di Nicola Avolio " Qualche giorno fa, il 10 marzo per la precisione, sono stato in visita al PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) in occasione della mostra dedicata al grande incisore e grafico olandese Maurits Cornelis Escher, presente all’interno della struttura museale fino al prossimo 22 aprile: una mostra che non mette in risalto solo le opere del grande artista amatissimo dal pubblico, ma anche l’influenza che esse hanno avuto nel mondo del cinema, della musica e dello spettacolo, con artisti a lui successivi che hanno preso spunto, per i loro capolavori, proprio dalle opere dell’olandese. Tra le 200 opere esposte, quella che mi ha maggiormente colpito e di cui parlerò in questo articolo è "Relatività", una litografia realizzata da Escher nel dicembre del 1953: un’opera che riassume il concetto di “paradosso”, il quale accompagna l’artista olandese a partire dalla seconda fase del suo operato, che seguì la prima fase in cui Escher si dedicò alla produzione di xilografie e litografie raffiguranti paesaggi e scorci, specie di paesaggi italiani (Roma e gli Abruzzi in particolare). Un’immagine composta da più immagini, da più scene possibili: notiamo uomini che assomigliano a delle pedine di scacchi salire alcune rampe di scale, altri che si affacciano ad un balcone, altri ancora che scendono, ed è proprio qui che sta il paradosso, un’immagine impossibile composta da tante scene possibili, tante scene quanti sono gli occhi degli osservatori che si perdono nel seguire i percorsi delle varie figure rappresentate, sfociando quindi nell'incomunicabilità, in un mondo in cui gli uomini svolgono ognuno il proprio compito e, per quanto vicini, destinati a non incontrarsi mai, uomini muti e inconsapevoli di ciò che accade intorno a loro: e per questo parliamo di un mondo relativo, un mondo senza un punto di vista ben preciso, ed è questo elemento che dà, appunto, il titolo all’opera. Ma una speranza, secondo Escher, esiste, ed è rappresentata dalla coppia che cammina abbracciata, in alto a sinistra: la speranza di ritrovarsi in una prospettiva, di muoversi sullo stesso pavimento, perché l’amore fa ritrovare le strade, è il punto d’incontro per una vista comune. E quando si cammina in due, si fa sempre prima. L’immagine della litografia, nonché l’ultima citazione dell’articolo che mi ha particolarmente colpito in ambito di chiusura articolo, le ho tratte dal seguente sito: https://piantatastorta.wordpress.com/2012/09/04/e-sempre-questione-di-punti-di-vista-relativita-di-m-c-escher/
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di Andrea Samueli
Da una parte, in uno spazio esterno, notiamo alcuni animali da soma intenti a camminare intorno a strane strutture, che capiamo essere delle macine per il grano: sono composte da due parti in pietra, una fissa a forma di cono (meta) ed una superiore girevole a forma di doppio tronco di cono (metillus). Lo sfregamento delle due componenti permette al grano di essere macinato e la farina ottenuta si raccoglie in un catino di metallo posto sopra lo zoccolo in muratura. Da notare che la forma del metillus permette al proprietario di invertirlo in caso di deperimento. Vicino alle macine si trova il forno (furnus), non dissimile da quelli cui siamo abituati anche ai nostri tempi. Pensate che in uno di questi forni (il pistrinum di Modesto) sono state rinvenute ben 81 pagnotte circolari con spicchi incisi. La farina per ottenere pani e focacce viene impastata a mano o con apposite macchine, composte da recipienti dentro i quali ruotano assi di legno dotati di pale, come nelle moderne impastatrici. Il forno che stiamo osservando non presenta il bancone per la vendita poiché la sua produzione è rivolta ad altre botteghe, una vendita all'ingrosso diremmo oggi, con consegna effettuata da schiavi muniti di grandi cesti; molti hanno però annessa anche una bottega per la vendita al dettaglio: un semplice banco con i pani disposti ordinatamente e uno scaffale alle spalle del venditore con altri prodotti. Anche in questo caso ci stupisce la somiglianza con le nostre panetterie. Cosa ne dite? Ci siamo meritati una gustosa frittella? Immagini tratte da:
Una grande mostra evento su Antonio Canova che porta a Napoli ben sei prestiti eccezionali dal Museo di San Pietroburgo, dove sono conservati il maggior numero dei capolavori in marmo del maestro. L’evento, reso possibile grazie a una serie di collaborazioni avviate nel 2017 con il Museo Statale Ermitage, metterà in relazione, per la prima volta, l’arte sublime dello scultore con l’arte antica e con i modelli che lo seppero ispirare.
Il percorso espositivo - a cura di Giuseppe Pavanello, affiancato da autorevoli studiosi e dalla direzione dei due musei promotori - accompagnerà i visitatori tra marmi e gessi di Canova, bozzetti, disegni e tempere del grande artista, in prestito da musei internazionali, posti accanto a capolavori delle raccolte del Mann. Dove Napoli Quando da Giovedì 28 Marzo a Domenica 30 Giugno 2019 Orario 09.00 - 19.30 Tutti i giorni. Martedì chiuso. Dal 16 dicembre 2018 al 17 marzo 2019, Palazzo Farnese di Piacenza ospita una mostra che ripercorre l’epopea del grande condottiero cartaginese.
L’esposizione ANNIBALE UN MITO MEDITERRANEO, curata dal professor Giovanni Brizzi, accademico italiano e massimo esperto di Annibale, è un viaggio nella storia del Mediterraneo all’epoca delle Guerre Puniche, attraverso la vicenda dell’uomo che osò sfidare Roma. ANNIBALE UN MITO MEDITERRANEO offre una lettura innovativa delle vicende del condottiero cartaginese. Affianca all’esposizione dei reperti (ceramiche, armi, dipinti) provenienti da collezioni italiane e straniere, un apparato tecnologico che arricchisce e rende dinamico e coinvolgente il racconto, orienta le modalità di comunicazione e movimenta l’allestimento. Pensato come esperienza immersiva, con installazioni audiovisive, animazioni grafiche, teche olografiche interattive e videoinstallazioni, il percorso della mostra si snoda negli spazi sotterranei di Palazzo Farnese con varie sezioni tematiche che raccontano l’avventura del protagonista, con la sua voce a far da guida nei passaggi nodali del racconto. Nelle prime sezioni due diverse linee del tempo introducono allo scenario storico del III secolo a.C., accanto ad una teca olografica con cui il pubblico potrà interagire, mentre una videoproiezione immersiva consente di affacciarsi sul Mediterraneo. La famiglia di Annibale, la sua città d’origine, la formazione culturale, la sua ascesa politica e militare sono raccontati attraverso schermi e pannelli grafici mentre una spettacolare ambientazione scenografica immersiva è dedicata all’episodio della traversata delle Alpi, con effetti speciali di suoni e di immagini in movimento. Un focus particolare è riservato all’arrivo del condottiero a Piacenza e una sala intera ospita il racconto delle sue più famose battaglie: grandi schermi a parete mostrano gli schieramenti dei due eserciti, gli armamenti, le caratteristiche tattiche, mentre un grande tavolo circolare con videoproiezione consente di rivivere su una mappa virtuale i combattimenti. La mostra prevede anche una sala cinema lungo il percorso, con proiezione di film storici ed esposizione di rari costumi scenici ispirati alla storia del condottiero. Molte le iniziative collaterali in programma: cicli di incontri e conferenze con giornalisti, storici, divulgatori; visite guidate, laboratori didattici per le scuole di primo e secondo grado, eventi teatrali e pubblicazioni. PIACENZA – PALAZZO FARNESE 16 DICEMBRE 2018 – 17 MARZO 2019 #annibaleapiacenza Curatore: GIOVANNI BRIZZI 5/3/2019 La collezione cinese e giapponese del Museo Nazionale delle Ceramiche "Duca di Martina" di NapoliRead Nowdi Nicola Avolio Una delle rarità presenti nella città di Napoli è certamente costituita dalla collezione di manufatti cinesi e giapponesi presente nel Museo Nazionale delle Ceramiche “Duca di Martina”, sito nel quartiere Vomero della città partenopea: essa fa parte dell’immensa collezione appartenuta a Placido de’ Sangro, ossia il Duca di Martina, il quale viaggiò in lungo e in largo per l’Europa e acquistò numerosi manufatti sia di manifattura occidentale che di manifattura orientale. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1891, la collezione passò nelle mani dell’omonimo nipote e, dopo la morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1911, la collezione fu donata dalla moglie di quest’ultimo, la principessa Maria Spinelli di Scalea, in eredità al Comune di Napoli e, affinché se ne evitasse la dispersione, come luogo deputato alla conservazione di questa collezione fu scelta, appunto, la Villa Floridiana, nella quale fu istituito, nel 1931, il Museo Duca di Martina. Nel corso del primo allestimento museale, effettuato nel 1927 da Carlo Giovene duca di Girasole, la collezione orientale fu collocata al piano nobile della villa, precisamente dalla sala 17 alla 22, in concomitanza con le porcellane di manifattura napoletana ed europea; il secondo allestimento fu effettuato nell’immediato dopoguerra, precisamente nel 1945, dal sovrintendente Bruno Molajoli e dall’allora direttrice del Museo Elena Romano, nel corso del quale fu restaurato e riaperto al pubblico il piano seminterrato della villa, nel quale fu poi collocata la collezione orientale; essa però chiuse al pubblico negli anni ’70 a causa della mancanza di fondi e fu riaperta solo nel 1986 sfruttando i fondi F.I.O. (Fondi per l’Investimento e per l’Occupazione). La collezione, che conta più di 3000 manufatti, risulta essere una delle più importanti sia a livello nazionale che internazionale, e si compone di numerosi manufatti provenienti dalla Cina e dal Giappone: per quanto riguarda i manufatti cinesi, sono presenti numerosi oggetti in giada, lacca, bronzo e avorio, numerosi vasi, statuette votive e teiere risalenti ai periodi Ming e Qing e appartenenti allo stile “bianco-blu”, alla “famiglia Rosa” (ovvero con il colore rosa che predomina nel manufatto), alla “famiglia Verde” (con il verde che predomina), numerosi monocromi e il preziosissimo Tamburino Tang, un piccolo manufatto in terracotta risalente al VIII secolo circa e raffigurante un cavaliere a cavallo. In quanto ai manufatti giapponesi, abbiamo, anche qui, numerosi vasi, piatti, teiere e statuette votive appartenenti allo stile Kakiemon, che trae il nome dal famoso ceramico giapponese vissuto nel IV secolo, e Imari, dal nome del porto giapponese dal quale questi manufatti venivano imbarcati alla volta dell’Europa tramite la Compagnia delle Indie Orientali. Immagini tratte da: La foto della facciata della Villa Floridiana è stata scattata da me personalmente, la foto del duca Placido de’ Sangro è tratta dal sito “http://www.nontistavocercando.it/2011/02/21/la-giacca-del-duca/” e tutte le foto dei manufatti cinesi e giapponesi sono tratte dal sito del Polo Museale della Campania (http://www.polomusealecampania.beniculturali.it/index.php/le-collezionidm) |
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Gennaio 2022
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