Si è aperta sabato 7 ottobre alla galleria Passaggi Arte Contemporanea di via Garofani la mostra del fotografo Luca Lupi. Originario di Pontedera, Lupi si è recentemente distinto sulla scena artistica contemporanea grazie alla vittoria di una serie di prestigiosi riconoscimenti, come quello della Settima edizione del francese Photomed Festival (2017), il primo posto del concorso Italy in a frame della Triennale di Milano (2016) e il premio COMBAT al Museo Civico Giovanni Fattori (2015).
Alla galleria Passaggi Lupi presenta Finis Terrae, un corpus di opere dove protagonista è il paesaggio e la percezione che il fotografo e lo spettatore hanno di esso. Sono di grande formato le fotografie che catturano stralci di territorio visti dalla terra ferma, capaci di dialogare come in un silenzioso contrappunto con opere di minore dimensione dove, viceversa, lacerti di terra vengono immortalati dal mare. Nel percorso studiato appositamente per la galleria pisana, dove sono riconoscibili tratti di territorio toscano, ma anche italiano e internazionale, Lupi suggerisce quasi con un bisbiglio allo spettatore nuovi modi di rappresentare esteticamente il paesaggio e un metodo di lettura dell'opera che annulla il tempo e cattura lo spazio in una durata senza fine.
Di seguito, proponiamo una breve intervista fatta al fotografo pisano in occasione dell'inaugurazione della mostra.
• Chi è Luca Lupi? Quale è stata la tua formazione? Ho iniziato a fotografare da ragazzo con la Pentax Spotmatic di mio padre e da una passione è diventato prima un lavoro e ora un modo per esprimermi. Dopo essermi diplomato ho seguito vari corsi specialistici di fotografia e facendo pratica in vari studi fotografici. Ho iniziato a lavorare come fotografo professionista dal 1995 collaborando con il Ministero dei Beni Culturali, Opificio delle Pietre Dure, Facoltà di Architettura di Firenze e varie case editrici. Dal 2011 ho iniziato una ricerca personale che mi ha portato nel 2014 a essere selezionato a Parigi da Circulations - Festival de la jeune photographie européenne e da lì è iniziato il mio percorso artistico. • Cos'è per te il mezzo fotografico e perché lo hai scelto come mezzo privilegiato per le tue opere? La fotografia è il mezzo che mi permette di realizzare una ricerca artistica e di fare in modo che lo spettatore osservi e interpreti il mondo dal mio punto di vista. • Cos'è per te il paesaggio? È un termine del linguaggio che descrive la forma di un luogo derivata dall’azione naturale o umana e dalle loro interrelazione. Con il mio lavoro sto cercando di creare un nuovo modo di rappresentarlo. • È possibile vedere una continuità nella tua produzione artistica? Ma sicuramente sì, mi hanno sempre affascinato i concetti di spazio e di tempo e tra queste due linee di ricerca mi sto muovendo, cercando di trovare una pulizia e un rigore nel caos del nostro mondo contemporaneo. • Che rapporto c'è oggi, secondo te, tra pittura e fotografia? La pittura è stato il primo mezzo utilizzato per rappresentare un’immagine e dopo l’avvento della fotocamera che permette di riprodurre in modo meccanico un’immagine, le vedo come due mezzi che consentono di registrare in maniera soggettiva la realtà su una superficie bidimensionale. • Cosa vuol dire “saper guardare” per te? Saper vedere. • Il concetto di “saper guardare” è per te collegato a quello di “abitare un paesaggio”? L'estetica tedesca ha dato al concetto di abitare un senso profondo che comprende tanto l'istanza conoscitiva di un determinato ambiente quanto di se stessi. Per te, oggi, cosa vuol dire abitare un paesaggio? Riesci a riconoscere qualcosa di te stesso nei paesaggi che catturi? “Borges racconta di un uomo che si propone “di disegnare il mondo” e raccoglie immagini di provincie, montagne, isole, baie, dimore per scoprire, quando è vicino alla morte, che quel labirinto di paesaggi disegna in realtà il suo volto.” (Vittorio Lingiardi, Mindscape, Raffaello Cortina Editore.) Penso che il mio lavoro, oltre a riprodurre la realtà che ci circonda, ritragga anche me stesso, cercando nel mondo luoghi che danno forma a una immagine che è già presente in me.
• Le tue ultime opere presenti in questa mostra, Finis Terrae, possono essere viste come una sorta di soglia, di confine? Se sì, dietro questa soglia è nascosto qualcosa da scorgere?
La soglia, il confine sono concetti mentali o geopolitici e in alcuni casi come in questi progetti diventano fisici come l’acqua, la terra e l’aria. Mi piace pensare alla “siepe” di Leopardi che apre la visione all’immaginazione. • In tutte le fotografie del corpus di Finis Terrae terra e mare si toccano e creano una suggestiva soglia capace di attrarre irresistibilmente il nostro sguardo. Perché hai scelto il tema del contrasto tra terra e mare? E perché hai scelto proprio il punto di vista del mare? É un punto di vista inconsueto e attraverso l’astrazione del cielo mi permette di isolare la linea di terra rafforzandone il suo valore. • Qual è il rapporto nei tuoi lavori tra realtà catturata e spazio della rappresentazione? Rispondo con un testo di Gabriele Basilico: “Lo spazio è geografia, storia e immaginazione. Nella rappresentazione fotografica lo spazio è documento, testimonianza oppure interpretazione, trasfigurazione. A volte tutte le cose insieme. Quello che mi seduce e affascina sono la sovrapposizione e il registro speciale di questi aspetti: una doppiezza invisibile, un’immagine in apparenza descrittiva ma che contenga allusioni e rimandi non immediatamente percepibili. Mi piace pensare che lo spazio si moltiplichi all’infinito e che la sua immagine possa restituire e rifrangere l’idea della complessità.” (Gabriele Basilico, Architettura, città, visioni. Bruno Mondadori.) • In quale misura è possibile leggere un tempo dentro le tue fotografie? Nella fotografia il tempo dello scatto si fissa in una durata infinita annullandosi e mostrando solamente lo spazio. Immagini tratte da: Le fotografie, esclusa la seconda, sono state gentilmente concesse da Passaggi Arte Contemporanea e da Luca Lupi. Fotografia 2: Giovanna Leonetti
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Sebastiano Luciani, meglio conosciuto come Sebastiano del Piombo, in virtù del titolo di piombatore pontificio, ossia di addetto alla cancelleria vaticana, di cui lo investì Clemente VII de’ Medici, a testimonianza del riguardo e dell’ammirazione che il papa gli riservò durante tutta la sua carriera di pittore, in realtà, nei secoli successivi, non sempre godette della medesima fortuna critica. Giorgio Vasari, per esempio, a pochi anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1547, lo considerò un mero surrogato di Michelangelo: vediamone le ragioni. Sebastiano nacque nel 1485 circa a Venezia, e, come Tiziano, si formò presso Giovanni Bellini e poi Giorgione, dal quale apprese la tecnica, squisitamente veneziana, della pittura tonale, ottenuta attraverso la giustapposizione di velature, capaci di rendere al meglio i passaggi chiaroscurali e di tono, appunto, creando l’illusione della profondità.
Il ricco e potente banchiere senese Agostino Chigi, durante un viaggio diplomatico nella città lagunare, non poté fare a meno di notare il virtuosismo del giovane allievo di Giorgione, tanto da portarlo con sé a Roma, affidandogli parte della decorazione della loggia di Galatea, nella sua villa di Trastevere. Dopo averne affrescato le lunette, con scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio, Sebastiano, nel 1512, passò alla raffigurazione di un altro mito narrato dal poeta latino, quello dell’amore non corrisposto di Polifemo per la bellissima ninfa marina Galatea. Il possente ciclope, dipinto alla maniera “michelangiolesca”, macchiatosi del sangue di Aci, l’amante della ninfa, si volge verso il mare alle sue spalle, osservando con disperazione il Trionfo di Galatea, simbolo della vittoria dell’amore puro sulle ferine pretese del mostro, realizzato poco dopo non da Sebastiano, bensì da Raffaello.
Questa duplice committenza da parte di Chigi mirava a inasprire la competizione tra i migliori pittori sulla scena artistica del tempo. Il confronto non ha pari: Raffaello scelse di rompere la possibile continuità tra i due affreschi attigui, alterando la prospettiva della linea dell’orizzonte, e, di conseguenza, la logica della narrazione. Quello stesso anno, inoltre, si ebbe il compimento della volta della Sistina e di gran parte delle Stanze Vaticane, così che Sebastiano visse personalmente i pettegolezzi e le discettazioni del pubblico circa l’attribuzione del primato della pittura, conteso, in un incandescente clima di rivalità, tra il superbo Michelangelo e il divino Raffaello. Il comune antagonismo nei confronti di quest’ultimo condusse alla nascita di un felice sodalizio pittorico tra Sebastiano e Michelangelo, il quale, “accusato” di aver impiegato per la Sistina una tavolozza ancora troppo legata al Quattrocento fiorentino, fornì numerosi disegni preparatori e invenzioni compositive, che, poi, il veneziano seppe animare con il suo sapiente uso del colore. Uno dei frutti di questa “alleanza” è la magnifica Pietà di Viterbo.
Il livido corpo di Cristo, che giace ai piedi della Madre, sottolinea il distacco e la solitudine della morte, mentre lo sguardo di Maria è tutto proiettato verso la speranza di salvezza e resurrezione, palpabile nella tensione delle mani giunte. L’iconografia costituisce un’evoluzione rispetto a quella della Pietà scolpita dallo stesso Michelangelo, mentre le rovine e il notturno dello sfondo, che con i suoi fiammeggianti bagliori crepuscolari partecipa allo straziante dolore della scena, risentono dei paesaggi della pittura veneta.
Se questa innovativa e stimolante simbiosi artistica può aver posto Sebastiano in una posizione subordinata rispetto alla fama immortale di Michelangelo, è importante rileggere la sua opera alla luce dell’influenza che ebbe su alcuni artisti successivi, come Giulio Romano e Caravaggio.
Immagini tratte da:
Blub: è questo il nome d’arte del misterioso writer di origini fiorentine che sta letteralmente spopolando sul web e nelle strade di molte città italiane. Segni del suo passaggio, infatti, sono riscontrabili in varie città italiane, a Firenze, a Lucca e a Roma, per citarne alcune. La sua attività, però, comincia nel 2013 a Cadaqués, in Catalogna.
Ma in cosa consiste la sua originalità che lo ha portato ad un simile successo?
Quella di Blub è una street art che si appropria in modo del tutto innovativo e suggestivo dei volti di personaggi del passato, artisti, scrittori e divi del cinema che hanno lasciato ai posteri un prezioso contributo culturale e morale. In tal modo figure note vissute in epoche ormai remote sembrano rivivere nei muri di vicoli e di strade della società contemporanea. Immersi in uno scenario acquatico i soggetti della sua arte sono muniti di maschere da sub accompagnate da diverse bollicine. Blub spiega che ha scelto di creare un’arte “subacquea” al fine di lanciare un chiaro messaggio: da tempo la crisi economica investe il nostro paese e siamo ormai giunti con l’acqua alla gola. Dunque, l’obiettivo della collettività sarà nuotare e risalire. Uno stimolo che comincia dai grandi personaggi del passato che muniti di boccale tentano di riemergere dall’acqua. Sugli sportelli dei contatori del gas o dell’energia elettrica trovano così dimora le sue riproduzioni. Passeggiando per le vie del centro di Lucca potremmo avvistarne alcune, come il volto di profilo di Dante, Mastroianni e Anita Ekberg, il doppio ritratto dei duchi di Urbino di Piero della Francesca e molte altre.
Nel capoluogo toscano, invece, potremmo incontrare l’autoritratto di Leonardo da Vinci, la Venere di Botticelli, il volto di Gesù, ecc.
In merito all’inaspettato entusiasmo e all’attiva partecipazione dei cittadini Blub afferma: “Ho iniziato per caso, anche se il caso per me non esiste, poi ho continuato perché l'effetto che ha sulle persone mi porta a continuare. Mi dà piacere quando mi cercano per pregarmi di rimettere una stampa dove è stata strappata, o quando sono loro stessi che la riappiccicano con dello scotch”.
Con queste parole il writer fiorentino esprime le emozioni e le sensazioni scaturite dalle reazioni del suo pubblico, invitandolo così a continuare la sua attività. In un periodo storico e politico particolarmente difficile, ancora una volta, è l’arte a divenire un efficace strumento capace di dare voce e di puntare l’attenzione su una problematica sociale che coinvolge l’intera comunità.
Immagini tratte da:
- William Shakespeare: mcarte.altervista.org - Doppio ritratto dei duchi di Urbino di Piero della Francesca: Foto dell'autore - Collage 1: foto dell’autore - Collage 2: mcarte.altervista.org
Prima della fine del VII secolo a.C. una ricca famiglia etrusca decise di realizzare la propria abitazione presso Murlo, in località Poggio Civitate (SI). I primi ritrovamenti effettuati nell'area archeologica risalgono agli anni venti ad opera di Dario Neri e Ranuccio Bianchi Bandinelli. Bisognerà aspettare gli anni settanta affichè venga effettuta una vera e propria campagna di scavi a cura di varie università statunitensi. La straordinarietà dell’abitato sta nella sua grandezza. Una pianta a squadro con un cortile centrale era chiusa a ovest da un edificio lungo oltre 35m a due piani con il terreno adibito a magazzino. L’ala sud invece era frazionata in numerosi vani preceduti da un portico. Alla fine del VI secolo questo complesso andò distrutto a causa di un incendio. ![]()
Intorno al 580 a.C. venne riscostruito completamente un nuovo edificio dalle fattezze più grandi rispetto a quello del periodo precedente.
Un blocco quadrato, i cui lati misuravano 60m, era organizzato intorno ad un cortile centrale. I lati della porta d’accesso e i due lati lunghi erano scanditi da un portico con colonne lignee, mentre sul lato sprovvisto di portico si apriva un’esedra che separava due vani quadrati.
Tutto il tetto era bordato da un fregio continuo scandito da lastre di terracotta databili agli inizi del VI secolo a.C., che rappresentano scene di assemblea familiare o di divinità, processione di uomini con carri e a cavallo e scena di banchetto.
1) Scena di assemblea; 2)Scena di corteo; 3)scena di banchetto
La parte superiore del tetto era, invece, scandita da acroteri (statue poste ai bordi del tetto) a figura umana o animalesca.
Questo esempio di acroterio mostra un uomo adulto seduto su un trono con barba a forma rettangolare e cappello a tesa larga. Le statue che adornavano il tetto avevano la funzione di proteggere l’abitazione in quanto divinità e avi defunti, ma allo stesso tempo la loro visibilità dall’esterno e da lontano ci induce a pensare che avessero anche un fine di propaganda gentilizia.
Immagini tratte da:
libero.it tuttotoscana friendsoffai canino.info culturamugellana
Dal 13 Settembre 2017 al 07 Gennaio 2018
MILANO Dove: MUDEC – Museo delle Culture di Milano Curatori: Patrizia Piacentini, Christian Orsenigo Enti promotori:
L’Antico Egitto, la sua millenaria e affascinante cultura e una grande scoperta archeologica sono i protagonisti indiscussi della stagione espositiva del MUDEC per l’autunno 2017.
“Egitto. La straordinaria scoperta del Faraone Amenofi II”, in programmazione dal 13 settembre 2017 al 7 gennaio 2018, narra al visitatore il racconto della vita e della figura del faraone Amenofi II, vissuto tra il 1427 e il 1401 a.C. durante la XVIII dinastia (1550 – 1295 a.C.), figlio del grande Thutmosi III e sovrano di una corte sfarzosa, eroico protagonista di un’epoca storica straordinariamente ricca. La mostra esporrà reperti provenienti dalle più importanti collezioni egizie mondiali: dal Museo Egizio del Cairo al Rijksmuseum van Oudheden diLeida, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Da queste realtà museali e da collezioni private provengono statue, stele, armi, oggetti della vita quotidiana, corredi funerari e mummie. Fondamentale la collaborazione con l’Università Statale di Milano, che presterà i documenti originali di scavo della tomba del faraone custoditi nei suoi preziosi Archivi di Egittologia, e la collaborazione con la rete dei musei civici milanesi, sempre molto attiva; in particolare il Museo del Castello Sforzesco nel periodo autunno-inverno 2017 presterà a questa mostra alcuni reperti della collezione egizia, in occasione della chiusura temporanea delle proprie sale per ristrutturazione. Avrà inoltre importanza fondamentale l’apparato multimediale e scenografico presente nelle sale della mostra, con vere e proprie esperienze immersive che evocheranno le calde e antiche atmosfere nilotiche dei paesaggi egiziani del II millennio a.C., dando all’esposizione un taglio unico, nel segno distintivo delle mostre MUDEC. La mostra è promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. Sono entrambi egittologi della Statale infatti i due curatori, Patrizia Piacentini, titolare della cattedra di Egittologia, e Christian Orsenigo, che con il coordinamento dell’egittologa Massimiliana Pozzi Battaglia (SCA-Società Cooperativa Archeologica) hanno ideato un percorso che coniuga approfondimento scientifico ed emozione. Sia la tematica che i reperti esposti, infatti, permetteranno un approccio che predilige l’attrattiva sul grande pubblico e offriranno contemporaneamente spunti di ricerca e possibilità di approfondimento agli studiosi così come ai molti appassionati della materia. La mostra si propone l’intento di raccontare al pubblico una doppia "riscoperta": quella della figura storica del faraone Amenofi II, spesso ingiustamente oscurata dalla fama del padre Thutmosi III; e la "riscoperta" archeologica del grande ritrovamento nella Valle dei Re della tomba di Amenofi II. IL PERCORSO ESPOSITIVO Il cuore della mostra sarà la figura del faraone Amenofi II. Sebbene sia stato un sovrano importante, Amenofi II non è mai stato oggetto di una mostra monografica ed è poco noto al grande pubblico, forse perché messo in ombra dal celebre padre Thutmosi III ma, anche perché i documenti relativi alla scoperta della sua tomba nella Valle dei Re da parte dell’archeologo Victor Loret nel 1898 erano sconosciuti fino a una quindicina di anni fa. Oggi questi documenti originali sono di proprietà dell’Università degli Studi di Milano, che li conserva negli Archivi di Egittologia - tra i più ricchi al mondo - e per la prima volta verranno esposti al pubblico in un contesto assolutamente “teatrale”. I preziosi materiali d’archivio saranno presentati facendo letteralmente vivere l’emozione della scoperta al visitatore attraverso una ricostruzione in scala 1:1 della sala a pilastri della tomba di Amenofi II. Un’esperienza immersiva che accompagnerà il pubblico invitandolo ad entrare, attraverso un focus sulle credenze funerarie e la mummificazione, nella camera funeraria per ammirare i tesori che accompagnavano il faraone nel suo viaggio verso l’Aldilà. L’archeologo Loret portò alla luce non solo la mummia del faraone, ma anche quelle di alcuni celebri sovrani del Nuovo Regno, che erano state nascoste all’interno di una delle quattro stanze annesse alla camera funeraria, con lo scopo di sottrarle alle offese dei profanatori di tombe. Tra gli altri corpi ritrovati da Loret nella tomba, anche quelli della madre e della nonna di Tutankhamon. L’antica civiltà del Nilo all’epoca del II millennio a.C. verrà presa in esame nelle altre sezioni della mostra. La vita quotidiana, con gli usi e i costumi delle classi sociali più vicine alla corte di Amenofi II, sarà illustrata attraverso gioielli e armi, oggetti legati alla moda e alla cura del corpo, che mostreranno il livello tecnologico e sociale raggiunto in questo periodo della storia egizia. Il tema delle credenze funerarie fornirà spunti di riflessione in merito alla lunga e complessa durata di questa straordinaria civiltà antica. Con il mondo del faraone Amenofi II e l’Età dell’Oro dell’Antico Egitto il MUDEC torna a raccontare la Storia e le sue trasformazioni, le culture antiche e le civiltà native, le migrazioni dei popoli e gli scambi culturali, i viaggi di celebri esploratori e le grandi scoperte archeologiche.
La Sirenetta di Andersen è oramai il simbolo indiscusso della città di Copenaghen. Si tratta di una statua in bronzo, alta solo 125 cm per 175 kg di peso, eppure dal 1913 incanta e accoglie con la sua bellezza tutti i viaggiatori che giungono al porto Nyhavn. La fanciulla rimanda alla celebre favola scritta nel 1837 dallo scrittore danese Hans Christian Andersen. Una triste storia d’amore che vede come protagonista una giovane sirena che salva un principe caduto in mare durante una tempesta. La giovane se ne innamora perdutamente a tal punto da desiderare di lasciare il mare per vivere sulla terra con il suo amato. Per trovare il suo principe, dona la sua voce in cambio di un paio di gambe: ha tre giorni di tempo per ricevere il bacio d’amore dal principe che la trasformerà in un essere umano ma, se non lo otterrà, si trasformerà in schiuma marina. Il principe è attratto da lei ma non la riconosce: ricorda solo di essere stato salvato da una ragazza dalla voce magica e, infine, sposa un’altra donna. Con il cuore infranto, la Sirenetta si lancia da una scogliera e si trasforma in schiuma. La statua fu commissionata dal produttore di birra Carl Jacobsen, figlio del fondatore del Birrificio Carlsberg, come regalo per la città di Copenaghen. Jacobsen rimase estasiato da un adattamento della fiaba in balletto e decise di commissionare la statua a Edward Eriksen che scelse di utilizzare come modella la dolce moglie Eline, la quale donò alla creatura marina quell’espressione mesta e inquieta che la caratterizza nel momento della sua metamorfosi: la sua lunga coda da sirena lascia il posto a due gambe umane. Quest’opera, così piccola ed elegante, non piace a tutti. Nel corso del tempo, tanti sono stati gli atti vandalici che ha dovuto subire: -1 Settembre 1961 - Le dipingono reggiseno e slip, i suoi capelli vengono dipinti di rosso; -28 Aprile 1963 -Viene ricoperta di vernice rossa; -24 Aprile 1964 -Viene decapitata, le sostituiscono la testa; -15 Luglio 1976 - La Sirenetta viene ricoperta nuovamente di vernice; -22 Luglio 1984 - Le viene amputato il braccio destro; -5 Agosto 1990 - Secondo tentativo di decapitazione che provocò un taglio profondo 18 cm nel collo della Sirenetta. Così si decise di rimpiazzarla con una nuova scultura, identica alla precedente, costituita da un unico blocco di metallo lavorato; -6 Gennaio 1998 - Viene di nuovo decapitata ma la testa viene restituita in forma anonima a una stazione TV locale; -11 settembre 2003 - Scompare dal suo scoglio ma viene ritrovata in mare; -5 Marzo 2007 - Viene dipinta di rosa dalla testa alla coda.
Nonostante tutte queste vicende la Sirenetta rimane ancora lì, sul suo scoglio a specchiarsi nelle acque del Mar Baltico.
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Gennaio 2022
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