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28/8/2018

Ella & Pitr e la loro Aerial Street Art

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di Ilaria Ceragioli
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​Si fanno chiamare Ella & Pitr e sono due formidabili street artists francesi di Saint-Étienne, classe 1980.
La loro collaborazione artistica e sentimentale nacque nel 2007 quando, casualmente, si incontrarono per strada intenti ad affiggere uno dei loro disegni manifesto.
Ella & Pitr hanno così dato vita a una forma di Street Art molto interessante, insolita e particolarmente originale, meglio nota come Aerial Street Art. Quella dei due artisti, infatti, è un’arte di strada che si gusta da una prospettiva inconsueta, più precisamente dall’alto. Le dimensioni mastodontiche dei loro soggetti e la scelta, spesso e volentieri, di utilizzare come supporto i tetti delle abitazioni, di fatto, fa si che le loro opere possano essere ammirate e fotografate soltanto da piloti di elicotteri e da droni radiocomandati.
Per chiarirvi l’idea ecco alcuni dei loro capolavori più strabilianti che vedono come protagonisti dei giganti dormienti.
Il primo si trova in Italia, a Salerno, in Piazza Angeli della Strada, meglio conosciuta come Piazza del Mercato. 
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​L’opera ha assunto il nome di Eros, nonostante la figura maschile non sia accompagnata dai classici attributi, quali dardi e ali.
Al contrario, osserviamo un uomo che si riposa, dall’abbigliamento domestico e ornato di collana e anelli color oro.
Tuttavia, ciò che spicca e impressiona lo spettatore sono, indubbiamente, le sue gigantesche dimensioni.
Ritornando nella loro città natale, Saint-Étienne, invece, degno di menzione è questo colossale murales che dimora sul tetto di un edificio.
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Il soggetto è una donna anziana dal naso aquilino, ben abbigliata e attenta alla cura dei particolari, lo testimoniano la sua borsetta e lo smalto rosso delle unghie delle mani e dei piedi. La bocca spalancata e gli occhi serrati ci fanno capire che è crollata in un sonno profondo.
Un altro capolavoro di Ella & Pitr porta il nome di Cloudie Lopez & suo figlio Lidi e domina il tetto di un complesso di abitazioni di Porto Rico, come possiamo comprendere dall’immagine sotto riportata.
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​Ella & Pitr invitano i loro “spettatori” a lasciarsi trasportare dalla propria immaginazione; non impongono una chiave di lettura dei loro soggetti, al contrario, intendono che chiunque possa cogliervi il messaggio e la sensazione che scaturiscono alla loro vista.
I due street artists francesi si differenziano da molti loro colleghi anche riguardo alla scelta di rispettare l’ambiente che, talvolta, viene adoperato come tela; Ad esempio, per realizzare un’opera a Tunquen, una spiaggia cilena, si sono serviti di elementi naturali, come alghe arenate, mentre per ricreare il colore bianco o nero hanno utilizzato materiali biodegradabili come il gesso e il carbone.
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​Ella & Pitr, dunque, sono i fondatori di una Street Art fuori dal comune che germoglia dall’osservazione del mondo e del vissuto dei suoi abitanti. Un’arte che prende vita nel momento in cui qualcuno, dall’alto la osserva.
Loro stessi, di fatto, affermarono: “Ogni situazione quotidiana da noi affrontata, sia come attori sia come spettatori, può alimentare la nostra ispirazione, proprio perché siamo vivi.”
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Immagini tratte da:
www.blogs.mediapart.fr
www.terzoincomodo.it
www.idealista.it
www.ilterzoincomodo.it
www.artspecialday.com
www.barbarapicci.com

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14/8/2018

“Massimo Podestà. Modelle 4.0: il cosmo possibile”

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Dal 18 agosto al 16 settembre 2018 il Lu.C.C.A. Lounge & Underground  ospita i dipinti dell’artista ligure 
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In un mondo sempre più dominato dal digitale, dalla virtualità e dalla robotica, l’artista ligure Massimo Podestà ci propone una riflessione “analogica” attraverso un tuffo nel suo mondo pittorico che sembra annullare i concetti di spazio e tempo. “Modelle 4.0: il cosmo possibile” è il titolo della sua mostra personale, curata da Maurizio Vanni, che sarà aperta al pubblico dal 18 agosto al 16 settembre 2018 nel Lu.C.C.A. Lounge & Underground, con ingresso libero. L’incontro con l’artista si terrà sabato 1 settembre 2018 alle ore 17.

Nelle sue opere appare subito chiara la volontà di utilizzare ripetutamente uno stesso archetipo – quello della “modella” che diventa una matrice segnica – scardinando il concetto tradizionale di tempo. Ne scaturiscono lavori nei quali – scrive Maurizio Vanni – “l'esperienza visiva è ripetutamente ostacolata da un'indeterminatezza della condizione temporale. I fondi, a loro volta tendono a produrre risultati estetici ed estatici. Accelerazioni, rallentamenti, fluttuazioni, immersioni, riflessioni, ribaltamenti morfologici e prospettici: sono queste le azioni-sensazioni che rivelano la simbiosi tra figure e spazio, impediscono la misurazione tradizionale del tempo e si inseriscono, connotandolo, all'interno di un cosmo improbabile, ma possibile”.  ​

Le modelle cosmiche di Massimo Podestà calcano una passerella ideale, apparentemente inverosimile, che si presenta come una sorta di mappa cognitiva del “qui e ora”. I fondi, mai concepiti come tali, sono ricchi di sollecitazioni visive, cromatiche, simboliche ed esoteriche e costituiscono parte fondamentale del dipinto. “Modelle rappresentate con posture tipiche delle mannequin – prosegue Vanni –, ma contestualizzate in scenari galattici, in contesti cosmici, in ambienti planetari: la figura femminile diventa un archetipo, una matrice esistenziale che si muove in palinsesti che hanno a che fare con il tempo del sogno. Le sue composizioni, infatti, potrebbero alludere a coscienti illusioni: il loro fascino, legato al mistero di una immagine che pur restando a portata di mano è sempre fuggevole, sta nel fatto che si presentano con un carattere di purezza, essenzialità e sintesi che si scontra con scenari dinamici che rompono schemi e convenzioni. Certe volte la fantasia risulta essere più efficace del pensiero razionale. Ecco perché scenari fantastici possono proiettare ognuno di noi in un cosmo possibile: Podestà è consapevole che senza sogni l'essere umano non potrebbe vivere”.
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​Note biografiche Massimo Podestà

Nasce a Sarzana (SP) nel 1949. A partire dal 1967 comincia a dipingere e ad esporre. Conosce artisti come G. Dagna e F. Vaccarone insieme ai quali comparirà nello speciale Artisti Liguri su “Bolaffi Arte 1972”. Nel 1970 nasce il ciclo “Natura e uomo”, ed è incoraggiato, a Firenze, da importanti pittori come Primo Conti. Alfio Rapisardi gli organizza nel 1971 la prima personale fiorentina alla galleria La Lambertesca.  Nel 1973, conosce il pittore U. Capocchini che lo sprona a proseguire nelle sue ricerche. Nel 1975 nasce la “Scultura debole”. Si laurea nel 1976 presso la Facoltà di Architettura di Firenze, col Prof. Leonardo Savioli. Nel 1977 nascono i quadri geometrici con poesie mentre nel 1979 i “Quadri spaziali”. Dal 1979 intraprende l’attività di designer, ideando oggetti (mobili, lumi, borse), collaborando alla produzione industriale ed alla direzione artistica di diverse ditte, partecipando a mostre commerciali nazionali ed estere, quali Gift (Firenze), Macef (Milano), Abitare il tempo (Verona), Salone del mobile (Milano), Mobile (Parigi), mostra internazionale Conseguenze impreviste arte-moda-design a Prato. Nel 1980 nascono i quadri con riferimento al design. Nel 1981, le prime foto ritoccate. Tra il 1982 e il 1983, collabora con lo Studio Alchimia e Alessandro Mendini a Milano. Nel 1983 fonda a Firenze “Il punto Bacola”, struttura aperta a tutto ciò che succede nel campo del design (architettura, arte, grafica, comunicazione); nello stesso anno, espone le sue opere ai Magazzini La Fayette di Parigi e alle Argenterie Cassetti di Firenze. Nel 1984 partecipa a Marmo-moda (Firenze) ed espone da Lancel a Parigi, da Tiffany a New York e ai Magazzini Harrod’s di Londra. Nel 1985 firma il manifesto del “Nuovo Rinascimento” ed espone le opere da Cristofle a Parigi. Nel 1990 nascono gli “Universi”, nel 1991 le figure con campi magnetici. Sono del 1995 “I paesaggi dell’anima” e “I segni dello zodiaco”. Nel 1997 prende parte al Comitato Arte e Cultura di Firenze; nel gennaio 1998 fonda a Firenze “IntroArt” e nello stesso anno crea la “Mail Art”. Nel 2001 entra a far parte dell’Antica compagnia del Paiolo di Firenze. Nel 2000 nascono “Le modelle cosmiche”. Nel 2005 entra a far parte del gruppo dei Coloristi, presso la Galleria del Palazzo Coveri. Nel 2006 riprende a sviluppare la “Scultura debole”. Nel 2007 entra a far parte della Società delle Belle Arti - Circolo Artistico Casa di Dante di Firenze e crea la “Fluicart”. Con un gruppo di artisti, fonda il “KPK”, movimento attivo tutt’oggi con mostre, performance, installazioni e video. Nel 2008 nasce la “Photart”. Nel 2009, nasce il “Massimo pensiero”: pensieri diffusi attraverso la pubblicità, inseriti nel contesto di varie opere. Sulla rivista “Exibart” n. 61 (novembre/dicembre 2009) per la prima volta appare il Primo Massimo pensiero. Nel 2013 partecipa alla Bottega di Sgarbi Artisti e capre. Nel 2017 è presente al CollaborAzione Festival del Castello di Vicari, Lari.
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MOSTRA “MASSIMO PODESTÀ. MODELLE 4.0: IL COSMO POSSIBILE”
Lu.C.C.A. Lounge&Underground
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Dal 18 agosto al 16 settembre 2018
orario mostra: da martedì a domenica 10-19, chiuso lunedì
Ingresso libero

Incontro con l’artista sabato 1 settembre 2018 ore 17
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Per info:
Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art Via della Fratta, 36 – 55100 Lucca
tel. +39 0583 492180 www.luccamuseum.com info@luccamuseum.com


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14/8/2018

Il “Cosmo” e le sue molteplici visioni

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di Cristiana Lovari
“…Nella vostra vita vi auguro almeno un blackout in una notte limpida.”
Mario Rigoni Stern
A Petricci, un piccolo borgo alle pendici del Monte Amiata, molto vicino a Saturnia ma un po’ fuori dalle rotte più battute dai turisti estivi, sabato 4 agosto si è tenuta l’inaugurazione di una mostra che avrà luogo fino al 19 agosto, molto interessante per la molteplicità di esperienze e interpretazioni messe in campo. La mostra è patrocinata dal Comune di Semproniano e fatta in collaborazione con l’associazione “Il Campanile” di Petricci e “L’Ippogrifo” di Semproniano, due piccole realtà locali che ne hanno permesso la realizzazione. L’idea della mostra è nata circa un anno fa da una chiacchierata estiva tra una delle artiste che espongono alla mostra e un’astrofisica, quindi due esperienze completamente diverse, ma unite da un filo conduttore comune, indagare il cosmo sopra di noi e provare a interpretarlo. ​
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​La volta stellata, il viaggio nello spazio, la costante relazione che da sempre unisce il mondo dell’arte a quello della scienza sono i macro-argomenti che gli artisti hanno fatto propri e rappresentato. Gli artisti che hanno aderito a questa iniziativa sono, Walter Bolpagni, Michela Buttignon, Clovis, Oscar Corsetti, Augustinas Maicena, Brigitte Schneider, Riccardo Uberti e Michael Volke, Luisa Passalacqua e Vroni Finckh, Riccardo Polveroni e il fotografo Rolf von der Heydt. Ognuno di loro ha reinterpretato l’argomento secondo il proprio modo di fare arte, il risultato è quindi una molteplicità di “visioni”, di materie e di forme artistiche differenti, pittura, scultura, fotografia, video e musica che ci mostrano come anche la realtà che ci circonda sia variopinta e sfaccettata, come non esista un pensiero unico ma molteplici interpretazioni di esso.
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Naturalmente, argomenti come il cosmo e l’universo ben si prestano a questo tipo di suggestioni e forse è proprio questo che ne rende affascinante l’osservazione, ossia il fatto che da sempre l’uomo osserva la volta celeste e continua a farlo, traendone sempre nuova ispirazione. Per tratteggiare questa indagine e questa visione a 360 gradi non mancano gli interventi a carattere scientifico, l’astrofisica Veronica Bindi e l’ingegnere Andrea Argan, lo space designer Daniele Bedini, l’archeologa Alessandra Villari, e un mio piccolo contributo in quanto storica dell’arte. Sono stati coinvolti e chiamati a dare la loro “visione” artistica del cosmo anche gli alunni della vicina scuola media di Roccalbegna che si sono dimostrati all’altezza del compito richiesto sia per quanto riguarda la parte concettuale che quella della realizzazione pratica delle opere.
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​Nello spazio espositivo, una carrellata di alcuni dei più famosi film dedicati allo spazio completano il percorso, a ulteriore dimostrazione di come lo spazio abbia da sempre affascinato tutte le arti.
Finita questa prima esperienza espositiva che si spera porterà fortuna a tutti gli artisti coinvolti, la mostra si muoverà dal Monte Amiata per cercare nuovi spazi che la accolgano e forse anche nuove esperienze che continuino ad arricchirla.
 

 Immagini tratte da:
​-https://www.ilgiunco.net/evento/visioni-tra-arte-e-cosmo-due-conferenze-a-petricci-tra-acheologia-e-astrofisica/
-Foto dell’autore.

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7/8/2018

Il tempio di Atena Aphaia e i suoi frontoni

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di ​Antonio Monticolo
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​Sull’isola greca di Egina vi è un tempio dedicato ad Atena Aphaia (“non oscura”). Un primo tempio venne costruito intorno al 570 a.C. Andò bruciato intorno al 510 a.C. e venne nuovamente ricostruito in forme più monumentali qualche tempo dopo. Questo secondo tempio era dotato di una decorazione frontonale. Ritrovate nel 1811, le sculture, che decoravano il frontone Ovest ed Est, vennero comprate dal re di Baviera e per questo sono oggi conservate alla Gliptoteca di Monaco, dove vennero restaurate dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen (1770-1844).
Il frontone occidentale è più antico di quello orientale, infatti si data tra il 510 e il 500 a.C., mentre quello orientale tra il 490 e il 480 a.C.
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Frontone ovest
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Frontone est
​Ma cosa rappresentano? E come si può ritenere che i due frontoni siano di età differenti?
Innanzitutto entrambi i frontoni raccontano la guerra di Troia, ma con una differenza. Infatti, nel frontone occidentale è rappresentata la guerra di Troia narrata nell’Iliade, mentre sul frontone orientale quella a cui presero parte Eracle e Telamone (padre di quell’Aiace che prenderà parte alla spedizione successiva con Achille) contro Laomedonte, figlio di Ilo (fondatore di Troia) e padre di Priamo.
Tra i due frontoni vi sono delle differenze che hanno permesso di datarli ad anni differenti. Vediamone alcune. Nel frontone occidentale al centro compare Atena stante con le braccia lungo il corpo mentre ai suoi lati compaiono gruppi di figure in lotta fra loro. Nel frontone orientale, quello più recente, Atena è sempre posta centralmente, ma ha il braccio sinistro aperto e le gambe sono leggermente distanti l’una dall’altra ad indicare una sorta di movimento. Inoltre le figure sono più grandi e sono in minor numero, infatti si passa dalle dodici del frontone occidentale alle dieci di quello orientale. Ma c’è un’altra caratteristica molto affascinante da descrivere. 
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Guerriero d’angolo del frontone occidentale
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Guerriero d’angolo frontone orientale
Osserviamo i guerrieri posti agli angoli dei due frontoni. Il guerriero del frontone occidentale è ferito, ha una gamba accavallata, si sta togliendo un dardo o un giavellotto dal petto, ma il suo volto non mostra alcun segno di dolore. Il guerriero dell’altro frontone è rappresentato in modo totalmente diverso. Molto probabilmente si tratta dello stesso Laomedonte che ferito sembra trascinarsi e cerca in tutti i modi di raccogliere le forze per ergersi sullo scudo. Il volto ha perso quel sorriso del guerriero del frontone occidentale. Ha gli occhi abbassati e la bocca semiaperta. Si può avvertire tutta la sofferenza per la ferita inferta che si accompagna a un grande dispiacere: “Il dramma diviene umano […] una smorfia di dolore sostituisce il sorriso convenzionale sul volto del ferito d’angolo che tenta un ultimo sforzo.” (Charbonneaux, Martin, Villard: La Grecia arcaica, Parigi, 1979). In sostanza da questo momento le figure iniziano a mostrare un senso di riflessione sul dolore stesso e sulla precarietà della condizione umana.

Immagini tratte da:
Foto 1wikipedia Pawel pbm Szubert   CC by-SA3.0
Foto 2 wikipedia pubblico dominio
Foto 3 wikipedia pubblico dominio
Foto 4 loescher editore
Foto 5 wikiepdia, daderot   CC0

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7/8/2018

Peggy Guggenheim: una collezionista “d’Avanguardia”

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di ​Ilaria Ceragioli
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Nel Novecento la diffusione delle opere d’arte fu strettamente connessa all’attività di molti collezionisti. Colei che rivestì un ruolo a dir poco prestigioso nell’ambito del collezionismo e della storia dell’arte contemporanea fu Peggy Guggenheim.
La sua vita colma di arte, di viaggi, di amicizie e di amori conclusisi tragicamente può essere paragonata ad una pellicola cinematografica.
Marguerite Guggenheim, meglio nota come Peggy Guggenheim, nacque a New York nel 1898 da una nobile famiglia di antiche origini ebree. Fu la nipote del celebre Solomon R. Guggenheim, proprietario del Guggenheim Museum di New York, mentre il padre Benjamin morì quando Peggy era ancora molto giovane; fu infatti una delle vittime nell’affondamento del transatlantico più conosciuto al mondo, ossia il RMS Titanic che,come ben sappiamo, urtò un iceberg nel 1912.
La personalità di Peggy Guggenheim emerse immediatamente; Peggy, infatti, era molto di più che una semplice collezionista. Era una donna carismatica ed eccentrica, destinata a lasciare un’impronta permanente nell’arte del secolo scorso.
Poco più che ventenne cominciò a frequentare importanti salotti dell’epoca dove conobbe molti intellettuali, come le scrittrici Natalie Barney e Djuna Barnes e artisti, tra cui Laurence Vail, un pittore appartenente al movimento dadaista che presto divenne suo marito. Peggy Guggenheim si inserì così nell’affascinante mondo delle avanguardie artistiche conoscendo anche Man Ray (per il quale posò) e Marcel Duchamp, che le insegnò la differenza tra l’arte astratta e l’arte surrealista.​
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Al 1928 risale il divorzio con Vail. In seguito Peggy Guggenheim cominciò a viaggiare per l’Europa, in particolare a Parigi e a Londra, dove si innamorò perdutamente di John Holms, uno scrittore inglese dedito all’alcolismo che, tuttavia, la lasciò prematuramente qualche anno dopo, a causa di un malore. A Londra conobbe anche il poeta francese Jean Cocteau assieme al quale fondò la sua prima galleria, la Guggenheim Jeune che in seguito venne trasformata in un vero e proprio museo. Qui, esposero le proprie opere artisti d’avanguardia ancora sconosciuti come Vasilij Kandiskji e Yves Tungay e artisti ormai affermati come Henry Moore, Jean Arp, Max Ernst e Pablo Picasso.
Nel 1939 lo scoppio del secondo grande conflitto mondiale non le impedì di continuare la sua attività di collezionista e acquistò una consistente quantità di opere d’arte di Salvador Dalì, Piet Mondrian e Georges Braque.​
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Nel 1942 inaugurò nella sua città natale un’altra galleria, la Art of this Century, all’interno della quale spiccò il nome di Jackson Pollock. Fu grazie all’eccellente lavoro di Peggy Guggenheim e al breve matrimonio con Max Ernst, che Pollock e molti altri artisti americani entrarono così in contatto con l’arte surrealista proveniente dal continente europeo.
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​Dal 1948 Peggy Guggenheim si trasferì definitivamente nel Palazzo Venier dei Leoni a Venezia, un palazzo settecentesco che la affascinava per la sua storia; Gabriele D’Annunzio, infatti, lo donò alla sua amante, la marchesa Luisa Casati collezionista e mecenate. Prima della sua morte avvenuta nel 1979 Peggy Guggenheim lasciò in questa dimora una preziosa collezione comprendente varie opere d’arte contemporanea. 
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Non bisogna assolutamente dimenticare che il valore di questo gioiello sulla laguna veneziana è acuito dal fatto che si tratta di uno dei soli otto musei Guggenheim esistenti al mondo.
Il palazzo, inoltre, ospita la tomba di Peggy Guggenheim, adiacente a quelli dei suoi 14 cani.
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Dunque, Peggy Guggenheim fu una collezionista atipica; non acquistava quadri o sculture per investimento, bensì se ne impossessava al fine di dare vita a un grande museo contenente i capolavori delle avanguardie artistiche del suo tempo.
 
Immagini tratte da:
www.italian-directory.it
www.bricioleneletto.blogspot.com
www.trendstoday.it
www.guggenheim-venice.it
www.guggenheim-venice.it
www.guggenheim-venice.it
www.guggenheim-venice.it
www.guggenheim-venice.it
www.torrestravel.it
www.atlasobscura.com​

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