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È noto come Vhils, ma il suo vero nome è Alexandre Farto. In uno pseudonimo di sole cinque lettere è racchiusa la genialità di un giovane street artist portoghese che sta letteralmente conquistando il globo. Classe 1987 e attualmente residente a Londra, Vhils appartiene alla generazione di quegli urban artists che hanno contribuito a dare un nuovo volto alle metropoli del nostro tempo.
Una forma d’arte urbana che si svolge in luoghi pubblici degradati e che si manifesta spesso e volentieri su muri scrostati o su edifici pubblici in stato di abbandono o dissestati. È nel contesto di una realtà spesso povera e trascurata che l’arte di Vhils trova una sua efficace manifestazione. A rendere l’attività artistica di Vhils fortemente suggestiva e stupefacente è, indubbiamente, la tecnica da lui utilizzata, nota come “Scratching the surface” che tradotta in italiano significa letteralmente “Graffiando la superficie”. Un muro che viene scrostato o grattato diventa così il suo supporto e scalpelli, martelli e acidi diventano i suoi pennelli. La superficie viene sapientemente scolpita e il suo meticoloso lavoro dà origine a immagini sorprendenti ed emozionanti. I soggetti di cui si avvale sono esclusivamente volti, talvolta soltanto abbozzati, di personaggi noti, ma anche di comuni cittadini. Volti che hanno abilmente catturato l’attenzione dell’artista tanto da trovare una loro dimora oltre che nella sua mente, anche sulle pareti esterne di vertiginosi palazzi segnati dall’azione del tempo. Segni del suo passaggio si posso ammirare in tutto il mondo: a Londra, Parigi, Las Vegas, Mosca, Rio de Janeiro e anche in Italia, dove se ne contano ben due. Ed è proprio il nostro paese ad ospitare quello che oggigiorno è considerato il murales più grande al mondo.
Per contemplarlo occorre recarsi a sud della penisola italiana, più precisamente in Sicilia, nel porto della splendida città di Catania. Dimensioni da capogiro caratterizzano il murales, basti pensare che raggiunge l’altezza di un edificio di 10 piani e la larghezza di un campo da calcio. Il protagonista è il volto di un uomo che volge il suo sguardo verso l’Egitto, la Giordania, la Siria, la Turchia e il Libano, luogo in cui troverà dimora un altro volto scolpito dallo street artist portoghese che, a sua volta, volgerà lo sguardo verso l’Italia. Un gioco di sguardi rivolti verso quel mare, il Mediterraneo, che nei secoli ha messo in contatto e ospitato l’incontro di diverse culture. Un murales che, inoltre, mette in luce l’emergenza umanitaria che l’Europa, l’Italia in primis, si trova a fronteggiare con migranti che fuggono dal loro paese natìo in cerca di salvezza e speranza. Per vedere un’altra gigantografia incisa da Vhils bisogna spostarci a nord, a Torino.
Un edificio del capoluogo piemontese ospita così il volto di un comune uomo anziano dagli occhi chiari incontrato casualmente per strada dall’artista stesso.
Tra i volti noti sapientemente scolpiti da Vhils degno di nota è quello situato a Berlino e che vede come protagonista la cancelliera Angela Merkel (2011).
Raffigurata con ben tre occhi, il terzo che funge da occhio della provvidenza e relativo all'ultima crisi dell'Euro.
Suggestivi e coinvolgenti, inoltre, risultano anche le figure umane che compaiono a Rio de Janeiro (2012) e a Barcellona, più precisamente a Girona (2012).
Lo street artist Vhils riesce così ad aprire un’enorme finestra sul mondo e sull’umanità scolpendo timori ed incertezze che segnano il volto degli uomini e la loro esistenza. Un ingegnoso lavoro a colpi di scalpello che va così a fissare sulle pareti esterne dei palazzi problematiche universali, nonché un chiaro invito a riflettere su tematiche tanto attuali quanto complesse.
Per saperne di più visitare il sito dell’artista: www.vhils.com Immagini tratte da: barbarapicci.com immagine catania 2 www.collateral catania.it torino notte www.widewalls.ch stick2target-com-merkel_1 spagna instagrafite.com 2012 instagrafite.com rio de janeiro
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Uno dei santuari del Lazio di epoca romana meglio conosciuti è sicuramente quello della Fortuna Primigenia a Palestrina, l’antica Praenestae.
Sebbene il santuario si dati al secondo secolo prima di Cristo, attività di tipo cultuali sono attestate sin dal IV-III secolo a.C. Il complesso monumentale sorge alle pendici del monte Ginestro e si articola in sei terrazze che poggiano su un basamento in opera poligonale.
Alla prima terrazza si accedeva tramite rampe di scale laterali e al centro di questa era situato un nicchione che crea una falsa porta.
La seconda terrazza era dotata di vasche lustrali (ninfei ad emiciclo) precedute da quattro colonne e accanto alle quali erano posti ambienti di servizio. Tralasciano la terza, la quarta, denominata terrazza "degli Emicicli" , con esedre a destra e a sinistra. Nei pressi di quella di destra (per lo spettatore) vi era il pozzo sacro, coperto da una tholos (struttura di forma circolare), dal quale un fanciullo, come racconta Cicerone, estraeva le sortes (i responsi oracolari), De Divinatione XLI 85-86: « Gli annali di Preneste raccontano che Numerio Suffustio, uomo onesto e ben nato, ricevette in frequenti sogni, all'ultimo anche minacciosi, l'ordine di spaccare una roccia in una determinata località. Atterrito da queste visioni, nonostante che i suoi concittadini lo deridessero, si accinse a fare quel lavoro. Dalla roccia infranta caddero giù delle sorti incise in legno di quercia, con segni di scrittura antica. Quel luogo è oggi circondato da un recinto, in segno di venerazione, presso il tempio di Giove bambino, il quale, effigiato ancora lattante, seduto insieme con Giunone in grembo alla dea Fortuna mentre ne ricerca la mammella, è adorato con grande devozione dalle madri. E dicono che in quel medesimo tempo, là dove ora si trova il tempio della Fortuna, fluì miele da un olivo, e gli aruspici dissero che quelle sorti avrebbero goduto grande fama, e per loro ordine col legno di quell'olivo fu fabbricata un'urna, e lì furono riposte le sorti, le quali oggidì vengono estratte, si dice, per ispirazione della dea Fortuna. »
Dalla quinta terrazza o "dei Fornici", a semicolonne con muro decorato dal semicolonne corinzie, si accedeva alla sesta terrazza, detta "della Cortina", il cui ampio piazzale, probabilmente occupato da un bosco sacro, era chiuso con un doppio portico dorico sui tre lati della terrazza.
Questa culmina in una cavea teatrale coronata da un portico al cui centro vi era una tholos che conteneva l’immagine di culto. Il modello dell’edificio e la divinità a cui è dedicato rimandano all’ambito greco-orientale per i seguenti motivi: - Il rapporto teatro-tempio è un qualcosa di ben conosciuto in ambito orientale, come è testimoniato a Delo dal santuario dedicato agli Dèi Siriani; - la sua costruzione fu molto probabilmente voluta da uno dei mercanti italici della città arricchitosi con il commercio, forse di schiavi, presso l’isola di Delo; - un esempio di santuario a terrazze dedicato ad Atena si trova a Lyndos, presso l’isola di Rodi; - il culto della Fortuna Primigenia rimanda ad una Thyche Protogeneia molto attestato in epoca tolemaica come ad esempio a Creta. Nel corso del tempio il santuario ha subito molte modifiche, infatti nel XII secolo, sopra il portico di fondo e la cavea teatrale, sorse il palazzo Colonna-Barberini voluto dalla famiglia Colonna, oggi divenuto il museo archeologico di Palestrina.
Immagini tratte da:
- tibursuperbum.it - fortuna in tasca.it - romanoimpero.it - winkipedia, zanner, pubblico dominio, voce: Santuario di Fortuna Primigenia - trasecoli.it
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È iniziata la #museumweek e quest’anno siamo alla terza edizione!
Ma cosa è questa iniziativa? Da tempo i musei si stanno portando al passo con i tempi, non più luoghi di rigoroso silenzio nei quali veder girovagare solo illustri specialisti. Il museo si sta trasformando, assumendo più i connotati di un luogo che ogni cittadino, ogni turista, deve sentire come proprio, nel quale poter sperimentare, toccare, istruirsi in maniera differente, perché no, proprio divertendosi. In questo processo l’utilizzo dei social network da parte delle strutture museali appare come un passo fondamentale: sempre più persone sono connesse e sempre più visitatori vengono a conoscenza di iniziative ed eventi proprio grazie alla rete. La Museum Week è un’occasione in più per i musei, grandi e soprattutto piccoli, per farsi conoscere a livello mondiale. Non si tratta di un’esagerazione, basta dare uno sguardo al sito per rendersi conto di quanti musei partecipino. Scopo della settimana, dal 19 al 25 giugno, è promuovere la propria arte seguendo una serie di hashtag prestabiliti, ognuno richiamante una tematica della vita quotidiana.
Il lunedì si è parlato di #foodMW, il cibo in tutte le sue varianti: ricette, reperti rinvenuti, opere d’arte riproducenti piatti sino alle riproduzioni di antiche leccornie.
Oggi è il turno dello #sportMW, competizioni sportive di grande o piccolo respiro che siano sono interessanti per questo tema, mentre domani (mercoledì 21) sarà la volta della #musicMW. Particolare è l’hashtag #storiesMW (giovedì 22) che fa riferimento alle storie inerenti le collezioni, le opere d’arte e, ovviamente, il tanto citato storytelling, cioè il raccontare storie (più o meno inventate) per spiegare meglio ai visitatori ciò che hanno davanti nei vari complessi. Non possono mancare poi i #booksMW (venerdì 23) ed il tema dei viaggi con #travelsMW (sabato 24), relativo ai viaggi che hanno intrapreso collezioni e opere d’arte o semplicemente alle modalità di arrivo dei viaggiatori nelle strutture. Il tutto si conclude domenica 25 con #heritageMW, cioè le modalità adottate per rendere più fruibile il patrimonio culturale agli utenti. Tema comune a tutte le giornate è #womenMW, un hashtag dedicato a tutte le donne. Qui è visibile la classifica dei musei più attivi, suddivisi in quattro diverse categorie. Non deve meravigliarci vedere tra le prime posizioni anche piccoli musei che, grazie alla passione dei loro staff, riescono a tenere testa a colossi come British Museum o Louvre. La domanda che potrebbe sorgere è: ma noi semplici viaggiatori cosa possiamo fare? Niente di più semplice: dotarsi di un dispositivo, accedere a Twitter e “spolliciare” a più non posso il proprio museo preferito, aggiungendo cuori, commenti e ritwittando i post inseriti. In questo modo sarà possibile far salire in vetta il museo scelto.
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Volto di Ipazia, da http://musei.beniculturali.it/notizie/notifiche/museumweek-2017 Hastag del 2017, da https://twitter.com/museumweek?lang=it Risultato 2016, https://www.versiliatoday.it/2016/04/05/museumweek-massaciuccoli/ Potrebbe interessarti anche:
Una scalinata lunga 150 metri, con 250 gradini rivestiti di mattonelle colorate provenienti da tutte le parti del mondo, collega i quartieri di Lapa e Santa Teresa a Rio de Janeiro.
La coloratissima scalinata, apparsa in video famosi come “Walk On” degli U2 e “Beautiful” di Snoop Dogg, è presente in varie riviste e spot pubblicitari e da alcuni anni è diventata una famosa meta turistica di Rio de Janeiro.
Quest’opera spettacolare è un omaggio che l’artista cileno Jorge Selarón ha voluto offrire al popolo brasiliano.
Selarón si stabilisce a Rio de Janeiro nel 1983, in una casa nei pressi della scalinata. Qualche anno dopo inizia a decorare i gradini, lavoro che lo terrà impegnato per vent’anni. In un primo momento, i vicini lo deridevano per la scelta dei colori con i quali copriva le alzate dei gradini: frammenti di piastrelle blu, verde e giallo – i colori della bandiera brasiliana.
A guardarla, si potrebbe pensare che la scala sia il frutto di un intervento pubblico di riqualificazione urbana, oppure che sia un progetto commissionato all’artista. Eppure non è così: per poter realizzare quest’opera spettacolare non sono stati impiegati soldi pubblici. Della scalinata se ne occupò l’artista cileno di sua spontanea volontà. La cosa iniziò come progetto collaterale alla sua passione principale, la pittura, ma ben presto divenne per lui un’ossessione. Per finanziare il progetto, vendette tutti i suoi dipinti e si trasformò in artista di strada, disposto a vendere uno schizzo veloce per pochi centesimi pur di ricavare soldi per finire la sua scalinata.
Inizialmente, le piastrelle venivano recuperate da cantieri e rifiuti trovati per le strade di Rio, ma negli ultimi anni la maggior parte di esse vennero donate da visitatori provenienti da tutto il mondo.
Delle duemila mattonelle che compongono la scalinata, oltre trecento sono state dipinte da Selarón e raffigurano una donna africana incinta. L’artista non volle mai rivelare il significato di questo soggetto, trattandosi di “un problema personale del suo passato”.
Selaròn considerò sempre il suo lavoro come "incompleto" e dichiarò: "Questo sogno folle e unico finirà solo il giorno della mia morte".
L’artista Jorge Selaron è stato trovato morto il 10 Gennaio 2013 sulla stessa scalinata da lui progettata a Rio de Janeiro, a pochi metri da casa sua. La polizia non ha scartato l'ipotesi di omicidio, visto che l'artista aveva ricevuto ripetute minacce di morte. Immagini tratte da: http://www.dentroriodejaneiro.it http://www.imjustsaying.info http://fromwayuphigh.com https://tossoffbowlines.com
“La cancellatura è come lo zero in matematica, chiamato a formare, da solo, tutti i numeri e tutti i valori”
(E.Isgrò)
Emilio Isgrò tende la fune ai due capi del paradosso e lascia che le parole e le immagini vi danzino convulsamente, in bilico sul baratro della non-significazione. L'ossimoro nutre il suo linguaggio magnificamente. Egli elide, espunge, cancella e paradossalmente cancellando genera significato. Il tratto che abrade, raschia, rimuove i caratteri originari, non toglie senso al testo ma lo rigenera, lo rinnova, ne origina infiniti altri. La cancellatura nega, sottrae, distrugge ma, se operata con spirito costruttivo, genera in sé le premesse per una nuova realtà espressiva. “Dal latino sappiamo che due negazioni affermano. Infinite negazioni, come sono le cancellature, affermano all'infinito”. ![]()
Correggendo le bozze per scrittori e intellettuali d'altissimo profilo come Palazzeschi e Comisso, il giovane Isgrò intuisce la straordinaria forza espressiva e il deciso impatto visivo insito nelle correzioni e nelle cancellature operate sui propri testi da questi giganti della letteratura novecentesca e, distillandone l'essenza, ne assume il gesto a propria cifra stilistica. Ma la ricerca artistica di questo “vero erede di Pirandello” e dei paradossi della sofistica greco sicula, “nasce soprattutto” -spiega il maestro- “da una riflessione degli anni Sessanta sulla relativa impotenza della parola in una società massmediatica che è interessata principalmente al linguaggio visivo”. Questa subalternità della parola rispetto all'immagine viene risolta dall'artista in maniera duplice, ambivalente. La prima “proposta teorica” è “la poesia visiva in cui la parola viene rafforzata dall’immagine. Come se la parola occidentale per salvarsi avesse bisogno dell’immagine per resistere. La seconda proposta è di cancellare la parola insieme all’immagine”.
La riscrittura sui generis del capolavoro Manzoniano, “I Promessi Sposi cancellato per 25 lettori e 10 appestati” (esposto lo scorso maggio al grattacielo Intesa San Paolo di Torino), sviluppa concettualmente la seconda delle due proposte teoriche sopra enunciate. I 35 volumi della “Quarantana”, l’edizione definitiva curata in tutti i dettagli dal Manzoni stesso e pubblicata fra il 1840 e il 1842, fanno da tabula rasa alle cancellature del maestro siciliano che, lungi dall'iconoclastia di talune stantie operazioni post-Dada, riesce a donare nuovo splendore e inattesa vitalità a un capolavoro senza tempo come I Promessi Sposi. Poesia Jacqueline, 1965, è pura poesia visiva. In un grande campo retinato, privo di figure, una freccia nera indica un punto, un vuoto. Sotto si legge una didascalia: “Jacqueline (indicata dalla freccia) si china sul marito morente”. Il vuoto iconografico (fatto salvo l'enorme freccia) viene colmato dalla straripante pienezza della parola, dal suo straordinario potere demiurgico, creativo. Lo spettatore rivive l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy in tutta la sua drammaticità soltanto grazie alla didascalia, qualsiasi altro riferimento iconografico sarebbe assolutamente superfluo, pleonastico. La parola vince sull'immagine. Ne Il presidente Mao dorme, 1974, una grande campitura scarlatta reca in calce la didascalia “Il presidente Mao Tse-Tung (a sinistra) dorme nel rosso vestito di rosso”. “In quel rosso vestito di rosso” -nota il critico Tommaso Trini- “riconosco [...] Lenin che alza il pugno, [...] Fidel Castro che sale, Mao Tse-Tung che dorme, Che Guevara che cade, [...] Marx che fuma [...]”. Qui la fortissima caratterizzazione simbolico-ideologica, connaturata al colore rosso, e la sua violenta carica espressiva evocano l'intera epopea comunista senza che ne venga di fatto rappresentato alcunché. “Che Isgrò” -continua Trini – “non mi faccia vedere quasi nulla perché nulla rappresenta è a misura della sua viva consapevolezza che la modernità ha abbandonato l’universo della rappresentazione lasciandosi dietro solo i simulacri, e inoltre che il primato del visivo va assolutamente rovesciato”.
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L’opera dello scultore fiammingo Jean Boulogne, in italiano abbreviato in Giambologna, può essere considerata come l’anello di congiunzione tra l’arte di Michelangelo, la cui morte ormai prossima andava a chiudere la grande stagione rinascimentale, e quella di Gian Lorenzo Bernini, l’enfant prodige che, con le sue straordinarie abilità tecniche e inventive, avrebbe tramutato in scultura le maggiori novità apportate precedentemente nel campo della pittura, inaugurando l’età del Barocco. Nato a Douai nel 1529, pochissimo si conosce circa l’apprendistato compiuto in patria da Giambologna, mentre è certa la sua presenza a Roma tra il 1550 e il 1552, come ricorda uno dei suoi principali biografi coevi, Raffaello Borghini, nel trattato d’arte Il Riposo, del 1584. Sulla via del ritorno, Giambologna si fermò a Firenze per completare la sua formazione: vi restò fino al termine della sua vita, nel 1608, accolto “molto in grazia de’ nostri prìncipi per le sue virtù”, secondo Vasari, “giovane veramente rarissimo”, che in qualità di scultore lavorò alla corte del granduca Cosimo I de’ Medici, e poi dei suoi due figli Francesco e Ferdinando I, incarnando gli ideali di eleganza, virtuosismo e difficoltà, caratteristici del Manierismo.
A differenza di Michelangelo, che considerava pertinente all’ambito della scultura solo quella ottenuta “per via di levare”, ossia quella in marmo, Giambologna – e con lui anche Benvenuto Cellini - riportò in auge la scultura “per via di porre”, modellando in cera e in argilla opere che sarebbero state fuse in bronzo. È il caso della monumentale Fontana di Nettuno, destinata alla piazza di San Petronio a Bologna (oggi piazza Maggiore), che segnò l’esordio pubblico dello scultore. Celeberrima è la versione conservata al Museo del Bargello di Firenze del Mercurio, che sembra spiccare il volo, sospinto dallo sbuffo d’aria emesso dalla personificazione del vento Zefiro, funzionale come piedistallo.
Tuttavia, il massimo capolavoro del Giambologna è senza dubbio il gruppo marmoreo raffigurante il Ratto delle Sabine, tratto dall’episodio, in bilico tra mito e storia, del rapimento, ordinato da Romolo, di giovani donne appartenenti alla popolazione laziale dei Sabini, con le quali i Romani si sarebbero in seguito uniti per popolare la loro città di recente fondazione.
Sempre Borghini racconta che la complessa scultura non fu realizzata su commissione da Giambologna: lo scultore realizzò il complesso scultoreo per dimostrare agli artisti invidiosi, i quali lo ritenevano capace solo di lavorare opere in metallo, che “egli non solo sapea far le statue di marmo ordinarie, ma eziando molte insieme, e le più difficili, che far si potesse”. Il titolo stesso del gruppo fu attribuito a posteriori da alcuni eruditi: allo scultore interessava esclusivamente la realizzazione di un insieme di figure intrecciate, vorticose e “serpentinate”, come lingue di fuoco che seguono un moto improvviso, tumultuoso e ascensionale. Giambologna andò oltre il solenne e drammatico spiritualismo di Michelangelo, conferendo alle sue opere l’idea del movimento, che sarà più tardi condotta ai massimi risultati dal giovane Bernini nel suo Ratto di Proserpina, opera ormai lontana dai precetti del Manierismo e capace di porre, con maggiore enfasi, l’accento nel solco del “vero”. Giambologna riuscì nel suo intento di stupire l’osservatore, tanto che il granduca Francesco de’ Medici volle collocare il gruppo in una posizione di grande prestigio, ove è possibile ammirarla ancora oggi: al di sotto della Loggia dei Lanzi, in Piazza della Signoria a Firenze, simmetricamente in dialogo con il Perseo di Benvenuto Cellini.
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Castiglione del Lago, Palazzo della Corgna
30 aprile – 27 agosto 2017 Castiglione del Lago rende omaggio al grande Pablo Picasso nel centenario del suo viaggio in Italia, con l’esposizione a Palazzo della Corgna di oltre 90 opere: tre celebri serie di incisioni e acqueforti e un corpo unico di ceramiche, in cui il segno dell’artista spagnolo è più che mai riconoscibile. Anche Castiglione del Lago rende omaggio al grande Pablo Picasso nell’anno in cui si ricordano i 100 anni dal suo viaggio in Italia. Era il 1917 quando l’artista spagnolo venne nel belpaese in compagnia dello sceneggiatore e drammaturgo Jean Cocteau alla ricerca di ispirazioni creative. Dal 30 aprile al 27 agosto 2017 il Palazzo della Corgna, cuore culturale della città, ospita la mostra “Pablo Picasso. La materia e il segno. Ceramica, grafica”, promossa dal comune di Castiglione del Lago con il contributo della Regione Umbria. La mostra è rappresentativa della creatività del più grande e influente artista del ‘900, che si è cimentato, nel corso della sua lunga e intensa esistenza, in tutti i generi artistici conosciuti: pittura, incisione, disegno e ceramica. L’esposizione di Castiglione del Lago permette di ammirare le tre celebri serie di incisioni e acqueforti, “Le Cocu Magnifique”, “Carmen” e “Balzac en bas de casse et Picassos sans majuscule”, e di un corpo unico di ben 29 ceramiche. Un totale di oltre 90 opere in cui il segno di Picasso è più che mai evidente e riconoscibile. Gli appuntamenti dedicati alla celebrazione del centenario del viaggio di Picasso in Italia appaiono un’occasione unica per scoprire il suo genio incontrastato, come dichiarato dal Ministro Franceschini nell’ambito delle iniziative promosse dal MIBACT: “Il progetto vede il coinvolgimento diretto di importanti istituzioni culturali italiane. È davvero il modo migliore per rendere omaggio a un grande artista europeo legato in maniera indissolubile al nostro Paese”. La gestione del circuito monumentale di Palazzo della Corgna è affidata alla Cooperativa Lagodarte, affiancata da Sistema Museo per le attività di valorizzazione e da Aurora Group per la ristorazione e promozione di prodotti tipici locali. La selezione di opere ospitata nel suggestivo Palazzo della Corgna consente l’approccio a una particolare modalità espressiva dell’artista spagnolo. Il valore di questa esposizione consiste nell’intensità eloquente dei manufatti, realizzati per lo più in un periodo storico particolarmente significativo, segnato dalla fine della seconda guerra mondiale. Picasso sperimenta temi e stili, trasformando forme tradizionali in forme uniche, in particolare nella ceramica, dove l’oggetto quotidiano diventa espressivo. Le ventinove ceramiche esposte, realizzate tra il 1947 e la fine degli anni ’60, provengono da raccolte e collezioni private: brocche, vasi antropomorfi, piatti decorati, graffiti e modellati. La caratteristica di questa produzione è l’originale trasformazione delle forme in particolari plastici figurativi, esaltati dalla policromia del segno pittorico, con un’attenzione al piccolo dettaglio per cogliere l’essenza del rappresentato. Tra i temi iconografici prescelti compaiono gufi, pesci, tori, picadores, corride, uccelli, figure femminili, volti di fauni, realizzati con segni intensi e soluzioni antropomorfe e zoomorfe inimmaginabili. “Dovreste fare della ceramica. È magnifico!”, dichiarò lo stesso Picasso in una conversazione pubblicata sulla rivista “Quadrum” (Bruxelles, 1956). Nelle scelte iconografiche e formali per la realizzazione delle ceramiche l’artista coniuga il linguaggio contemporaneo, ispirato ai grandi temi dell’arte del Novecento, con la storia millenaria dell’arte della ceramica. Nelle tre serie di incisioni e acqueforti Pablo Picasso illustra nello specifico: la novella “Carmen” (1949), una serie di ritratti di Honoré de Balzac, padre del Realismo nella letteratura europea (1957) e il pezzo teatrale “Le Cocu Magnifique” di Fernand Crommelynck di Prosper Mérimée (1968). Raffigura con ammirevole stilizzazione visi di donna e di uomo, costumi andalusiani, teste di toro e figure mitologiche, prendendo ispirazione anche dalle proprie conoscenze mitologiche, tra le quali primeggia la figura immancabile del Minotauro. Scriveva Pablo Picasso sui diversi procedimenti d'incisione: “Il più nobile, il più ricco è senza dubbio l’acquaforte. […] Quindi bisognava arricchire la litografia con la tecnica dell’acquaforte. Mi sembra di esserci riuscito”. Info su www.palazzodellacorgna.it
Dopo un intenso e delicato periodo di restauro, il Cristo alla colonna del celebre pittore e architetto Donato Bramante torna finalmente a risplendere nella sala XXIV della Pinacoteca di Brera a Milano. L’opera, che dall’Abbazia di Chiaravalle giunse a Brera nel 1915, il 15 gennaio fu soggetta a un’alterazione del tasso di umidità, dovuta al malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento della sala, che allarmò vivamente gli esperti tanto da chiedere un restauro immediato. Tuttavia, sollevamenti della superficie pittorica e alterazioni della vernice accentuati dall’accaduto caratterizzano da tempo il dipinto, evidenziando così pessime condizioni di conservazione.
Il primo giugno di questo anno viene così restituito al pubblico quello che tutt’oggi è considerato uno dei capolavori più noti ed emozionanti dell’arte rinascimentale: Il Cristo alla Colonna.
Realizzato tra il 1489-90, al momento è l’unico dipinto su tavola di Bramante giunto sino a noi. Bramante, di fatto, fu una personalità di spicco del panorama artistico di fine’400 e, nonostante sia più noto in veste di architetto, non bisogna dimenticare che fu anche un sapiente pittore.
Il Cristo alla colonna ne è dunque un chiaro esempio.
Carica di tensione psicologica, la scena vede come unico protagonista la figura possente di Cristo, colta nell’atto che prelude la sua flagellazione. Legato a una colonna dalla classicheggiante decorazione, Cristo volge il suo sguardo avvilito e malinconico verso la destra dello spettatore. Una corda è posta intorno al collo e con vigore va a stringere il braccio destro. Le vene si gonfiano e timide lacrime scendono lungo il suo viso. La bocca, invece, appare socchiusa, quasi nel vano tentativo di chiedere riservatamente aiuto.
Notevole è il coinvolgimento emotivo che travolge energicamente lo spettatore. A intensificarne il pathos vi è la posizione frontale di Cristo prossima allo spettatore che viene così invitato a soffrire con lui. La scena è fortemente struggente e inevitabilmente invade l’anima dello spettatore.
Svariate, inoltre, sono le contaminazioni assunte sia dall’arte fiamminga, quali la duplice illuminazione (come la luce frontale e la finestra sullo sfondo) e la resa minuziosa dei dettagli, sia degli insegnamenti di Leonardo da Vinci, legati all’espressività del volto.
Questa tela, dunque, si colloca tra le meraviglie artistiche che si possono ammirare passeggiando all’interno di uno dei più affascinanti luoghi d’arte di cui vanta il nostro paese, nonché la Pinacoteca di Brera. Il ritorno alla sua storica ubicazione dona così al pubblico un’occasione imperdibile per contemplare più da vicino questa preziosa opera del Rinascimento italiano.
Immagini tratte da:
- tg.24.sky 1 - wikipedia, pubblico dominio, voce: Cristo alla colonna - bitculturali.it - tg.24.sky 1
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Nell’ VIII secolo a.C. iniziò un grande movimento migratorio, conosciuto come grande colonizzazione greca, che portò diversi gruppi a spostarsi dalla Grecia per andare a fondare colonie in tutto il bacino del Mediterraneo e lungo le coste del Mar Nero. Fra le diverse terre scelte per la fondazione di nuove città ci fu anche l’attuale Italia meridionale. Il primo luogo ad essere raggiunto, intorno al 780-770 a.C., dai coloni Euboici, in special modo Calcidesi, fu l’isola di Ischia, l’antica Pithecusa.
Nel 1955, l’archeologo di origine tedesca Giorgio Buchner portò alla luce un manufatto preziosissimo: la famosa coppa di Nestore, 730-725 a.C, di cui si parla al v. 632 dell’XI libro dell’Iliade. La coppa è una “kotyle” ossia una piccola tazza per bere di uso quotidiano. Ma perché è importante? Ciò che la rende davvero importante, oltre alla decorazione con motivi geometrici e alla provenienza rodia che attesta traffici commerciali fra l’isola e il mediterraneo orientale, è l’iscrizione presente sul corpo. Infatti la coppa reca inciso un epigramma, una delle più antiche attestazioni di scrittura greca, in alfabeto euboico che recita (da destra verso sinistra): “Νέστορος εὔποτον ποτήριον ὃς δ' ἂν τοῦδε πίησι ποτηρίου αὐτίκα κῆνον ἵμερος αἱρήσει καλλιστεφάνου Ἀφροδίτης “ “ Di Nestore echeggia la buona coppa chi beve dalla sua coppa, subito lui sarà preso dal desiderio per Afrodite dalla bella corona”
Per parlare di un altro capolavoro dobbiamo, adesso, spostarci sulla terraferma presso l’Incoronata, (bassa collina situata sulla riva destra del fiume Basento a pochi chilometri da Metaponto), dove troviamo un peryrrhanterion. Questo è un grande bacino lustrale utilizzato per i riti di purificazione databile tra il 640 e il 630 a.C. A differenza della coppa di Nestore, il peryrrhanterion è di produzione locale poiché durante lo scavo vennero travate anche le matrici con cui si realizzavano. Presenta una decorazione organizzata su diversi registri:
1) Eracle che lotta contro un centauro; 2) Un uomo che avanza verso una donna, molto probabilmente di Oreste e Clitennestra; 3) Due opliti in duello; 4) Gorgoni in corsa; 5) Due uomini che lottano nei pressi di un guerriero caduto; 6) La coppia sacra di Hera e Zeus; Le vicende e le figure mitologiche rappresentate rimandano ad esempi di forza, furbizia e coraggio che avevano un valore educativo e formativo per un giovane di rango. Immagini tratte da: - archart.it - bayofbelfals.org - radiorai3 |
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Gennaio 2022
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