IL TERMOPOLIO
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26/4/2016

Scoperti ottanta scheletri ad Atene: i Cilonidi?

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di Antonio Monticolo

ATENE - Ottanta scheletri sono stati ritrovati in due tombe comuni in un’area che dista pochi chilometri dal centro di Atene e che oggi è interessata dai lavori per la Biblioteca Nazionale Greca e per l’Opera Nazionale Greca. È un’area di oltre quattromila Km2 che nel corso del tempo ha già restituito agli archeologi altri scheletri. Ben trentasei degli ottanti scheletri ritrovati da poco presentano una particolarità: le mani sono legate con lacci di ferro! Erano ammanettati e potrebbero essere stati uccisi, molto probabilmente, con un’esecuzione.
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Area interessata dai lavori per la Biblioteca Nazionale Greca e per l’Opera Nazionale Greca
Attraverso l’analisi dei denti è stato evidenziato che questi individui, al momento della loro morte, erano giovani e forti. Inoltre, il ritrovamento di due piccoli vasi nello stesso livello delle sepolture ha permesso di datare questi scheletri fra il 675 e il 625 a.C.
Gli archeologi hanno ipotizzato, sin da subito, che questi individui possano essere stati i seguaci di Cilone (i Cilonidi). Cilone tentò di raggiungere la tirannide ad Atene intorno alla seconda metà del VII sec. a.C. come ci narrano Erodoto (Storie, III, V, 71, 1-2), Tucidide (La Guerra del Peloponneso I, 126-127) e Plutarco (Vite Parallele, Solone, 12)  .

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Alcuni degli scheletri rinvenuti ad Atene
Fra i tre, Tucidide ci narra l'episodio in modo più approfondito. Racconta che Cilone (Cylon) era un Ateniese vincitore dei giochi olimpici e che aveva sposato la figlia di Teagene tiranno di Megara. Un giorno, Cilone interpellò l’oracolo di Delfi e ottenne come responso dal dio che avrebbe dovuto occupare l’acropoli di Atene nella più grande festa in onore di Zeus. Allora arruolò un gruppo di uomini armati fra le milizie di Teagene. Giunte le Olimpiadi, Cilone, convinto che fosse questa la festa più importante in onore di Zeus, occupò l’acropoli di Atene per diventare tiranno della città. Cilone però interpretò in modo errato il responso, infatti egli pensò alla festa più grande di Zeus nel Peloponneso e non a quella dell' Attica: le Diasie.
Gli Ateniesi, una volta venuti a conoscenza di ciò che stava accadendo, li assediarono circondandoli. Passato un po’ di tempo, gli abitanti di Atene lasciarono ai nove arconti (la più alta carica politica ad Atene del tempo) l’incarico di provvedere alla guardia. Nel frattempo, gli assediati iniziarono a soffrire la fame e la sete. I Cilonidi si asserragliarono come supplici nel recinto del tempio di Atena situato sull’acropoli, mentre Cilone riuscì a scappare con il fratello. Poiché gli arconti non volevano che i supplici perissero in un luogo sacro, li fecero uscire con la falsa promessa di avere salva la vita. Invece, appena usciti, li catturarono e li ammazzarono.
La data di tale avvenimento è il 632-630 a.C. ca. e rientrebbe nell'arco cronologico tracciato dagli archeologi per questi scheletri. Al momento questa è un’ipotesi affascinante e suggestiva, ma avrà bisogno ancora di un po’ di tempo per essere suffragata del tutto.

Immagini da:
- Google Maps
- www. urbanpost.it


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26/4/2016

A tavola con gli antichi Romani (parte 2)

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di Andrea Samueli

Qui potrete leggere la prima parte di questo viaggio in due tappe.
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I ricchi Romani, per la cena, apprestavano appositi locali, i triclinia, nei quali i commensali potevano mangiare sdraiati su divani a tre posti. I banchetti ai quali avremmo assistito nelle grandi domus erano vere e proprie dimostrazioni di opulenza, comprendenti non solo alimenti provenienti da paesi lontani o cibi finemente elaborati, ma spettacoli di vario genere (letture, danze, giochi con buffoni, dissertazioni). Per farci un’idea di cosa veniva servito possiamo gettare un occhio alle ricette raccolte nel De re coquinaria, attribuito ad Apicio: si tratta infatti di  un’opera composita, il cui nucleo originario è probabilmente da collocare al tempo di Tiberio, con aggiunte e rimaneggiamenti sino all’epoca di Diocleziano. 

Il primo elemento che ci avrebbe sorpresi era il desiderio dei cuochi romani di nascondere, mimetizzare i cibi: questi dovevano stupire, ingannare i commensali e dunque non apparire immediatamente identificabili. Di questa pratica troviamo traccia in Apicio, che riporta la ricetta per cucinare il fegato di alcuni animali (agnello, capretto, lepre) e dargli poi la forma di un pesce: così facendo, troviamo scritto, a tavola nessuno riconoscerà ciò che mangia. [1]
Anfora per garum
Affresco con grappoli d'uva
Mosaico romano con vari cibi
​Uno degli alimenti più amati dai Romani, di ogni estrazione sociale, era il garum, una salsa a base di pesce impiegata in svariate ricette e ricavata dalla macerazione di piccoli pesci, quali aringhe e sardine, uniti a pezzi di pesci più grandi, sale ed erbe aromatiche. I resti della lavorazione del garum (detti allec), venivano venduti come salsa a basso costo o impiegati per sfamare gli schiavi.
Altro elemento onnipresente sulle tavole dei Romani era il vino: esso non veniva consumato puro, ma diluito con acqua e insaporito con miele e spezie; ne esistevano ovviamente molte qualità, da quelli più economici e adatti alla plebe a quelli più costosi, invecchiati 10-20 anni. Sotto forma di mosto cotto era impiegato in numerosissime ricette, oltre che come dolcificante per gli alimenti; altri alimenti impiegati per dolcificare erano gli sciroppi di frutta, il passito e, soprattutto, il miele. Solo i più ricchi potevano permettersi il consumo del saccharon, lo zucchero proveniente dall’India.
Le carni menzionate nell’opera di Apicio sono le più svariate: troviamo comuni animali da cortile, come pollame, conigli, suini e ovocaprini, ma anche animali ben più rari, come ghiri, fenicotteri, struzzi, gru e pavoni.
Grande problema per tutti i popoli del passato (almeno sino al XX secolo) è stato quello della conservazione dei cibi: si ricorreva dunque alla salatura e all’affumicatura, mentre in contesti più agiati si utilizzava anche il miele. La frutta e la verdura venivano immerse anche in olio o aceto (come accade ancora oggi).
Miele
Datteri e semi
Semi di cumino
Zafferano
La cucina romana prediligeva inoltre le salse ricche di spezie ed erbe aromatiche. Tra queste non si può non ricordare il laser o silphium, il cui utilizzo è stato tanto intenso da determinarne la scomparsa già nel Tardo Impero, così come il ligustico, anch’essa quasi del tutto introvabile e sostituibile oggigiorno con il sedano o con l’anice; il pepe (piper) era una spezia molto costosa, che avremmo avuto modo di vedere solo nei banchetti più importanti.
Un altro aspetto da tenere presente è l’attenzione posta dai cuochi romani per le proprietà medicinali dei cibi proposti a tavola: usavano molto spesso il cumino (cuminum), ritenuto un carminativo; i porri erano astringenti, mentre la bietola sortiva l’effetto contrario. Altri cibi erano largamente impiegati anche in medicina: i noccioli di datteri si polverizzavano per realizzare colliri [2]; dai semi dello zafferano si otteneva un olio depurativo [3]; la cipolla, grazie alla forma del bulbo, si pensava aiutasse a prevenire la caduta dei capelli.
Ormai è però giunta l’ora di lasciare la cucina: la tertia vigilia è quasi giunta al termine, non ci sono più il vociare, le grida, la confusione che regnavano quando siamo arrivati, la brace è stata coperta ed anche il maldestro schiavo che abbiamo visto all’inizio ha appena terminato di pulire i banconi sui quali i cuochi hanno preparato i loro raffinati manicaretti. Ci avviamo verso il nostro cubiculum (camera): una sana dormita prima di un viaggio lungo diciannove secoli, per raccontare agli amici cosa mangiavano i nostri antenati.
Note:
[1] ​Apicio, De re coquinaria, IV,12
[2] Plinio, Naturalis Historia, 23,97
[3] Dioscoride, De materia medica, 4,188
Immagini tratte da:
triclinio, da romanoimpero.com, voce “il triclinio”
anfore per garum, da wikipedia, Di Claus Ableiter - Opera propria, CC BY-SA 3.0, voce “garum”
uva [Uva, pittura parietale. Complesso dei Riti Magici, 79 d.C. Pompei], da http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/minisiti/alimentazione/sezioni/origini/articoli/vino.html
natura morta [mosaico del II secolo], da Wikipedia inglese, By Unknown - Jastrow (2006), Public Domain, voce “Food and dining in the Roman Empire”
miele, da delish.com
datteri, da Wikipedia francese, Par Mariluna, CC BY-SA 3.0, voce “datte”
cumino, da Wikipedia inglese, By Sanjay Acharya - Own work, CC BY-SA 3.0, voce “cumin”
zafferano, da Wikipedia inglese, By Hubertl - Own work, CC BY-SA 4.0, voce “Crocus sativus”

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19/4/2016

A 40º SOPRA IL DADA

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Pierre Restany e l’esperienza del Nouveau Réalisme
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di Alessandro Rugnone
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« A 40° au-dessus de Dada », juin 1961 (Deuxième manifeste du Nouveau Réalisme)
ImmagineArman, accumulazione di brocche
Se volessimo determinare l’esatta posizione del Nouveau Réalisme  in un’immaginaria carta geografica dei movimenti e delle correnti artistiche attive nella seconda metà del novecento dovremmo far convergere le coordinate di latitudine e di longitudine in un punto preciso a 40º al di sopra del DADA. Se è innegabile infatti  la filiazione del movimento novo-realista dall’avanguardia zurighese, altrettanto manifesto appare il suo intento di muovere sì dallo zero assoluto DADA ma per superarne definitivamente l’esperienza verso un “nuovo approccio percettivo al reale”. Ma cosa significa “un nuovo approccio percettivo al reale”? Qual è questa nuova realtà per la quale s’invoca una diversa metodologia d’approccio e un nuovo modo di vedere? Cos’è questo nuovo reale delle cui istanze è necessario farsi carico e la cui natura obbliga a un confronto del tutto differente e innovativo? La realtà contemporanea, fondamentalmente. La realtà che nell’immediato dopoguerra è rappresentata dal boom economico e dal consumismo di massa, dall’industrializzazione e dallo sviluppo tecnologico, dalla produzione seriale e dalla pubblicità,  un reale che chiama l’arte ad una modalità di rappresentazione più diretta, immediata, fisica e concreta, senza mediazioni, astrazioni o giochi intellettuali. La pura realtà, nuda e cruda, mostrata nella sua piena autonomia estetica ed espressiva, un reale «percepito in sé, non attraverso il prisma della trascrizione concettuale o immaginativa».  

ImmagineMimmo Rotella, décollage
Aderire al reale, o per meglio dire, appropriarsi del reale, è la specificità del Nouveau Réalisme, la cui breve esistenza si lega a doppio filo alla figura di Pierre Restany, critico d’arte francese e teorico del movimento.  Il 16 Aprile 1960 in occasione di un’esposizione collettiva alla milanese galleria Apollinaire in cui esponevano giovani e talentuosi artisti francesi quali Fernandez Arman, François Dufrêne, Raymond Hains, Yves Klein, Jean Tinguely e Jacques de la Villeglé, Restany pubblica Les Nouveaux Réalistes, manifesto teorico del movimento che vedrà il suo battesimo ufficiale soltanto sei mesi più tardi, il 27 Ottobre, quando, in casa di Yves Klein, verrà firmata la sua dichiarazione costitutiva.  L’atto di fondazione, redatto in nove esemplari manoscritti originali siglati dai componenti del movimento su carta monocroma blu, oro e rosa,  recita  “Le jeudi 27 octobre 1960. Les Nouveaux Réalistes ont pris conscience de leur singularité collective. Nouveau Réalisme = nouvelles approches perceptives du reel” con in calce le firme di  Yves le monochrome, Martial Raysse, Restany, Arman, Tinguely, Spoerri-Feinstein, Villeglé, Hains, F. Dufrên.

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Atto di fondazione del Nouveau Rèalisme
César e Rotella non poterono presenziare alla riunione ma saranno presenti alle successive manifestazioni del gruppo al quale si unirono più tardi Niki de Saint-Phalle, Deschamps e Christo. Il movimento avrà vita breve e si scioglierà quasi subito, nel 1963, appena tre anni dopo la sua costituzione ufficiale. I suoi protagonisti proseguiranno le loro carriere individualmente salvo riunirsi in occasione del decimo anniversario della sua fondazione, a Milano, nel 1970. Restany scriverà a proposito: “Ci sono degli incontri che si meritano e che per questo s'impongono: in un certo contesto, con certe premesse, questi incontri non potevano non aver luogo, e si producono nel preciso momento in cui si devono produrre. E' appunto ciò che spiega la straordinaria efficacia dell'azione collettiva dei Nouveaux Réalistes e al tempo stesso la sua brevità...”
Nei prossimi articoli tratterò singolarmente e in maniera più approfondita ciascuno degli artisti che contribuirono con il loro genio a far del Nouveau Réalisme l’ultima, vera avanguardia Europea.

  Immagini da:
- https://critiquedart.revues.org/1535
- https://www.pinterest.com/pin/342062534168703736/?from_navigate=true
- http://ilsegnografico.blogspot.it/2013/10/gli-affichistes-tra-milano-e-bretagna.html
- http://www.clammmag.com/parigi-milano-1960-70-il-decennio-del-nuovo-realismo/


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19/4/2016

A tavola con gli antichi Romani (parte 1)

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di Andrea Samueli
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Rumore di stoviglie, il calore delle braci, il concitato vociare dei cuochi, uno schiavo che, maldestramente, inciampa rovesciando a terra il contenuto di una piccola anfora…eccoci nella cucina di una ricca domus romana. Noi, curiosi, cominciamo a sbirciare e assaggiare ciò che viene cucinato. Ma cosa mangiavano i nostri antenati? I loro alimenti non erano poi molto diversi da quelli che vediamo ancora oggi sulle nostre tavole. Certo, alcune pietanze non erano ancora giunte in Europa, come i pomodori o le patate, ma la loro dieta, sostanzialmente mediterranea, era molto simile alla nostra. 

ImmaginePane rinvenuto a Pompei
Prima di passare ad analizzare i cibi, cerchiamo però di capire come era articolata la giornata “alimentare” degli antichi: erano presenti tre pasti, definiti jentaculum, prandium e coena. Solo quest’ultima potremmo definirla un pasto vero e proprio, in quanto gli altri due erano piuttosto frugali spuntini. Marziale infatti ricorda che se vorrai fare una colazione frugale senza carne, questo grosso formaggio del gregge Vestino arriva per te [1]; Plinio il Giovane scrive dello zio che il suo pasto era molto leggero, secondo il costume degli antichi [2], mentre Seneca prendeva lo spuntino ​senza apparecchiare e senza lavarsi le mani.[3]
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Le classi meno abbienti avevano una dieta semi-vegetariana, basata principalmente su cereali, in modo particolare grano, farro e miglio. La farina era impiegata sia per cucinare semplici polente (pules), sia per la produzione del pane. A Roma ne avremmo trovate svariate tipologie, un po’ come ai nostri giorni, che spaziavano dal cibarius (pane povero) al secundarius (pane integrale), dal pane farcito con lardo (adipatus) a quello biscottato (buccellatum); spesso era arricchito con l’aggiunta di semi di finocchio, sesamo o anice e reso particolare dalle forme dategli dai fornai (non da ultime quelle ricordanti i genitali). 

Sulle tavole dei Romani avremmo poi trovato sicuramente legumi e verdure: fave, fagioli, lenticchie, aglio, zucche, sono solo alcuni dei cibi consumati. Un paio di curiosità: i fagioli (phaseoli) che avremmo mangiato, non corrispondevano a quelli che conosciamo noi, provenienti dall’America Centrale, bensì una varietà africana; i piselli ci sarebbero apparsi più piccoli e grigiastri (specie Pisa Arvense); anche la zucca gialla (cucurbita), non era ancora giunta in Europa da oltreoceano, a differenza della sua sostituta Calabaza, di origine indiana e colore bianco. 
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Farro spelta (Triticum spelta)
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Fagiolo dall'occhio (Vigna unguiculata)
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Pisum sativum arvense
La dieta non poteva non comprendere la frutta, sia secca (noci, nocciole) sia fresca (mele, pere, susine, albicocche, noci-pesche, ciliegie, castagne).
Il formaggio (caseus) era di due tipi, come ricorda Columella: fresco o stagionato, in base al latte utilizzato [4].
Venivano consumati anche carne e pesce, benché fossero principalmente appannaggio delle classi più ricche, ricadendo soprattutto su determinati tipi di animali; il pesce ebbe sempre un costo maggiore della carne, come dimostrato dall’Editto dei prezzi di Diocleziano, e ciò ne fece una sorta di status symbol dell’aristocrazia.
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Riproposizione di una cucina romana, Museum of London
Note:
[1] Marziale, Xenia, XIII, 31
[2] Plinio il Giovane, Epistulae, 3,5
[3] Seneca, Epistulae, 83.6
[4]
 Columella, De re rustica, VII, 8,1
Immagini tratte da:
disegno cucina, da romanoimpero.com, voce "Cucina romana"
pane, da Wikipedia, Di User:Beatrice - Opera propria, CC BY-SA 2.0 it, voce "Alimentazione nell'antica Roma"
farro, da Wikipedia inglese, By Ziko - Own work, CC BY-SA 3.0, voce "spelt"
fagiolo dall'occhio, da Wikipedia,​ Di Olivier Migeot - Opera propria, CC BY 3.0, voce "Vigna unguiculata"
cucina ricostruzione, da Wikipedia inglese, By Carole Raddato from FRANKFURT, Germany - Reconstructed Roman kitchen (culina), Museum of London, CC BY-SA 2.0, voce "Londinium"​

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12/4/2016

ELLE A CHAUD AU CUL

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Marcel Duchamp e l’arte della provocazione
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​di Alessandro Rugnone
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Marcel Duchamp, Fontana (1917)
Quando nel 1917 Marcel Duchamp presentò provocatoriamente il suo Fountain alla rassegna d’arte contemporanea organizzata dalla newyorkese Society of Indipendent Artists (del cui direttivo era membro), firmandosi con lo pseudonimo R.Mutt, oltre a sconcertare la giuria a tal punto da vedersi rifiutare l’opera, segnò deliberatamente un punto di non ritorno nello svolgersi della Storia dell’Arte nei secoli. Il gesto insolito di rovesciare su piedistallo un comune orinatoio in porcellana, firmarlo, ed esporlo al pubblico alla stregua di una Nike greca, di un Michelangelo o di un Canova, sovvertì drasticamente la maniera d’intendere e di fare arte. L’intervento di selezione compiuto dell’artista su quel determinato manufatto d’uso quotidiano, l’operazione di sottrarre lo stesso alla funzione per la quale era stato originariamente concepito per investirlo di una funzionalità completamente nuova (defunzionalizzazione-rifunzionalizzazione) e quella di toglierlo al suo contesto abituale per ricollocarlo in un luogo del tutto estraneo al suo uso (decontestualizzazione-ricontestualizzazione), bastarono da sole a innalzare quel banalissimo oggetto al rango di opera d’arte.
“Non è importante se Mr. Mutt abbia fatto Fontana con le sue mani o no. Egli l’ha SCELTA. Egli ha preso un articolo ordinario della vita di ogni giorno, lo ha collocato in modo tale che il suo significato d’uso è scomparso sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di vista – ha creato un nuovo modo di pensare quell’oggetto”.
Artistico non è l’opera in sé, ma l’idea, il concetto, l’operazione intellettuale che presiede alla sua creazione. L’arte non è più prodotto del “fare”, d’una attività manuale coltivata e ben finalizzata, non necessità di tecnica, abilità, studio, ma il suo valore esclusivo risiede nell’idea con la quale la si realizza e nel significato del tutto nuovo che le si attribuisce. E sotto quest’ottica straniante e originalissima ecco che  l’orinatoio rovesciato, o per meglio dire, l’idea di rovesciare un orinatoio, ha pari eleganza e dignità artistica della Nike di Samotracia, del David di Michelangelo e di Amore e Psiche del Canova.
“A me interessano le idee, non soltanto i prodotti visivi […] La pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva, dovrebbe avere a che fare con la materia grigia della nostra comprensione”
ImmagineMarcel Duchamp, L.H.O.O.Q. (1919)
E squisitamente concettuale è la qualità dell’arte che Duchamp realizza in un altro dei suoi celeberrimi ready-made rettificati, la scandalosa, al limite del sacrilego, L.H.O.O.Q. Su una riproduzione fotografica della Gioconda l’artista disegna un bel paio di baffetti neri e un pizzetto e pone in calce la dicitura L.H.O.O.Q. l’acronimo del francese Elle a chaud au cul, letteralmente Lei ha caldo al culo. L’intenzione dell’artista era scandalizzare il benpensantismo borghese con il gesto beffardo di macchiare un capolavoro che proprio perché universalmente riconosciuto come sacro e inviolabile mostrava il fianco alle trovate folli  di un artista che farà della provocazione la sua cifra stilistica  e il cui genio precorrerà quello inquieto e dissacrante di Dalì. 

Immagini tratte da:
Fontana, da Wikipedia, Di Marcel Duchamp - src Original picture by Stieglitz, Pubblico dominio, voce "Fontana (Duchamp)"
L.H.O.O.Q., da Wikipedia, Di Marcel Duchamp - google search, Pubblico dominio, voce "L.H.O.O.Q."

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12/4/2016

Poseidonia- La colonia sibarita

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di Antonio Monticolo
Poseidonia, più nota come Paestum, è una delle tantissime colonie greche che costellavano il territorio del Sud Italia: la cosiddetta Magna Grecia. Si trova nell’attuale Campania e più specificamente nella zona del Cilento, a sud di Salerno. Venne fondata nel VI secolo a.C. da alcuni coloni provenienti da Sibari (pólis fondata a sua volta da un gruppo di Achei provenienti dal Peloponneso alla fine dell’VIII secolo a.C.) al centro della pianura sulla sinistra del fiume Sele. Iniziamo il nostro viaggio definendo i confini del territorio che circonda la colonia campana. A nord il confine è segnato da un importantissimo santuario extraurbano: l’Heraion (santuario dedicato ad Hera) alla foce del Sele, mentre quello meridionale era segnalato dal  Poseidon (santuario dedicato a Poseidone) sul promontorio di Agropoli.
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Cartina delle colonie della Magna Grecia
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Territorio di Poseidonia
La città era delimitata dalla cinta muraria e al suo centro era situata l’agorà (piazza principale) che separava i due santuari urbani: quello settentrionale con il tempio di Atena e quello meridionale con il tempio di Hera e il tempio cosiddetto di Nettuno. Per essere precisi dobbiamo dire che questi templi non vennero edificati tutti nelle stesso momento né vennero eretti al momento della fondazione della città. Quelli che vediamo oggi sono il risultato finale di continue trasformazioni che avvennero nel corso degli anni nei due santuari urbani.  Infatti nel santuario dedicato ad Atena, prima che venisse eretto quello che ancora oggi possiamo vedere, vi era un tempietto dedicato alla dea innalzato intorno al 580-570 a.C. Ma un mutamento sostanziale avvenne verso la fine del VI secolo quando si diede avvio alla monumentalizzazione della pólis con l’inizio dei lavori del tempio di Hera e il tempio detto di Nettuno (in realtà dedicato ad Apollo o a Zeus).
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Cartina della polis
ImmaginePianta del Tempio di Hera
Il tempio di Hera venne edificato intorno al 550-530 a.C. ca. È circondato da un colonnato dorico tutto intorno, che poggia su tre gradini (crepís), con diciotto colonne sui lati lunghi e nove sui lati corti  (9x18: periptero enneastilo). All’interno, lo spazio era suddiviso in: pronao con tre colonne in antis (fra le ante), cella (naós) dove era conservata la statua delle divinità e adyton luogo in cui potevano entrare solo colore che officivano il culto. La cella a sua volta era divisa in due navate da una fila unica di ben nove colonne anche esse doriche.

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Tempio di Hera
ImmaginePianta del Tempio c. d. di Nettuno
L’altro tempio del santuario meridionale, quello detto di Nettuno, si data al 470 a.C. Le colonne sono in numero minore, infatti sui lati lunghi sono quattordici e sei sui lati corti (6x14:periptero esastilo).
L’interno era tripartito in: pronao con due colonne fra le ante, cella e opistodomo. Anche qui la cella era suddivisa, ma a differenza del tempio di Hera, era formata da tre navate con due file di sette colonne sormontate da altre sette colonne. (Si veda il video alla fine)


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Tempio c.d. di Nettuno
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Veduta aerea del Tempio c.d. di Nettuno
ImmaginePianta del Tempio di Atena
Adesso spostiamoci nel santuario settentrionale dov’è situato il tempio di Atena datato alla fine del VI sec. a.C. (intorno al 500 a.C. ca.). Presenta un colonnato di tredici colonne doriche sui lati lunghi e sei sui lati corti (6x13). L’interno è formato da: pronao, anticipato da quattro colonne di ordine ionico, e dalla cella.

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Tempio di Atena
ImmagineHeroon
Sempre in questo periodo avviene anche la riorganizzazione dell’agorà e in particolar modo del settore nord-occidentale. Qui infatti verrà edificato alla fine del VI secolo (520/510 a.C. ca.) l' heroon. Questo monumento-tomba era stato dedicato al culto del fondatore della città: l’ecista, eroizzato dopo la morte. È stato interpretato come cenotafio (kenós = vuoto, tàfos = tomba) per la mancanza di sepoltura all’interno.
All’interno fra i diversi tipi di vasi è stata rinvenuta un’anfora a figure nere su cui è rappresentata l’apoteosi (assunzione fra gli dei) di Eracle. Questo ritrovamento è molto importante perché non solo mette in relazione la divinizzazione di Eracle e l’eroizzazione del fondatore, ma anche perché la figura di Eracle tanto cara agli Achei (ricordiamo che Poseidonia era stata dedotta da Sibari che a sua volta era stata fondata dagli Achei) era il simbolo della civilizzazione per eccellenza. Come Eracle uccideva bestie e uomini dall’aspetto ferino in luoghi poco sicuri nel viaggiare per le sue fatiche, così i coloni, sotto la protezione di Eracle, fondavano le città (fondazione che la maggior parte delle volte avveniva con l’uso della forza) in luoghi sconosciuti, pericolosi e abitati da gente indigena.

Sempre nell’agorà verrà realizzato l’Ekklesistérion nel 480/470 a.C. L’ekklesiasérion è un edificio di forma circolare che serviva per l’assemblee pubbliche (ekklesíai) alle quali partecipavano i cittadini di Poseidonia.
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Ekklesiasterion
Le opere monumentali come i templi, l’erezione dell’heroon e la costruzione dell’ekklesiastérion sono indice di un rafforzamento dell’identità politica dei Poseidoniati probabilmente da mettere in relazione con la contemporanea caduta della città di Sibari nella guerra contro Crotone (510 a.C.).
Intorno alla fine del V sec.a.C. la città di Poseidonia venne assoggettata dai Lucani che ne cambiarono il nome in Paistom, ma nel 273 a.C. i Romani la conquistarono e mutarono il nome in Paestum o Pesto come ricorda Strabone (geografo e storico greco 60 a.C.-21-24 d.C.) che scrive in epoca romana (V,9,3): “ […]  L’antica Poseidonia che ora si chiama Pesto, giace nel mezzo del golfo. I Sibariti avevano costruito il muro sulla marina […] I Lucani tolsero quella città ai Sibariti, e i Romani ai Lucani”.


Bibliografia di riferimento:
- Cipriani M., Poseidonia in Gli Achei e l'identità etnica degli Achei in Occidente, Tekmeria 3, Paestum 2002, pp. 363-388.
- Greco E., Torelli M., Storia dell'urbanistica: il mondo greco
Immgini tratte da:
- Cartina della Magna Grecia da: Wikipedia, Pubblico dominio.
- Cartina del territorio di Poseidonia da: http://www.museopaestum.beniculturali.it/
- Cartina della città di Poseidonia da: http://www.pestum.it/foto/photogallery_eng.htm
- Pianta del tempio di Hera da: http://storiadellarchitettura.tumblr.com
- Tempio di Hera: Foto dell'autore
- Pianta del tempio di Nettuno da: http://storiadellarchitettura.tumblr.com
- Foto del tempio di Nettuno da: paestumsites.it
- Veduta aerea del tempio di Nettuno da: roadtvitalia.it
- Pianta del tempio di Atena da: http://storiadellarchitettura.tumblr.com
- Foto del tempio di Atena da: paestumsites.it
- Heroon da: Foto autore
- Ekklesiasterion da: Foto autore

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5/4/2016

La legione romana

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​di Andrea Samueli
La legione romana, regina di ogni campo di battaglia, fu uno dei più efficaci e ben organizzati eserciti dell’antichità. Grazie ad essa Roma riuscì, in un arco di tempo relativamente breve, a conquistare gran parte del mondo allora conosciuto. Ma chi erano i legionari?
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L'impero romano nel momento di massima espansione
Una legione contava  circa 5000 fanti, divisi in dieci gruppi più piccoli, chiamati coorti; ogni coorte, a sua volta, era composta da sei centurie di 80 uomini ciascuna. Il centurione era l’ufficiale a capo di una centuria; a capo dell’intera legione era posto il legato di legione.
Il simbolo della legione era l’aquila: essa aveva un forte valore religioso, in quanto animale indicante Giove. Oltre ad essa, la legione aveva un numero ed un nome che la identificava: Legio I Italica, Legio II Parthica ecc…
Per diventare legionario era necessario essere cittadino romano e l’età di arruolamento variava tra i 18 ed i 21 anni. Erano esclusi dall'esercito gli schiavi ed i liberti (ex-schiavi); coloro che non avevano la cittadinanza potevano militare in altri corpi, detti ausiliari.
L'aspirante recluta doveva dapprima superare un “esame di ammissione”, la cosiddetta probatio, nel corso della quale se ne controllavano le qualità fisiche, intellettuali (la conoscenza, seppur di base, del latino) e la condotta (i legionari dovevano essere cittadini romani, non aver subito condanne e non aver svolto lavori considerati poco degni, come il mercante di schiavi). Superato tale esame, il giovane era definito tiro, recluta, ed iniziava un periodo di non meno di quattro mesi, durante i quali veniva addestrato all'uso delle armi e alla vita militare. Al termine, se ritenuto idoneo, diveniva miles a tutti gli effetti; in caso contrario veniva respinta la sua richiesta di ammissione. 
E l’armamento? La testa era protetta da un elmo, mentre per il corpo i legionari indossavano una corazza (lorica) costituita da segmenti o lamine di ferro, legate  tra loro attraverso strisce di cuoio (lorica segmentata); esistevano anche protezioni realizzate unendo insieme migliaia di anelli (cotta di maglia o lorica hamata) o squame di metallo (lorica squamata). Ogni soldato aveva poi a disposizione un grande scudo in legno coperto di cuoio (lo scutum), in genere rettangolare e leggermente convesso.  
Ai piedi portavano calzature in pelle, dette caligae, una via di mezzo tra i moderni sandali e gli scarponi.
Per combattere i soldati usavano soprattutto la spada (gladius), ma avevano anche un pugnale e un giavellotto da lanciare prima dello scontro (pilum). 
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L’addestramento prevedeva marce di 30 km con equipaggiamento completo dal peso di circa 20 Kg, corse e combattimenti. Per questi ultimi si utilizzavano scudi di vimini e spade di legno, che dovevano pesare molto di più delle armi reali. 
Il servizio militare durava circa 20-23 anni, al termine dei quali i soldati ricevevano una pensione ed un appezzamento di terra. 

Immagini tratte da: 
cartina impero romano, da Wikipedia, Di Tataryn - Opera propria, CC BY-SA 3.0, voce "Impero romano"
aquila romana, da Wikipedia, ​Di Mauro Favret - Opera propria, CC BY-SA 4.0, voce "Aquila (storia romana)"
centurione, da Wikipedia inglese, By Self-published work by Medium69, CC BY-SA 3.0, voce "Roman legion"
legione in marcia, da Wikipedia inglese, By No machine-readable author provided. MatthiasKabel assumed (based on copyright claims). - No machine-readable source provided. Own work assumed (based on copyright claims)., CC BY-SA 3.0, voce "Roman legion"
legionari, da Wikipedia inglese, Photo taken by user Caliga10's wife., CC BY-SA 3.0, voce "legionary"
addestramento, da Wikipedia, By User:MatthiasKabel - Own work, CC BY-SA 3.0, voce "Vita del legionario romano"

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