cinque), titolo riservato al sacerdote di Thot più anziano. La mummia del sommo sacerdote è decorata con perle, uno scarabeo, un geroglifico come augurio di buon anno e fogli di bronzo. Per nuove notizie occorrerà aspettare un po’ di tempo. Immagini tratte da: Foto 1: euronews.com Foto 2: LSDmagazine di Ilaria Ceragioli Quando si parla di arte e di capolavori spesso tendiamo a ricollegarci al passato, trascurando il presente. Dunque, dimentichiamo che ancora oggi esistono artisti di notevole spessore, capaci di smuovere magistralmente l’animo dello spettatore. Tra questi vi è, senza dubbio, un pittore impressionista statunitense che si sta chiaramente affermando sulla scena dell’arte contemporanea, stiamo parlando di Ron Hicks Ron Hicks nasce nel 1965 a Columbus, nella capitale dello Stato dell’Ohio e attualmente lavora come docente presso The Art Students League di Denver. Sin da subito emergono le sue abilità artistiche, infatti, ha soli 13 anni quando i suoi professori si accorgono del suo spiccato e indiscutibile talento. Durante gli anni del liceo ottiene una borsa di studio che gli permette di svolgere studi artistici al Columbus Collage of Art and Design dove consegue la laurea in belle arti e illustrazione. Comincia così a lavorare per agenzie e per riviste nelle vesti di illustratore, mentre la pittura lo accompagna durante le notti insonni. Ron Hicks descrive la sua attività pittorica in questi termini: “Vedo cose molto astratte, quindi penso a me stesso come un pittore che vede forma, valore, bordi e texture. Mi piace romanzare la vita. Amo l’interazione delle persone che fanno qualcosa, qualunque cosa sia. Potrebbe essere la cosa più banale, ma trovo grande bellezza in questo.” La sua, di fatto, è una pittura che esprime e riproduce la quotidianità e la spontaneità dei gesti, degli atteggiamenti e dei sentimenti umani. L’artista si introduce senza esitazione nell’intimità e nell’interiorità dei suoi soggetti, abitualmente collocati in ambienti di vita comune. Spesso, infatti, sono raffigurati seduti al tavolo di un bar anni ‘30, in una locanda, in auto o semplicemente su una panchina. Immortala così quei teneri e attesi istanti che precedono un bacio, un abbraccio o un qualunque atto amorevole che incornicia l’esistenza umana. Esemplari sono i due dipinti che seguono: L’immedesimazione nei protagonisti delle tele di Ron Hicks è pressoché naturale e inevitabile. Inoltre, l’artista statunitense non tende a utilizzare colori puri, bensì adopera ampiamente diverse tonalità del grigio e del marrone. Colori cupi, a tratti modellati da una debole luce. Le opere di Ron Hicks, dunque, sono il risultato di un’attenta e suggestiva osservazione e comprensione dei moti dell’anima e delle sensazioni che se ne traggono. Una manifestazione di emozioni tutt’altro che insolite, nonché l’emblema di un’arte “romantica” e senza tempo destinata a travolgere e a conquistare chiunque l’ammiri. Immagini tratte da:
www.ronhicks.com |
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Gennaio 2022
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