I primi manufatti in vetro risalgono al IV/III millennio a.C. e provengono dall’area della Mesopotamia.
Le più antiche tecniche di produzione del vetro erano sostanzialmente due: in un caso si utilizzavano appositi stampi nei quali veniva colato vetro fuso al fine di ottenere oggetti "pieni"; nel secondo si ricorreva all’impiego di un’anima in argilla, avente la forma dell’oggetto da realizzare, sulla quale si modellava poi la pasta di vetro ancora calda. ![]() Furono i Romani, nel corso del I secolo a.C., ad inventare la tecnica della soffiatura, tutt’oggi utilizzata. La pasta vitrea (bolo), una volta scaldata, veniva applicata ad un lungo e sottile tubo di ferro nel quale l’artigiano soffiava per dare alla pasta la forma desiderata. A volte, per semplificare e velocizzare la produzione il bolo veniva soffiata direttamente all’interno di stampi. La decorazione dell’oggetto veniva poi realizzata con appositi strumenti, quali pinze o cesoie. La soffiatura permise la realizzazione di vetri molto più sottili e privi di imperfezioni. A partire dall’epoca Augustea fecero la loro comparsa anche i primi vetri per finestre, spessi e non trasparenti, ottenuti con il metodo della colatura; da lastre di vetro colorato si ottenevano anche le tessere usate per i mosaici.
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ricostruzione 3d vasi, opera dell'autore officina del vetraio, da romanoimpero.com, voce "vetro romano" vasetto egiziano con anse, da Wikimedia, By Anonymous (Egypt) - Walters Art Museum: Home page Info about artwork, Public Domain, file "Egyptian - Glass Vessel with Handles - Walters 4731.jpg" vasetto blu egiziano, da Wikimedia, By Anonymous (Egypt) - Walters Art Museum: Home page Info about artwork, Public Domain, file "Egyptian - Vessel with Feather Pattern - Walters 4733.jpg" collana romana, da Wikimedia, By Unknown - Marie-Lan Nguyen (2006), Public Domain, file "Necklace Fidene Massimo Inv374677-81.jpg" pisside romana, da Wikipedia Inglese, By Anonymous (Roman Empire) - Walters Art Museum: Home page Info about artwork, Public Domain, voce "Roman glass" vetro con gladiatore, da Wikipedia Francese, By Vassil - Own work, Public Domain, voce "Trésor de Begrâm" vaso Portland, da Wikipedia Italia, By Unknown - Jastrow (2007), CC BY 2.5, voce "Vaso Portland" Gran Cammeo di Francia, da Wikipedia Italia, By Janmad on basis of the picture by Jastrow → Image:Great Cameo of France CdM Paris Bab264 n1.jpg, CC BY-SA 3.0, voce "Gran Cammeo di Francia"
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“Ho quasi 80 anni. Mi piacerebbe realizzare qualcosa di veramente difficile” (Christo) A quarant'anni di distanza dal prodigioso empaquetage di Porta Pinciana e di un tratto delle Mura Aureliane a Roma durante Contemporanea 1973, l'esposizione d'arte allestita negli insoliti spazi offerti dal parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, e a circa cinquanta dall'imballaggio del Fortilizio dei Mulini e della settecentesca Fonte di Piazza del Mercato a Spoleto per il consueto Festival dei Due Mondi, Christo sceglie nuovamente la sua adorata Italia per realizzare quello che di fatto rappresenta il primo disegno d'intervento paesaggistico su larga scala dai tempi di The Gates a Central Park, quando, nel 2005, il polmone verde di New York si colorò dei suoi variopinti drappeggi in un percorso pedonale della lunghezza di circa 32 chilometri. Il nucleo originario da cui si svilupperà The Floating Piers nasce nella mente di Christo e di Jeanne-Claude attorno agli anni settanta e testimonia di una gestazione lunga e problematica, caratterizzata da un continuo e frenetico avvicendarsi d'idee, d' intuizioni, di scelte, di ripensamenti, e che approderà ad una soluzione definitiva soltanto due anni fa, quando, tra la primavera e l'estate del 2014, Christo, coadiuvato dal suo fedelissimo entourage, esplorando diversi laghi del nord Italia, individuerà nel Lago d'Iseo - a 100 km ad est di Milano e 200km ad ovest di Venezia - il luogo più adatto al suo ambizioso progetto. ![]() The Floating Piers, con i suoi 70.000 metri quadri di drappeggio dal caratteristico colore arancio o del “color dello zafferano. Come The Gates a Central Park. Come Valley Curtain. Arancione, forse. Ma non proprio arancione. Arancione illuminato da spruzzi di oro; temperato da qualcosa di rosso. Forse. E sarà diverso ai bordi, dove è bagnato. Più scuro. Come i capelli di Jeanne-Claude” sostenuti da un sistema modulare di pontili galleggianti formato da 200.000 cubi in polietilene ad alta densità, compone una installazione che si sviluppa a pelo d'acqua seguendo il movimento delle onde e pedonalizza di fatto una porzione del Lago d'Iseo da Sulzano a Montisola, e poi fuori verso l’Isola di San Paolo. “Sarà come fluttuare su un secondo cielo”. Dalle montagne che circondano il lago si potrà avere uno sguardo panoramico su The Floating Piers osservandone angoli nascosti e prospettive inaspettate. The Floating Piers, il primo progetto di Christo realizzato dopo la morte della sua amatissima Jeanne-Claude, rappresenta un tributo alla memoria della compagna e sodale di una vita e offre allo spettatore, oltre che l'occasione irripetibile di camminare letteralmente sopra le acque di un lago, lo spazio (altrettanto irripetibile) di una riflessione quantomai attuale circa la possibilità di perfetta comunione tra uomo e paesaggio, tra civiltà e natura. Immagini tratte da:
immagine 1, da www.touringclub.it immagine 2-5, da www.thefloatingpiers.com Artista dal carattere facilmente irascibile, dai modi spesso sgarbati e violenti, un uomo sopra le righe, una forte personalità e, soprattutto, un talento da vendere, Michelangelo Merisi, in altre parole: Caravaggio. Un esempio di artista controcorrente che, attraverso le sue opere, rinnegò il raffinato gusto tardo manierista dell’epoca sconvolgendo così i suoi contemporanei. In che modo riuscì a turbare gli animi ed il gusto del suo tempo? Per rispondere alla domanda occorre prendere in esame alcuni soggetti di cui si servì per le sue opere. Prima di affrontare l’analisi di alcuni dipinti è, però, fondamentale sapere che l’ispirazione artistica di Caravaggio trae le proprie origini e la propria essenza dall’osservazione della realtà che lo circondava. Una realtà cruda, dal sapore amaro e con la quale l’uomo è costretto a fare i conti. La realtà che caratterizza l’esistenza umana viene mostrata così com’è, dolorosa, ardua ed imprevedibile. Per fornire un’immagine estremamente fedele e veritiera della sua contemporaneità, l’artista milanese decide di adoperare come modelli per le sue opere i protagonisti di questa terribile realtà: uomini comuni, spesso poveri o malati e prostitute. Soggetti che disgustavano i contemporanei, ma che affascinavano l’artista. È in loro che Caravaggio trovò l’espressione più sincera e genuina della drammaticità della vita umana e, dunque, un prezioso stimolo per la sua attività artistica. Tra gli esempi proposti vi è quello dell’Amorino dormiente (1608). Da uno sfondo scuro, tipicamente caravaggesco, una luce luminosa fa emergere il corpo nudo di un putto che, posata la sua faretra, è caduto in un sonno profondo. A distruggere questa tenera immagine di un putto alato beatamente addormentato vi è il modello di cui l’artista si servì: un bambino che non è addormentato come sembra, bensì, una fanciullo privo di vita. Si osserva un incarnato imperfetto. Su di esso, infatti, sono evidenti delle macchie, o meglio delle chiazze di colore scuro che rimandano all’idea di una morte prematura dovuta ad una malattia fatale. Vengono così mostrati i segni di una morte infantile, un sonno eterno che non risparmia nemmeno una giovane vita. In tal modo l’atmosfera, apparentemente serena del dipinto, diventa toccante e struggente e, di conseguenza, il chiaro riflesso di una drammatica realtà. La realtà è anche e, soprattutto, imperfetta, difettosa come la smorfia sul viso del Ragazzo morso da un ramarro (1593-1594). L’opera in questione, di fatto, raffigura un giovane colto nel momento in cui viene morso da un ramarro il cui volto mostra incredulità e dolore. Il ragazzo riccioluto ha la bocca aperta in segno di stupore, di dolore ed è al tempo stesso impaurito. Le dita dell’altra mano sono contratte, la spalla alzata e le sopracciglia aggrottate. La smorfia sul volto del fanciullo lo rende grottesco e sgradevole all’occhio, ma conferisce al soggetto un’immagine estremamente naturale e spontanea. Caravaggio, infatti, è fortemente attratto dall’imperfezione, caratteristica propria della natura e dell’esistenza umana. Ebbene, anche in quest’opera, Caravaggio rinnega la rappresentazione di una realtà illusoria e perfetta, una realtà che piaceva alla società a lui contemporanea, ma non all’artista. Infine, è di notevole importanza ricordare uno dei suoi più celebri capolavori che turbò profondamente l’animo dei suoi contemporanei: la Morte della Vergine (1605-1606). Si tratta di un’opera che non rispecchiava la tradizionale iconografia legata alla morte della Vergine. Nel dipinto, infatti, è assente qualsiasi elemento mistico. L’ambientazione è estremamente semplice e povera. La posizione della Vergine è scomposta, i piedi sono spogli sino alla caviglia ed il ventre è eccessivamente gonfio.Tutto ciò suscitò ripugnanza e disprezzo nella società dell’epoca che non era abituata ad una simile rappresentazione della Vergine. La Vergine così presentata, pertanto, non poteva che ricordare una donna comune e povera troppo distante dalla consueta dimensione religiosa e sacra. Più scioccante fu, però, il soggetto che utilizzò come modello: il corpo senza vita di una prostituta. Una donna di strada annegata nelle acque del Tevere. Dall’analisi si può evincere che l’artista mira a far emergere quelli che erano i veri protagonisti e le tematiche della sua aspra quotidianità. Il difetto non viene celato, ma messo in evidenza. Caravaggio, dunque, rifiuta volutamente la rappresentazione di una realtà fittizia e lontana dal suo tempo, per illustrare quella che, invece, era una realtà terribilmente squallida e problematica. Immagini tratte da:
- Amorino dormiente, wikipedia ita., pubblico dominio, voce: Amorino dormiente - Ragazzo morso da un ramarro, arteworld.it - Morte della vergine, wikipedia ita., Ismoon, pubblico dominio, voce: Morte della verigine Il vaso François è un cratere a volute rinvenuto a Chiusi nel 1845. Prende il nome dal suo scopritore: Alessandro François. Nel 1900 un custode del Museo Archeologico di Firenze, colto da un raptus di ira, lo distrusse riducendolo in 638 pezzi. Venne restaurato, ma subì altri danni a causa dell’alluvione di Firenze del 1966. È un cratere attico (realizzato ad Atene) a figure nere databile intorno al 570-560 a.C. Opera del ceramista (vasaio) Ergòtimos e del ceramografo (pittore) Kleitias, questo vaso venne acquistato, molto probabilmente, da un principe etrusco. Il nome del vasaio e del pittore si ritrovano sul collo e sulla vasca del vaso: Ergòtimos m’èpoiesen; Kleitias m’ègrapsen (Ergòtimos mi fece; Kleitias mi dipinse). Il cratere è importante non solo per l’uso del colore e per il modo in cui sono resi i particolari, ma anche per ciò che vi è rappresentato: le scene mitiche. Adesso vedremo più da vicino le diverse narrazioni mitologiche raffigurate nei fregi (fasce) in cui è suddiviso il vaso. All’altezza dell’orlo si può vedere, sul lato anteriore, la caccia al cinghiale Calidonio inviato dalla dea Artemide per vendicarsi del re Oineo che si era dimenticato di onorare la dea. Alla caccia prendono parte Meleagro, Atalanta e Peleo (il padre di Achille). Sul lato posteriore, si assiste allo sbarco di Teseo presso l’isola di Delo e la danza festosa (gèranos = gru) dei giovani ateniesi salvati dalle grinfie del minotauro. All’altezza del collo, è raffigurata la corsa dei carri per i funerali di Patroclo, indetta da Achille, mentre dall’altra parte una scena di Centauromachia. La centauromachia (letteralmente la battaglia dei centauri) scoppiò perché durante il matrimonio di Piritoo con Ippodamia, al quale erano stati invitati anche i centauri, uno di questi tentò di fare violenza alla sposa e così anche tutti gli altri centauri alle altre donne. Questo provocò la reazione di Piritoo e dei suoi compagni, fra i quali vi era anche Teseo. Lo scontro si concluse con la sconfitta dei centauri. Sulla vasca o pancia del cratere, nella fascia principale per estensione, è raffigurata l’unica scena che corre tutt’intorno al vaso e che rappresenta le nozze di Peleo e Teti (il padre e la madre di Achille) a cui partecipano gli dèi. Nella fascia sottostante, da un lato la scena del dio Efesto che torna sull’Olimpo e dall’altro, l’agguato di Achille a Troilo (uno dei figli di Priamo, re di Troia) fuori delle mura di Troia. Nella fascia al di sopra del piede sono raffigurati sia leoni che assalgono animali sia sfingi. Sul piede, invece, la lotta tra i pigmei e le gru, di sapore quasi comico. Infine sulle anse sono dipinti Artemide, come Potnia Theròn (signora degli animali); la gorgone come motivo apotropaico (apotrépein = allontanare, caratteristica attribuita ad una persona o ad una cosa che ha la capacità di allontanare gli influssi maligni) e la scena di Aiace che porta il cadavere di Achille sulle spalle. Perchè scene con soggetto mitologico? Le scene raffigurate non sono slegate o rappresentate come fini a se stesse. Esse narrano le vicende di due eroi: Achille e Teseo, eroi che incarnano valori guerrieri, etici e religiosi che sarebbero stati ben colti dagli aristocratici dell’Atene del VI sec.a.C e che hanno entusiasmato anche qualche principe etrusco. La composizione è un modello esemplare del ciclo della vita aristocratico che attraverso le prove iniziatiche giovanili, le gare atletiche e di coraggio, porta al premio delle nozze eccellenti, ma anche alla morte per chi vuole l’immortalità e la gloria imperitura. Le scene a soggetto mitologico si careterizzano per i vari livelli interpretativi ai quali ognuno poteva fare riferimento a seconda delle situazioni. Per saperne di più: - Bejor G., Castoldi M.,Lambrugo C., Arte Greca, 2009 - Torelli M., Le strategie di Kleitias. Composizione e programma figurativo del vaso François, 2007 Immagini da:
- Vaso François, wikipedia, Sailko, CC BY-SA 3.0 - Caccia al cinghiale Calidonio, suniversitarianweb.com - Particolare della caccia, pinterest.com - Danza dei giovani, museoarcheologiconazionaledifirenze.files.wordpress.com201409teseo.jpg - Corsa dei carri, ancienthumans.wordpress.com - Centauromachia, firenzellenico.blogspot.it - Nozze di Peleo e Teti, unpodichimica.wordpress.com - Agguato di Achille a Troilo, firenzellenico.blogspot.it - Lotta fra Pigmei e gru, wikipedia, Sailko CC BY-SA 3.0 - Artemide, pinterest.com - Aice porta il cadavere di Achille, chiusiblog.it ![]() Se scatologico, (agg. [der. di scatologia], dal greco σκῶρ, gen. Σκατός, escremento, e λόγος, materia, ragionamento), è relativo a discorso o trattazione che ha per tema la defecazione o che generalmente ha contenuto o tono osceno, volgare, qualsivoglia riflessione circa la celeberrima merda d'artista del lombardo Piero Manzoni non può dunque sottrarsi a tale definizione. Piero Manzoni nasce a Soncino, provincia di Cremona, il 13 luglio del 1933 da famiglia d'ascendenza nobiliare, i conti Manzoni, originari di Lugo di Romagna. Cresce a Milano dove, terminati gli studi classici, si iscrive alla Facoltà di Legge dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Trascorre le vacanze ad Albisola Marina, in Liguria, dove la famiglia frequenta Lucio Fontana, padre dello Spazialismo. Nel 1956 Manzoni debutta alla IV Fiera Mercato del castello sforzesco di Soncino esponendo i suoi primi lavori e pubblica Per la scoperta di una zona di immagini, breve testo nel quale anticipa alcuni punti essenziali delle tesi che svilupperà in seguito in altri scritti. L'anno successivo partecipa alla collettiva del Movimento Arte Nucleare presso la galleria San Fedele di Milano. Inizia a lavorare sulle tele denominate Ipotesi con materiali poveri come il gesso e la colla. ![]() Nel 1958 realizza i primi achromes (in francese incolori), tele o altre superfici imbevute di gesso grezzo, colla o caolino (un'argilla bianca impiegata nella lavorazione della ceramica) su quadrati di tessuto, feltro, fibra di cotone, peluche o altri materiali. L' achrome non è uno spazio riempito di linee e di colori organizzati secondo un principio compositivo per ottenere delle forme artistiche. La tela, imbevuta di caolino liquido e di colla, è lasciata asciugare, affidando la trasformazione del materiale in opera d’arte ad un processo che avviene da sé, autosufficiente. La gestualità dell'artista, a differenza del dripping di Pollock, è così volontariamente frenata, bloccata, e l'immagine, libera di crearsi senza correttivi o costrizioni, si genera spontaneamente sulla tela. Se questi studi sull'assenza di colore da una parte non significano altro che loro stessi, chiudendosi deliberatamente in una circolarità semantica sottilmente tautologica, dall'altra si aprono a tutti quei significati apportati di volta in volta dallo slancio immaginativo dello spettatore. ![]() Nel 1959 fonda insieme a Enrico Castellani la rivista d'arte Azimuth. Uscita in soli due numeri, il n.1 nel 1959 e il n.2 nel gennaio 1960, Azimuth ospitò scritti di intellettuali e critici come Gillo Dorfles, Guido Ballo, Vincenzo Agnetti e Bruno Alfieri, opere di artisti quali Lucio Fontana, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Yves Klein, Jean Tinguely, Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Piero Dorazio, e poesie di Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini e altri. Continua la ricerca sugli achromes e contestualmente inizia a progettare opere squisitamente concettuali come Linee, linee tracciate su rotoli di carta di varia metratura, alcune aperte, altre chiuse in recipienti cilindrici neri con etichette arancioni a specificarne l'esatta lunghezza (la più lunga, creata ad Herning, in Danimarca, misura oltre sette km), il mese e l'anno di creazione, corredati di veri e propri certificati d'autenticità quasi a volersi tutelare da eventuali tentativi di contraffazione. Progetta le sue Sculture viventi, settantuno corpi nudi, trai quali quello di Umberto Eco e dell'amico Mario Schifano, firmati e datati dall'artista come fossero opere d'arte e accompagnate dal consueto certificato d'autenticità. Su ogni documento Manzoni appone un timbro: rosso se la persona è per intero un'opera d'arte e sarebbe rimasta sempre tale, giallo se il nuovo status è limitato a certe parti del corpo, verde se vincolato a certe attività come il dormire o il correre, porpora se l'artisticità non è qualcosa di connaturato ma viene acquistata. ![]() Produce quarantacinque Corpi d'aria o Fiato d'artista, palloncini da lui gonfiati, sigillati, e fissati su una base di legno. Nell'epoca della riproducibilità tecnica e della produzione seriale l'artista perde la sua identità originaria di artifex, e nella più completa impasse creativa, incapace di generare alcunché di realmente significativo, si offre al pubblico, offre il proprio corpo come fosse un'opera d'arte. Prima il fiato, l'elan vital, contenuto in normalissimi palloncini, successivamente la merda in un'operazione tanto irriverente quanto geniale. Nel dicembre del 1959 inaugura a Milano la galleria Azimut che, il 21 giugno del 1960, si fa teatro della più celebre delle sue performance: Consumazione dell'arte dinamica del pubblico. Divorare l'arte. Manzoni imprime l'impronta del suo pollice su alcune uova sode bollite all'inizio della serata e le offre al pubblico. Le uova vengono poi consumate durante la performance. Lui stesso divora un uovo. Attraverso l'uovo-reliquia consacrato dal contatto col corpo dell'artista, il pubblico, da mero spettatore, si fa parte attiva della performance, partecipa dell'arte, entrando in comunione con la fisicità magica dell'artista. Progetta le Basi Magiche, un piedistallo da lui firmato che nelle intenzioni dell'artista eleva al rango di opera d'arte chiunque vi ci salga sopra con un procedimento trasformativo analogo a quello delle Sculture viventi. ![]() Il 21 maggio 1961 in occasione di una mostra alla galleria Pescetto di Albisola Marina, Manzoni presenta per la prima volta in pubblico una serie di scatolette metalliche da conserva sigillate sulle quali una serie di etichette ci informano del contenuto in quattro lingue diverse, vi si legge: merda d'artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961. Trenta grammi di merda, conservata al naturale, come puntigliosamente specificato. Sulla parte superiore di ogni barattolo di latta è presente la firma dell'artista insieme ad un numero progressivo da 1 a 90 che ne esplicita la tiratura. Una scatoletta di merda tirata a novanta esemplari, ognuno di questi venduto al prezzo della quotazione giornaliera dell'oro. Una follia, direte voi. Ancor più folle è la cifra con la quale la Tate di Londra si è aggiudicata lo scorso anno una delle novanta scatolette (le altre, al netto di quelle andate perdute, sono conservate nelle più prestigiose collezioni d'arte in tutto il mondo), 52mila dollari: gli escrementi sono diventati più preziosi dell'oro. Al di là dell'aspetto grottesco e canzonatorio immediatamente percepibile in un'operazione scopertamente provocatoria come quella rappresentata da merda d'artista, se si sottopone l'opera ad una lettura più attenta e ragionata, è possibile coglierne significati più profondi e dal peso specifico, sociale e intellettuale, molto più consistente. Forte è infatti la componente critica nei confronti dei meccanismi e delle dinamiche che muovono la società dei consumi e il mercato dell'arte contemporanea pronto ad accettare come oro colato anche della merda in scatoletta purché firmata ed autenticata dall'artista. E' lecito chiedersi infine se è davvero merda il contenuto delle scatolette metalliche. Qualche anno fa un'artista francese ne ha manomessa una e tra lo stupore generale degli astanti stipati nel parigino Centre Pompidou non ha rinvenuto che un'altra scatoletta, dalle dimensioni ridotte, inserita in quella più grande in un geniale meccanismo di matriosche o scatole cinesi. Nessuno ha mai aperto la più piccola. Agostino Bonalumi, amico d'una vita, l'11 maggio del 2007 scrisse a tal proposito sul Corriere della Sera: “Posso tranquillamente asserire che si tratta di solo gesso. Qualcuno vuole constatarlo? Faccia pure. Non sarò certo io a rompere le scatole”. E chi siamo noi per farlo? Immagini tratte da:
1 www.restaurars.altervista.org 2 www.thepasswordunito.wordpress.com 3 www.fascinointellettuali.larionews.com 4 www.artblart.com 5 www.capti.it 6 www.arsvalue.com 7 www.artearti.net 8 www.personalitaconfusa.net 9 www.unavitaperlapanza.com 10 www.artslife.com 11 www.artslife.com Terminiamo il tour, iniziato una settimana fa, nell’area archeologica di Massaciuccoli. ![]() Dopo aver frequentato il punto di sosta ed esserci rinfrescati nelle piccole terme qui presenti, ci trasformiamo da semplici viaggiatori in ricchi senatori, ospiti nella villa di rappresentanza che la potente famiglia dei Venulei (proprietaria come abbiamo visto dell’impianto lungo la moderna Via Pietra a Padule) ha fatto costruire a Massaciuccoli. Ci dobbiamo spostare verso l’alto, dove oggigiorno è presente la Pieve di San Lorenzo, poiché qui, al posto della chiesa, in epoca romana sorge la meravigliosa e lussuosa domus dei Venulei. Appena entrati rimaniamo stupefatti dalla ricchezza che ci circonda: splendidi pavimenti policromi in marmo si alternano a ricercati e dettagliatissimi mosaici ricchi di colori, sfumature ed effetti di luce: le figure sembrano dipinte e ciò è reso possibile dalla dimensione delle tessere che le compongono, inferiori al centimetro. Un lavoro veramente incredibile! Le pareti affrescate con colori accesi accolgono nicchie nelle quali si trovano statue in marmo che riproducono personaggi illustri, come l’imperatore Claudio, o soggetti mitologici. Di tutto questo non si vede più niente, si può solo immaginare, proprio come stiamo facendo, quale fosse la ricchezza presente: gli scavi archeologici, effettuati nel 1700 al di sotto del pavimento della Pieve, riportarono alla luce parti di pavimenti e porzioni scultoree, oggi perdute ma dipinte su una tela conservata al Museo di Villa Guinigi (Lucca). ![]() Tuffiamoci di nuovo nel passato! La terrazza inferiore, in epoca Augustea, ospita un giardino belvedere, dal quale possiamo godere del panorama mozzafiato: con un solo colpo d’occhio possiamo vedere il mare, la laguna (in quest’epoca il lago non è ancora formato) e persino la vicina città di Pisa, città d’origine di questa famiglia. Con l’aumentare delle possibilità economiche e della posizione sociale dei Venulei, dovute alla carriera politica intrapresa da alcuni membri della gens (nel 92 d.C. Lucio Venuleio Montano Aproniano arriverà persino a ricoprire il consolato), il giardino viene trasformato in un grande complesso termale ad uso privato dei familiari e degli ospiti illustri. È possibile accedere alla terrazza inferiore direttamente dalla domus, tramite due scalinate; il complesso è articolato nei canonici tre ambienti (visti anche nelle piccole terme), ma qui troviamo anche stanze aggiuntive. Da un primo vano di “accoglienza” si passa, tramite un breve corridoio, al frigidarium. Il tentativo di colpire il visitatore e fargli comprendere la ricchezza e la potenza dei Venulei è concretizzato in questa stanza: le pareti sono interamente rivestite di marmo ed il pavimento è decorato con ricchi mosaici. Le nicchie presenti nei muri accolgono diverse statue, alcune delle quali fungono da fontane, ed una rientranza davanti a noi permette di avere anche un piccolo spazio dotato di acqua calda, riscaldata dal vicino forno del calidarium; il pezzo forte della stanza però è rappresentato dalla grande vasca dell’acqua fredda e dall’incredibile cascata che la rifornisce: la parete alle spalle della vasca presenta infatti un’apertura, attraverso la quale l’acqua, raccolta in una cisterna posta più in alto, scende con un fantastico effetto scenografico. I servi della famiglia stanno allestendo anche tavoli e panche: qual è il motivo? Questa stanza è molto fresca e, nel periodo estivo, viene quindi utilizzata anche come triclinio, come ambiente per i banchetti. Aromi di cibi speziati, musiche e risa riempiono l’aria, accompagnati dallo scrosciare dell’acqua. Nelle immediate vicinanze del frigidarium troviamo anche la seconda scala che collega terme e domus ed il bagno privato del complesso (ben diverso dalla latrina pubblica a più posti vista nella fattoria). Il percorso prosegue con calidarium e tepidarium ma qui, proprio perché il livello sociale della famiglia è molto alto, troviamo anche un’altra stanza, di forma ellittica con tre gradini su tre lati. La temperatura è veramente elevata: prima di entrare dobbiamo mettere gli zoccoli di legno, il pavimento è davvero troppo caldo per poter camminare a piedi scalzi. Il vapore che si trova all’interno è un chiaro segnale del tipo di stanza nella quale ci troviamo: si tratta della sudatio, cioè la sauna. È riscaldata con il medesimo sistema del calidarium, ma per avere una temperatura maggiore tra il secondo pavimento e il pavimento di marmo (vedi “ipocausto” nel precedente articolo) i costruttori hanno posizionato una lamina di piombo che assorbe maggiormente il calore; il vapore è invece generato da una sorta di “pentolone”, posto sopra il forno, sul quale gettare l’acqua affinché evapori. Ma i Venulei non si accontentano facilmente: in effetti uno dei lati non presenta scalini perché vi si apre una grande finestra che permette, a chi è all’interno, di godere il panorama anche nel periodo invernale. Il massimo del lusso! Le terme sono anche dotate di una piccola palestra/zona massaggi, che certamente non ci lasciamo sfuggire! ![]() Si sta facendo buio: usciamo per vedere il tramonto e qualcosa, nel giardino, richiama la nostra attenzione. Sembrano due piccoli fari e incuriositi cerchiamo di capire cosa siano ma, avvicinandoci, rimaniamo tra lo stupore e la paura. È una figura umana, una donna sembra, che ci osserva severa dalla penombra. Ipnotizzati ci avviciniamo ancora e finalmente capiamo di cosa si tratta: è una statua, Medusa per l’esattezza, il cui volto, cavo, accoglie una lucerna accesa. Ecco spiegato il bagliore nei suoi occhi: un altro trucco per impressionare gli ospiti. Ora è però giunto il momento di ripartire e tornare al nostro tempo! Il complesso appare ben diverso da come lo abbiamo appena visto: i marmi pregiati, le statue, i mosaici sono scomparsi. Anche tepidarium e calidarium non sono più visibili: il tempo e l’uomo hanno cancellato alcune parti di questo meraviglioso edificio. Noi abbiamo comunque avuto l’onore di vederlo nel massimo del suo splendore e, guardando il lago, non possiamo fare a meno di pensare a quanto fossero simili a noi questi uomini di duemila anni fa. Immagini tratte da:
veduta aerea, tela, sauna e ricostruzione della sauna, da izi.travel due vedute delle terme, Medusa, panorama, foto dell'autore 7/6/2016 1974, CHRISTO A ROMA: L’IMBALLAGGIO DI PORTA PINCIANA E DI UNA PORZIONE DELLE MURA AURELIANERead Now
contemporaneo e alle avanguardie artistiche della seconda metà del Novecento, l’Italia trovò la sua Peggy Guggenheim. Bellissima, d’una eleganza superba e sofisticata, “una delle donne più splendide mai viste, capolavoro di architettura antropologica mediterranea […] era come se a una Sofia Loren fosse capitato in sorte di essere tanto intelligente quanto bella, tanto popolana quanto raffinata”, colta, intraprendente, appassionate e instancabile, amante e profonda conoscitrice d’arte, alla quale s’avvicina più per un istintivo piacere estetico, quasi carnale, sensuale, che per studio. “Credo che l’arte contemporanea io l’ho vissuta, più che studiata”, amava ripetere, e l’arte lei la visse dal di dentro e nella sua totalità, prima da semplice collezionista e poi da mecenate, patrocinando artisti allora ai margini del mercato e snobbati dal circuito dei grandi mercanti e delle più rinomate gallerie, nomi che, come quelli di Schifano, Festa, Angeli, Rauschenberg, Twombly, saranno di lì a poco battuti all’asta (e aggiudicati tutt’ora) a suon di milioni.
La vitalità del negativo 1960-70 (il titolo richiama esplicitamente il pensiero filosofico di Nietzsche) venne allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma e fu inaugurata il 30 Novembre 1970. “"Fu una vera impresa”- ricorda la Lonardi –“lavorammo tutta l'estate. E sempre con grande entusiasmo. La mostra si formò lentamente, nacque anche attraverso un dibattito con artisti che poi vi parteciparono come Paolo Scheggi o Gino Marotta, Piero Sartogo che si occupava dell'immagine dell'esposizione. Achille Bonito Oliva, che ne fu il curatore, era un artista tra gli artisti”. Esposero artisti d’avanguardia quali Enrico Castellani, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio, Gino De Dominicis, Joseph Beuys, Andy Warhol e l’affluenza di pubblico fu sorprendente. Un pubblico composito e variegato.“Molti giovani ma anche intellettuali e studiosi che nel tempo sarebbero divenuti importanti per il Paese. A volte non sapevo chi erano, non li conoscevo. Vedevo spesso due signore ben vestite, educate... Seppi dopo che erano le sorelle Montalcini. Era sempre presente il neuropsichiatra Giovanni Bollea, ma anche Alberto Arbasino, Enzo Siciliano, Mino Monicelli, Furio Colombo, Argan...". Contemporanea, 1973 Contemporanea, 1973 fu "una mostra che ha segnato la storia, oggi citata tra le più importanti del XX secolo. Per la prima volta le arti visive furono messe a confronto con il cinema, il teatro, la musica, l'architettura, la fotografia, l danza, i libri, i dischi d’artista, la poesia visiva e l’informazione alternativa”. Contaminazione, sconfinamento, ibridazione, interferenza tra i vari linguaggi dell’arte furono i principi compositivi di un allestimento che fu un vero azzardo a partire dalla scelta della sede espositiva. A Roma, al di là della Galleria d’Arte Moderna diretta da Palma Bucarelli, non si contavano altri spazi pubblici ufficiali per il contemporaneo. Tutto avveniva sotto la spinta di privati. Soggetti privati, gallerie private, artisti, critici, collezionisti. Ma una mostra tanto vasta, complessa e articolata come quella pensata da Achille Bonito Oliva e Graziella Lonardi Buontempo non poteva essere costretta tra le pareti di una galleria privata o nelle sale di un museo. Serviva uno spazio più ampio. “Un giorno improvvisamente mi balenò l'idea del parcheggio sotterraneo di Villa Borghese. La costruzione era terminata ma ancora non era utilizzata. Presi contatto con la società Condotte d'Acqua che ne era titolare e la proposta piacque molto. Aprire un parcheggio con una grande mostra, non ci furono problemi”. L’enorme parcheggio interrato progettato dall’architetto razionale Luigi Moretti negli spazi sotterranei di Villa Borghese divenne così in quell’occasione un’enorme “pinacoteca drive-in”. Fu uno spettacolo totale. “Ci fu” - ricorda la Lonardi – “chi giudicò l'idea pazza, o addirittura poco rispettosa nei confronti degli artisti. Non era il loro pensiero. In realtà si applicavano per la prima volta nuovi metodi e si entrava in nuovi luoghi. A visitare questa mostra, veramente per la prima volta, arrivarono intere famiglie, le mamme con i bambini. Il parcheggio diventò un luogo magico. Cinema, teatro, performance, tutto in contemporanea, tutto di altissima qualità. Giuseppe Bertolucci invitò l'Odin Teatret, Vassilicò, Carmelo Bene, Bob Wilson, Barba... proiettammo i film di Pasolini. Tra gli artisti ricordo Beuys, Warhol, Richard Serra, Rauschenberg, il gruppo Fluxus. C'era anche una sezione di informazione alternativa curata da Bruno Corà cui parteciparono Magistratura Democratica, Pio Baldelli, Franco Basaglia, Adele Cambria, Umberto Eco”. “Facemmo venire Christo…” e impacchettò Porta Pinciana!
Per 40 giorni nei mesi di febbraio e marzo 1974, Porta Pinciana e un tratto lungo 250 metri delle Mura Aureliane fu avvolto con del polipropilene e della corda per ricoprirne integralmente entrambi i lati, la sommità e gli archi. Quaranta operai edili portarono a compimento l’opera temporanea in quattro giorni. Il tratto scelto dagli artisti per la loro opera d’arte temporanea si trova tra l’imbocco di Via Veneto, una delle strade più animate di Roma, e il parco di Villa Borghese. Il progetto fu coordinato da Guido Le Noci, amico di lunga data dell’artista e proprietario della Galleria Apollinaire che aveva ospitato nel 1963 due personali di Christo. Tre dei quattro archi drappeggiati erano percorsi da un intenso traffico automobilistico mentre uno era riservato ai pedoni. Il Wrapped Roman Wall fu finanziato da Christo e Jeanne-Claude con la vendita degli studi preparatori di Christo: disegni, collage, modelli in scala, oltre che da precedenti opere e litografie. Gli artisti non accettarono sponsorizzazioni di alcun genere, come loro solito. “Non ci furono reazioni negative” – racconta la Lonardi – “Una notte avemmo qualche timore, forse qualcuno voleva incendiare il lavoro di Christo (gruppi di giovani neofascisti che mal digerivano che i teli dell’artista bulgaro coprissero una lapide a loro cara ndr.) Generalmente però fu seguito con affetto. Durante la preparazione i suoi teloni, le corde arancioni affascinarono i ragazzi, le donne, gli automobilisti che arrivavano a Porta Pinciana... Fu un'esperienza di bellezza e di freschezza, un'operazione di grande stile. Ho un solo rammarico: non sono rimasti a Roma i disegni preparatori di Christo, una cinquantina. Lo Stato non volle intervenire". Al termine dei 40 giorni la struttura fu smontata e riciclata. Immagini tratte da:
- 1,2,8,9 www.christojeanneclaude.net - 3 www.vogue.it - 4 www.undo.net - 5 www.ilgiornaledellarte.com - 6 www.manifestajournal.org - 7 www.domusweb.it Il nome e la fama dell’artista tardo rinascimentale Tiziano Vecellio è noto a tutti. Meno conosciuta è l’opera in cui il dramma esistenziale dell’artista giunge a compimento: la Pietà. Siamo nel 1575-76 e l’artista, ormai anziano, non solo è giunto al tramonto della sua fortunata carriera, ma anche della sua vita. Vedremo come, nella metà del ‘500 con il sopraggiungere della vecchiaia e l’incombere della morte, la sua tecnica pittorica muterà profondamente. Egli, di fatto, compirà una serie di scelte che daranno un altro volto ai suoi dipinti, un volto avvilito e tragico. Abbandona i colori caldi e accesi come il rosso ed il giallo, tinte che avevano caratterizzato alcune tra le sue più celebri opere come l’Assunta (1518) e la Venere di Urbino (1538). Comincia a privilegiare una colorazione spenta, grigiastra e verdastra in cui la calda luminosità perde tutta la sua energia per lasciare spazio ad una fredda oscurità. Sembra che la tela venga, per così dire, “sporcata” da tinte cupe ed estremamente malinconiche. La pennellata viene stesa con violenza e disprezzo e in tal modo vengono meno quella precisione e quella delicatezza che da sempre avevano contraddistinto la sua pittura. Perché avviene tutto ciò? Cosa portò Tiziano ad un cambiamento così drastico e netto nel modo di concepire le sue opere? Tutto ciò si può spiegare ripercorrendo le ultime fasi che caratterizzarono la sua vita e osservando, soprattutto, la Pietà. Il dipinto è un olio su tela ed è l’ultimo capolavoro che l’artista veneto realizzò poco prima della sua morte. In verità, la morte del pittore anticiperà la fine dell’opera che verrà così conclusa dal suo allievo Palma il Giovane. A lui, infatti, si deve l’aggiunta del putto che sorregge una fiaccola accesa. Sullo sfondo è presente una grande nicchia tipicamente manierista e ai lati si osservano due sculture rappresentanti Mosè e la Sibilla Ellespontica, una profetessa appartenente alla tradizione pagana che avrebbe predettola morte di Cristo. Le due statue poggiano su pilastri dalla forma di leone che, senza dubbio, ricordano il simbolo di Venezia. Dinanzi al pilastro sormontato dalla figura della Sibilla è possibile scorgere una tavoletta votiva in cui, prostrati davanti alla Madonna, sono raffigurati Tiziano ed il figlio Orazio. Al centro vi è Maria che, con ammirevole compostezza e senza lasciar trasparire emozione alcuna, ha in braccio il corpo privo di vita di Cristo. Alla sua destra, invece, è presente la figura della Maddalena che, contrariamente a Maria, lancia un grido di dolore accompagnato da una forte gestualità che mostra ira e afflizione. La scena, dunque, si carica di pathos. Infine, inginocchiato accanto al corpo di Cristo, vi è Nicodemo che delicatamente gli afferra la mano. Nella figura dell’anziano e barbuto Nicodemo, gli studiosi hanno voluto vedere quella di Tiziano. Si osservacosì un Tiziano vecchio e, soprattutto, prossimo alla morte. Una morte non avvenuta a causa della sua avanzata età, ma dovuta ad una terribile e rapida epidemia di peste. Malattia che strappò, precedentemente, la vita anche al figlio Orazio. Dunque, è nella Pietà che Tiziano volle mostrare quel senso di malinconia e frustrazione dato dalla consapevolezza che di lì a poco, o meglio nel 1576, sarebbe stato sopraffatto dal sonno eterno. Nella tela traspare la presa di coscienza della caducità della vita e, soprattutto, dell’imprevedibilità della morte. Potremmo così considerare il dipinto come la manifestazione più sincera e intima delle paure, dei timori, delle sofferenze, dello sconforto, dell’angoscia e della perdita di fiducia nell’esistenza umana da parte di Tiziano. Un’opera in cui la sua interiorità e il suo pessimismo vengono volutamente messi a nudo. Immagini tratte da:
- Autoritratto Tiziano, wikipedia, pubblico dominio, voce: Tiziano - Assunta, wikipedia, pubblico dominio, voce: Assunta - Venere di Urbino, wikipedia, pubblico dominio, voce: Venere di Urbino - Pietà, wikipedia, pubblico dominio, voce: Pietà - Tomba di Tiziano, foto dell'autrice Policleto di Argo (V sec. a.C.) è uno degli scultori più noti e più importanti di tutta la storia dell’arte greca e non solo. Un passo di Plinio il Vecchio ci spiega il motivo, Naturalis Historia, XXXIV, 55: “Fecit et quem canona artifices vocant lineamenta artis ex eo petentes veluti a lege quadam, solusque hominum artem ipsam fecisse artis opere iudicatur ”. “Fece anche quella statua che gli artisti chiamano cànone (regola), prendendo da esse le misure e le linee dell’arte, come da una data legge; a lui solo tra gli artisti si riconosce il merito di aver creato e realizzato la sua teoria artistica in un’opera d’arte”. Che cosa ci vuole dire Plinio con queste parole? Policleto lavora in un’epoca in cui gli artisti a lui contemporanei, ma anche quelli precedenti, riflettevano sulla realizzazione perfetta della figura umana. L’obiettivo era quello di trovare simmetria, ritmo e armonia, ovvero creare una figura in cui il movimento e la giusta misura si equlibrassero in un insieme unico. Mettendo a confronto i capolavori di Policleto (ci sono giunti tutti in copie romane, non possediamo nemmeno un frammento originale in bronzo) possiamo notare che sono state dei veri e propri studi e sperimentazioni che Policleto compì per la conquista armonica della figura umana. Analizziamo da vicino alcune delle caratteristiche principali delle sue opere. La prima opera è il Discoforo (Portatore del disco) (460-450 a.C.). Qui si possono notare la gamba destra tesa, che costituisce quella da carico e la gamba sinistra appena avanzata e spostata. Si vede per la prima volta l’elemento tipico dei bronzi policletei: lo schema a chiasmo (nome che deriva dalla chi greca: X). Ovvero la contrapposizione fra gli arti superiori e inferiori. Plinio ricorda, N.H. XXXIV, 56: "È una sua caratteristica che le statue poggino su di una gamba sola fin quasi all’ultimo esemplare". Un cambiamento vero e proprio si può notare nell’opera chiamata Kyniskos (440 a.C. ca.) in cui un nuovo ritmo sembra impossessarsi di tutta la figura. Seppur mutila, si può immaginare che il braccio destro fosse teso e sollevato ad imprime un senso di movimento a tutto il corpo. Il raggiungimento della perfezione si ottiene “in quella statua che gli artisti chiamano cànone”: il Doriforo (Portatore di lancia) (450 a.C. ca.). Questa statua, che tutti conosciamo per la copia in marmo di età romana conservata al museo di Napoli, è la summa di tutti gli studi effettuati da Policleto. Qui il chiasmo diventa legge. Infatti alla gamba destra tesa che sorregge tutto il corpo fa da contraltare il braccio sinistro che sorregge la lancia e alla gamba sinistra in riposo il braccio destro che corre lungo il corpo. Ma non solo. Oltre all’idea di stasi e movimento che la figura esprime, qui, Policleto mette in pratica ciò che aveva elaborato nel suo trattato: Il Cànone, che purtroppo è andato del tutto perduto. Tale trattato viene però ricordato da Galeno (Sulle opinioni di Ippocrate e Platone, 5, 3-162): "Crisippo ritiene che la bellezza consista non nell’adattamento degli elementi, ma nell’armonia delle membra, del dito in relazione al dito, della somma della dita in relazione al metacarpo e al carpo, e di questi con l'avambraccio, e dell'avambraccio rispetto al braccio, e di tutti essi rispetto al tutto, secondo quanto appunto è scritto nel Cànone di Policleto". Da queste parole si può comprendere come la regola sia determinata da una misura base che Policleto ritrova nel dito, che nel suo moltiplicarsi per quattro crea le parti del corpo in perfetta simmetria fra tutte. Infine vi è il Diadumeno (che si cinge la fronte) (420 a.C. ca.) in cui la gamba destra a sostenere il corpo, le braccia allargate per stringersi la fascia alla testa e l’arco fra le gambe che si allarga donano un nuovo equilibrio. Vorrei chiudere ricordando le parole di M.Collignon che fanno capire l’importanza delle opere di Policleto: “Il ritmo normale di una statua stante, in attitudine tranquilla, è definitivamente fissato, e questa conquista di Policleto avrà il suo posto nel patrimonio comune dell’arte greca, fino al declino dell’ellenismo”. Per approfondire: - Policleto, Paolo Enrico Arias. - Tentativo di impostazione del problema, in De Histoire de la sculpture grecque, M. Collignon. Immagini tratte da:
- Discoforo, Policleto di Paolo Enrico Arias - Kyniskos, wikipedia inlgese, Sailko, CC-BY-SA-3.0, voce: athlete of Eleusis - Doriforo, foto dell'autore - Diadumeno, wikipedia, Ricardo André Frantz, CC BY-SA 3.0, voce. Diadumeno |
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