Di Marianna Carotenuto Decretata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, Ravello custodisce un posto incantato, sospeso tra mare e cielo, in cui storia, arte e natura si combinano creando un equilibrio perfetto. Parliamo di Villa Rufolo, un prestigioso edificio di età medievale, residenza dalla famiglia Rufolo che per oltre due secoli fu il simbolo della potenza economica e politica della città. Per esprimere la loro supremazia nella Ravello del XIII secolo, essi fecero costruire una maestosa villa caratterizzata dalla fusione di tipologie architettoniche e decorative arabe e bizantine con elementi della cultura locale. Ospite della villa fu Giovanni Boccaccio, che alla famiglia dedicò la famosa novella del Decameron con protagonista Landolfo Rufolo. Inoltre è probabile che “il palagio con bello e gran cortile nel mezzo e con logge e sale e con giardini meravigliosi” sia proprio quello della Villa. L’incantevole giardino, le splendide terrazze sul golfo donano alla villa un’aura magica e romantica nella quale il visitatore è immerso non appena varcata la sua soglia. ll giardino di Villa Rufolo, conosciuto anche come “ Giardino dell’Anima”, si sviluppa su due livelli. Le antiche mura incorniciate da cipressi e tigli, conducono fino al Chiostro Moresco e da lì, proseguendo su una piccola scala immersa nei fiori, si arriva al primo livello del giardino. Passeggiando lungo un bellissimo colonnato, si raggiunge la terrazza più celebre della villa, da cui è possibile godere di una vista mozzafiato. Grazie ai suoi magnifici giardini, all’architettura Moresca e alle vedute sbalorditive , Villa Rufolo é spesso paragonata alla famosa Alhambra spagnola. Inoltre c’è da dire che il chiostro della villa, insieme al panorama con le due cupole ed il pino sono i posti più fotografati della Villa: una vera e propria cartolina. La bellezza del giardino e la cura dei particolari si devono al Lord scozzese, Sir Francis Nevile Reid, che innamorato delle due Torri Moresche e delle ampie vedute, decise di acquistare la villa benché in rovina. Egli si occupò del restauro dell’edificio e risistemò le terrazze a giardino, realizzando un capolavoro,tanto che Wagner esclamò: “Il magico giardino di Klingsor è trovato”. Wagner aveva 67 anni quando visitò la villa e ne rimase così affascinato che decise di restare a Ravello abbastanza da poter comporre il secondo atto del’ Parsifal, un’opera su cui aveva lavorato da più di 10 anni. Il celebre compositore immaginò l’altissima torre medievale sprofondare nel nulla e diventare un giardino incantato, e poi le piante tropicali assumere le sembianze di splendide fanciulle, e infine il giardino stesso trasformarsi in un deserto nell’attimo in cui Parsifal uccide il negromante Klingsor. Ancora oggi lo spirito di Wagner continua a vivere in questo posto, tanto che Ravello è nota come “Città della musica” ed è il palco dell’omonimo Festival musicale in onore del compositore. Un iconico palcoscenico verso l’infinito, posto a circa 340 metri sul livello del mare, su uno strapiombo di ben 15 metri, è costruito con oltre 400 quintali di materiale completamente fuori dal parapetto dei giardini della Villa. La platea così, riesce ad accogliere circa 700 spettatori. Visitare Villa Rufolo è come fare un tuffo nel passato e ritrovarsi in un fantastico angolo di paradiso, dove le mura intrise di storia e di cultura conducono il visitatore ad un panorama mozzafiato sul golfo di Amalfi, una cornice meravigliosa per celebrare la bellezza.
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di Olga Caetani La possente mano destra che emerge dal blocco di marmo sottostante, sommariamente sbozzato dagli energici solchi della subbia, non lascia adito a dubbi circa la sua interpretazione. In dinamica torsione, rivela un inedito contenuto: il corpo nudo di una donna in primo piano, e quello retrostante di un uomo, in parte celato, perché ancora avvinghiato al capo di lei. Il Creatore sta raccogliendo il limo uterino dal quale Eva e Adamo si preparano alla vita. Rodin sembra ribaltare l'atto della creazione rispetto al testo biblico (Genesi 2, 20-23). Si direbbe che Adamo, così in prossimità del ventre di Eva, sia stato generato da lei stessa, o comunque da una sua costola. Questa sorta di riabilitazione o riscatto della figura della Donna alle origini può forse alludere a quel Rodin scultore pittorialista che ama troppo le donne, frequenti soggetti dei suoi marmi di piccole e medie dimensioni, traboccanti di eros. Il tema della creazione è comunque molto caro a Rodin, fin dal momento in cui per la prima volta rivolse gli occhi palpitanti alla Cappella Sistina, durante uno dei suoi giovanili viaggi italiani. Ponendo Michelangelo come suo maestro ideale, lo scultore si avvia, con l'opera in questione, verso la sempre più preponderante riflessione artistica sul ruolo plastico ed estetico del non finito, giungendo ad affermare che "quando Dio creò il mondo, è alla modellazione che deve aver pensato per prima cosa"1. La mano di Dio è in sostanza quella dello scultore, che crea il proprio universo e domina la materia. Costantemente vagheggiato nella carriera rodiniana è proprio il tema della mano, una parte del corpo ritenuta dall'artista fondamentale, capace di esprimere pienamente, anche isolata, i sentimenti e le passioni umane. Mani che si sfiorano appena l'una con l'altra, giunte, intrecciate sono le uniche protagoniste di opere tarde come Mani di amanti, risalente al 1904, o Il segreto, 1909, entrambe al Musée Rodin. L'idea e il soggetto de La creazione dovettero nascere molto prima, nel 1884, al tempo in cui lo scultore lavorava ai vari bozzetti dei Borghesi di Calais, monumento bronzeo situato nell'omonima città. La mano di Dio è infatti l'esatta trasposizione marmorea, in scala monumentale, della mano di uno dei Borghesi ritratti: Pierre de Wissant. Antitetico è il rapporto tra il blocco di marmo lasciato pressoché grezzo e la levigatura quasi specchiante della divina mano, un rapporto che si ripete analogo tra il limo e i serici corpi dei primi uomini. Tale virtuosismo tecnico va attribuito a Séraphin Soudbinine, amico di Rodin e scultore anch'egli, facente parte dei circa 150 sbozzatori e addetti alla messa ai punti impegnati nell'atelier del maestro, anche in seguito alla sua morte. Questo esemplare dell'opera fu iniziato nel 1916 e terminato un paio di anni dopo. La prima versione del soggetto fu acquistata nel 1906 da Albert Kahn, un collezionista statunitense. Ne esistono altri due esemplari, rispettivamente del 1906 e del 1916-17, conservati al Metropolitan Museum of Art di New York e alla Rhode Island School of Design di Providence. Entrambi sono attribuiti alla mano di Louis Mathet. Nota 1Affermazione trascritta nel 1908 da Judith Cladel, autrice della biografia Auguste Rodin. L'Oeuvre et l'homme, durante un'intervista rilasciata dallo scultore. Fonti bibliografiche Rodin. Il marmo, la vita, catalogo della mostra, a cura di A. Magnien, Milano, Electa, 2013 F. Fergonzi, Auguste Rodin, Roma, Gruppo Editoriale l'Espresso, 2005 D. Jarrassé, Rodin. Forma e movimento, Genova, Artemisia editore, 2002 Immagini tratte da: 1-4. Foto dell’autore 5. wikipedia.org Potrebbero interessarti anche: |
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Gennaio 2022
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