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23/3/2021

Giovanni Balderi: la scultura come poesia dell’anima

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di Ilaria Ceragioli
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Giovanni Balderi, Un dolce incontro, 2009.
Spesso la scultura è per il suo creatore motivo di evasione da una realtà complessa, talvolta travagliata e sofferente. Per lo scultore Giovanni Balderi è un’ àncora di salvezza, un porto sicuro nel quale approdare per placare stati emotivi avversi e celebrare istanti di quiete e di spensieratezza.
Balderi nasce nel 1970 a Seravezza, un piccolo comune della Toscana situato in prossimità delle Alpi Apuane, note in tutto il mondo per la presenza di cave dalle quali si estrae il prestigioso “Marmo di Carrara”. Il legame tra la sua terra natìa e questo prezioso materiale appare sin da subito pressoché innato e, per questo, destinato a durare in eterno.
La formazione artistica di Giovanni Balderi ha inizio nel 1984 con il maestro Ledo Tartarelli e nel 1990 si diploma presso l’Istituto Statale d’Arte “Stagio Stagi” di Pietrasanta, ottenendo ben due borse di studio.
La sua straordinaria maestria e la sua pulsante passione per l’attività scultorea lo portano a rivestire anche il ruolo di insegnante di scultura in Australia e in America. Queste esperienze saranno per lui e per i suoi allievi fonte di grande ricchezza professionale e umana.
Delicatezza, sinuosità ed eleganza sono le caratteristiche che immediatamente rapiscono lo sguardo di chi osserva i suoi lavori. I soggetti, spesso corpi di figure femminili somiglianti a vere e proprie veneri, esprimono la stessa sensibilità e le medesime emozioni con le quali l’artista si approccia alla materia.
Ne è un chiaro esempio In attesa (2017) opera che rientra all’interno di un ciclo di sculture non ancora concluso e ispirato al tema della Venere.
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Giovanni Balderi, In attesa, 2017.
Qui, l’artista va cercando l’ideale di bellezza, l’armonia della forma e l'intensità dell'esistenza. 
Il corpo della figura femminile che si sviluppa oltremodo in senso verticale, divenendo così un ponte che intende condurci altrove, è sapientemente ridotto all’essenziale; i seni sembrano assolvere il ruolo normalmente associato agli occhi, mentre l’ombelico diviene il nucleo intorno al quale tutto ruota e si origina.
Il lavoro di Balderi traduce e immortala un sentire fulmineo, talvolta, preceduto e accompagnato dalla scrittura su diari e fogli di carta di precordi pensieri e intime sensazioni. È così che le sue opere conferiscono solidità e concretezza ai suoi versi poetici. 
Nel descrivere la sua attività pertanto afferma:
Ogni blocco ha dentro di sé la tua anima,
la possiede,
la imprigiona,
la libera.
Puoi solo scriverla nel tuo tempo,
per farne un'eco, che se sostenuto dalle mani del mondo,
feconderà gli occhi che ancora non vedono,
che emozionerà cuori, che ancora non battono...
Puoi così sopravvivere,
nel cuore
e nell'Anima del mondo,
semplicemente danzando,
sopra una spiaggia di Marmo.
Balderi sostiene che nell’atto di scolpire niente viene tolto, al contrario, molto viene aggiunto, conferendo così senso e forma a quei volumi che dialogano e si armonizzano sapientemente con la materia stessa.
Di conseguenza, Il Bacio (2008) diventa l' emblema di un atto senza tempo, un istante intenso e fugace che racchiude l’ eternità di un momento irripetibile e per questo indimenticabile. 
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Giovanni Balderi, Il Bacio, 2008.
Il Bacio è un’opera legata a un amore passato, ormai svanito, che:
 accarezza e commuove nel suo dover abbandonare la bellezza, una bellezza che puoi solo
accarezzare e non trattenere
, che svanisce tra le mani come sabbia, come acqua e la puoi solo
respirare. Credo che la vita abbia senso e spiegazione nella natura, nel battito, nel respiro
che prendi e restituisci.
Decisamente raffinato e soave è Il Canto della Rosa (2014).
Foto
Giovanni Balderi, Il Canto della Rosa, 2014.
Per lo scultore versiliese le rose rappresentano “il pretesto per andare altrove, una fase, un momento di passaggio osservato e raccontato con le mani”. 
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Giovanni Balderi, Rose Gemelle, 2012.
Dal blocco di marmo nasce anche Il sogno di una Sirena (2018), capolavoro eseguito per la Starbucks Reserve Roastery di Milano. 
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Giovanni Balderi, Il sogno di una Sirena (fronte), 2018.
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Giovanni Balderi, Il sogno di una Sirena (retro), 2018.
Balderi ideò una fascinosa sirena bicaudata immaginando che, in una placida notte, questa creatura leggendaria si fosse recata sulla spiaggia e abbandonata ai propri sogni. Per lo scultore toscano i sogni sono luoghi meravigliosi in cui trovare la giusta rotta e la stella polare da seguire per sopperire al banale e quotidiano vivere. Dunque:
La nostra Sirena ci esorta a trovare ciò che stiamo cercando
persino ciò che non abbiamo ancora immaginato.
Foto
Giovanni Balderi, Il sogno di una Sirena (fronte), 2018, particolare.
I lavori di questo eccellente scultore appartengono attualmente a importanti collezioni private e pubbliche e sono state oggetto di numerose mostre personali e collettive. Degne di nota sono le esposizioni personali del 2010 presso il prestigioso Montgomery Museum of Fine Arts in Alabama; quella del 2013 intitolata “Dal labirinto dell’anima” allestita all’interno del Museo Etrusco Guarnacci di Volterra; e, la più recente, “L’eco del tempo” tenutasi nel 2017-2018 presso il Palazzo Tornabuoni di Firenze.
Balderi ha partecipato anche a svariate esposizioni collettive tra le quali segnalo: "Cleopatra: Da Michelangelo all'arte contemporanea" allestita nel 2003 a Baku in Azerbaijan; la “Biennale di scultura – Roma” tenutasi nel 2011 a Villa Torlonia; la “Biennale di Venezia (by Vittorio Sgarbi)” allestita nel 2012 a Torino presso il Palazzo delle Esposizioni; e per finire, l’ultima organizzata nel 2019 all’interno della Galleria Frilli a Milano in occasione del “Salone del Mobile”.
Foto
Giovanni Balderi, Anima di pietra grida, 2008.
Dunque, le opere di Giovanni Balderi sono poesie dell’anima che diventano sculture, nonché manifestazioni di quell’appassionato respiro generato e alimentato da un dono fuori dall'ordinario capace di emozionarci e condurci verso un mondo che guarda con incanto e audacia ai desideri e alla speranza.
  
Immagini tratte da:
www.giovannib.it

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9/3/2021

Il mistero della Dama con liocorno di Raffaello

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di Marianna Carotenuto
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Un’aura di mistero avvolge la Dama con liocorno di Raffaello, un olio su tavola datato tra il 1505 e il 1506, corrispondenti agli anni del soggiorno fiorentino dell’artista, ed attualmente custodito nella Sala Didone della Galleria Borghese di Roma.

Il dipinto ritrae una giovane donna dai capelli biondi e gli occhi azzurri, che seduta col busto ruotato di tre quarti verso sinistra, ha sul grembo un piccolo liocorno. Due colonne ne incorniciano la sua figura, mentre alle spalle si intravede un paesaggio con alberi e colline, attraversato, sembrerebbe, da un lago; le tinte fredde della natura creano così un contrasto con le tonalità calde della sua pelle, dei gioielli e dell’abito che indossa.

Il mistero aleggia sull’identità della donna.

Chi è la dama con il liocorno?

La giovane effigiata è sicuramente una fanciulla fiorentina, come si evince dal prezioso abito alla moda dei primi anni del Cinquecento, la gamurra , con le maniche di velluto rosso e il corpetto dall’ampia scollatura fatto di seta marezzata .
I lunghi capelli biondi sono raccolti sul retro, mentre sulla testa si intravede un piccolo diadema. La ragazza volge i suoi occhi azzurri verso l'esterno e guarda in una direzione che non sembra essere quella dello spettatore.
Al collo ha una collana d’oro che si annoda per poi finire con un pesante pendente sul quale sono incastonati un piccolo smeraldo, un grosso rubino e una goccia a perla.
​

Ortolani mise a confronto questo dipinto con un disegno conservato al Louvre, vedendo nella donna ritratta, Maddalena Strozzi, moglie di Agnolo Doni. La posa, i gioielli della donna ma anche l’eleganza dell’abito e la presenza del liocorno potrebbero rimandare alle nozze tra i due.

Foto
In realtà non conosciamo con certezza chi sia stato a commissionare l’opera, non avendo notizie documentarie certe.
E’ probabile che si tratti di un dono di nozze. Lo suggeriscono alcuni dettagli, in particolare il rubino e lo zaffiro applicati sul pendente, che alludono alle virtù coniugali e al candore virginale della sposa. La perla inoltre è simbolo dell’amore spirituale e della femminilità creatrice e il nodo della collana stesa è un chiaro riferimento al vincolo matrimoniale.
Allo stesso modo è stata interpretata la presenza del piccolo unicorno sul suo grembo. Si tratta di un animale fantastico che nella letteratura medievale simboleggiava la castità. La leggenda narra che, l’unicorno, alla vista di una fanciulla vergine, corresse verso di lei per adagiarle il capo sul seno e addormentarsi tranquillo.
La posa della Dama con liocorno, ma anche il suo sguardo e il modo in cui stringe l'animale, farebbero intravedere somiglianze con la Dama con l’ermellino di Leonardo a cui potrebbe essersi ispirato Raffaello. Avvalora questa tesi anche lo schema compositivo del ritratto che ricorda quello della Gioconda.
Il mistero circa l’identità della dama ritratta non è ancora stato svelato.

Dietro il dipinto si celerebbero ben quattro fasi pittoriche.
Inizialmente sarebbe stato eseguito il ritratto di una donna fiorentina con alle spalle una finestra spalancata su un paesaggio. Non vi era traccia delle mani e delle maniche della veste e ciò ha fatto supporre l’incompletezza del lavoro.
Successivamente un secondo artista avrebbe completato il dipinto aggiungendo anche un piccolo cane, simbolo di fedeltà coniugale e delle due colonne ai lati della finestra.
Solo in una terza fase sopra il cane sarebbe stato dipinto il liocorno, e nell’ultima fase, il ritratto della nobildonna fiorentina si sarebbe trasformato nella rappresentazione di Santa Caterina di Alessandria.
Prima del restauro del 1935 quindi l'opera rappresentava la donna con la palma e la ruota dentata, attributi della Santa.

Il dipinto ebbe nel tempo diverse attribuzioni. Furono Cantalamessa e poi Longhi a ribadirne l’attribuzione raffaellesca.
Longhi inoltre riteneva che l’autore delle aggiunte fosse stato il pittore fiorentino Giovanni Antonio Sogliani, che avrebbe ridipinto le mani, il mantello, le maniche del vestito aggiungendo la ruota dentata del martirio. Questi particolari, che hanno caratterizzato il dipinto sino al 1935, sono stati poi eliminati in seguito ad un intervento di restauro. Della Pergola invece collegò il dipinto dell’inventario Aldobrandini con Raffaello. La Dama col liocorno compare negli inventari settecenteschi, e talvolta è confusa con la Santa Caterina della National Gallery di Londra, datata 1508, realizzata sempre da Raffaello.
Foto

Immagini tratte da:
www.galleriaborghese.beniculturali.it
www.arte.it
​
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https://www.iltermopolio.com/archeo-e-arte/i-segreti-nascosti-dietro-le-opere-darte

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2/3/2021

Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600

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di Olga Caetani
A Milano, nella suggestiva cornice di Palazzo Reale, in Piazza Duomo, sarà prossimamente inaugurata la straordinaria mostra Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, curata da Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié, e realizzata da Arthemisia, con il sostegno della Fondazione Bracco. Un’esposizione unica e di stringente necessità, per far luce sui nomi, più o meno oscuri, delle numerosissime donne che hanno dominato il panorama artistico a cavallo di due secoli tanto difficili quanto affascinanti, imprimendovi il loro inconfondibile e raffinatissimo tocco femminile.
Foto
Fede Galizia, Giuditta con la testa di Oloferne, 1596
Nel rispetto delle attuali norme di contenimento dell’emergenza sanitaria in corso, l’apertura al pubblico della mostra è stata posticipata a data da destinarsi, ma è possibile pregustarne un’esaustiva anticipazione grazie al virtual tour in diretta guidato dall’esperto d’arte Sergio Gaddi. Passeggiando virtualmente tra le sale della mostra, che si succedono secondo un allestimento chiaro, sintetico e, al tempo stesso, elegante, sembra di rileggere i capitoli iniziali del libricino Quando anche le donne si misero a dipingere, che Lucia Lopresti, in arte Anna Banti, scrisse nel 1982, rivisto e ampliato con tesi e nomi inediti, attraverso le oltre 130 opere esposte, di mano di ben 34 pittrici, con l’incursione di una ancor più rara scultrice cinquecentesca, Properzia de’ Rossi, e dell’unica architetta del Seicento, Plautilla Bricci. Molto efficace la scelta di collocare i dipinti di Artemisia Gentileschi, la più nota ed eroica di tutte le donne, al termine del percorso, organizzato in cinque sezioni tematiche che valicano i confini dell’ordinamento cronologico. Sofonisba Anguissola, prima, in termini di modernità e celebrità, fra le artiste citate da Vasari nelle Vite, introduce a pieno titolo le donne nell’arte, incarnando nella sua persona i dettami di Baldassar Castiglione, il quale, nell’opera Il Cortegiano, raccomanda che anche alle donne sia fornita un’educazione intellettuale, cosicché diventino parte attiva della società. ​
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Sofonisba Anguissola, Le sorelle Lucia, Minerva ed Europa giocano a scacchi, 1555
Fondamentale in proposito il contributo dato alla pittura dalle nobildonne come Irene di Spilimbergo, Lucrezia Quistelli della Mirandola, Claudia Del Bufalo, cresciute in una condizione privilegiata tale da favorirne il precoce approccio alla tavolozza e ai pennelli, preceduto dal ricamo, considerato propedeutico alla pittura stessa e seme dell’attenzione maturata per la riproduzione su tela di seta, organza, taffetà, oltre a gioielli e ornamenti preziosi. Determinante l’attività artistica delle donne vissute nell’ombra e nella clausura dei conventi femminili, le cui opere sono investite di sensibilità e spiritualità altissime. Vale per tutte l’esempio della fiorentina suor Plautilla Nelli, protagonista, nel 2017, di una mostra agli Uffizi a lei interamente dedicata. Affascinante, poi, il ruolo spesso autonomo e indipendente assunto dalle donne all’interno delle botteghe artistiche paterne, tale da superare in bravura, notorietà e bellezza le opere dei padri e dei fratelli pittori. Al cantiere bolognese, si attribuisce un primato nel campo delle presenze femminili in pittura, dato che la “Felsina pittrice” ha dato i natali a personalità di spicco: Lavinia Fontana, Ginevra Cantofoli, Elisabetta Sirani, i cui dipinti sono stati spesso erroneamente confusi e attribuiti a più celebri e consuete mani maschili, e che la mostra finalmente restituisce alle legittime autrici.
Foto
Lavinia Fontana, Autoritratto nello studio, 1579
Ritratti di famiglia, trionfi floreali, nature morte, ma anche aulici soggetti religiosi, mitologici e allegorici, reinterpretati in chiave personale e, a tratti, “femminista”, sono i temi e i generi maggiormente frequentati dalle pittrici, al pari dei colleghi uomini, dai quali otterranno il dovuto riconoscimento quando saranno ammesse all’Accademia di San Luca nel corso del Seicento.
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Artemisia Gentileschi, Suicidio di Cleopatra, 1620, particolare

Il prossimo appuntamento per visitare l’imperdibile mostra virtuale è domenica 7 marzo alle ore 18:00. Per informazioni e prenotazioni: https://www.lesignoredellarte.it/art-live/
​

Immagini tratte da:
  • wikipedia.org

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