“Sono solamente un semplice uomo che sta da solo con i suoi vecchi pennelli, chiedendo a Dio di dargli ispirazione.” Queste sono le umili parole con cui soleva descriversi il celebre pittore fiammingo Pieter Paul Rubens.
Pieter Paul Rubens nacque a Siegen nel 1577, ma crebbe nella cittadina tedesca di Colonia dove il padre, un avvocato calvinista fiammingo, trovò rifugio dalle persecuzioni spagnole contro i protestanti. Successivamente, a soli dodici anni, l’artista si trasferì ad Anversa, nel Belgio settentrionale, in cui non solo ricevette un’educazione umanista, ma si convertì anche al cattolicesimo. Di lì a poco comincerà il suo apprendistato artistico presso Tobias Verhaecht, un pittore e disegnatore fiammingo. Nel 1600 si recò nella penisola italiana dove rimarrà per ben otto anni. Soggiornò a Venezia dove ebbe modo di studiare e ammirare le suggestive opere di Tiziano Vecellio, Tintoretto e Veronese e in cui entrò in contatto con l’allora duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, divenendo così pittore di corte. L’anno seguente si recò a Roma in cui, fondamentale, fu l’osservazione attenta e dettagliata dei grandi maestri dell’arte italiana rinascimentale, Raffaello e Michelangelo, e del coevo Caravaggio. Rubens riscoprì così il valore del disegno e rielaborò elementi classici in chiave più propriamente barocca. Degna di nota è Susanna e i Vecchioni (1607) un olio su tela in cui l’artista ripropone un classico tema iconografico spesso presentato e rielaborato in ambito pittorico.
L’anno che segue la realizzazione di quest’opera, Rubens tornò ad Anversa dove trovò un solido appoggio da parte di Nicolas Rockx, scabino e borgomastro, e di un altro potente protettore, l'arciduca Alberto, al tempo governatore dei Paesi Bassi meridionali. Tuttavia, il pittore fiammingo mostrò ancora gli insegnamenti ottenuti durante la sua permanenza in Italia, in particolare a Roma.
Ciò risulta più chiaro osservando un dipinto conservato oggi alla National Gallery di Londra: Sansone e Dalila (1608-1609).
La figura muscolosa, o per meglio dire, michelangiolesca di Sansone è colta nel momento in cui giace addormentato sulle gambe dell’amata Dalila. La posa abbandonata del braccio di Sansone, invece, non è altro che un evidente richiamo alla Deposizione di Caravaggio. Nell’opera, inoltre, dominano forti contrasti chiaroscurali e un raffinato erotismo dato dalla semi nudità dei corpi dei due protagonisti.
Sarà a partire dal 1612 che il modo di dipingere del pittore fiammingo subirà profondi cambiamenti: tonalità più fredde e composizioni più armoniche, ma ancora segnate da drammaticità, passioni travolgenti e pathos. Ne è un esempio il Trittico della Deposizione dalla Croce (1612-1614) custodito nella Cattedrale di Nostra Signora ad Anversa.
Al 1617 risale una tela a tema mitologico carica di erotismo e di passioni irrazionali e incontrollate: il Ratto delle figlie di Leucippo.
Qui, tuttavia, a regnare è uno sfrenato dinamismo accentuato dal movimento dei cavalli e dalla torsione dei massicci corpi femminili. Fattezze nordiche vanno così a contrastare con il colorito bruno delle figure maschili. Il ritmo dell’azione rappresentata è esageratamente vorticoso e l’atmosfera è giocosamente erotica.
Al tramonto della sua vita e della sua ricca e gloriosa carriera, Rubens dipingerà Le tre Grazie (1638), opera che ritrae le tre celebri dee della mitologia greca e in cui sembra che l’artista volle raffigurare, forse per vanità, le sue due mogli.
Pieter Paul Rubens si spense due anni dopo nella sua patria, Anversa. Lasciò così ai suoi posteri una formidabile e spettacolare eredità artistica che ancora oggi emoziona e rapisce.
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- wikipedia, pubblico dominio, voce: Pieter Paul Rubens - wikipedia, pubblico dominio, voce: Susanna e i Vecchioni (Rubens) - wikipedia, pubblico dominio, voce: Sansone e Dalila (Rubens) - wikipedia, pubblico dominio, voce: Trittico della Deposizione dalla Croce (Rubens) - intellettuali.it - wikipedia, pubblico dominio, voce: Le tre Grazie (Rubens)
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Nella vita quotidiana siamo portati a considerare l’acqua come un bene comune, benché essenziale. Se, però, facessimo un excursus storico, potremmo notare come l’acqua sia stato il fulcro di tutte le attività dell’uomo e quanto sia stato forte il suo valore simbolico.
L’uomo ha sempre guardato l’acqua con occhi pieni di meraviglia ed ammirazione, tanto da favorire ovunque,attraverso i millenni una sconfinata espansione mitologica, religiosa e artistica. E’ proprio delle ripercussioni a livello artistico ciò su cui vogliamo soffermarci. L’acqua può essere considerata la musa ispiratrice per eccellenza di tantissimi artisti. Essa è l’elemento che accomuna pittori di epoche e correnti artistiche diverse, dall’arte antica alla pittura rinascimentale,dall’Impressionismo all’arte moderna. Questo perché, tra i 4 elementi, quello liquido ha il più forte significato simbolico. Infatti l’acqua rappresenta la nascita, nel suo scorrere, simboleggia il tempo, come distesa allude alla dimensione del viaggio, oppure è mezzo di purificazione e di rinascita. Se associata al mostruoso,l’acqua diventa paradigma di morte; se invece è contenuta diviene specchio, come nel mito di Narciso o elemento di dissolvimento, come per Ophelia di Millais. Per quanto riguarda l’arte antica, in riferimento all’Arte Egizia, l’acqua era rappresentata come due figure mitologiche antropomorfe: il Nilo, venerato come sorgente del mondo, acqua delle inondazioni e Nun, l’acqua della vita, l’oceano primordiale. Nella mitologia greca invece tutte le acque erano dirette discendenti del dio Oceano, figlio di Urano e Gea. Celebre è l’affresco pompeiano nella casa della “Venere della Conchiglia”. Esso raffigura la Venere, distesa su una conchiglia, trasportata dalle onde e accompagnata da due amorini. Nel Tardo - Antico e Alto Medioevo, l’acqua acquista un forte valore religioso, così come nell’arte occidentale tra il IX e X secolo,periodo in cui diventa simbolo di purificazione con la pratica del battesimo. A questo proposito richiamiamo Il lavoro di Giotto,di secoli più tardi, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, ovvero l’affresco raffigurante Il Battesimo di Cristo. Per quanto riguarda l’arte rinascimentale, anche Piero della Francesca non restò indifferente a questo tema. Il pittore,nel suo famoso “Battesimo di Cristo”, rappresenta con l’acqua la purezza di Gesù. Molto diverso è il significato che Sandro Botticelli dà all’acqua. Nel suo capolavoro “Nascita di Venere”, poi diventato icona del Rinascimento Italiano, l’acqua diviene protagonista di soggetti profani. La Venere nasce dalle acque che si increspano ai suoi piedi. L’acqua, oltre ad essere la rappresentazione dell’origine della vita, è anche il modo con cui Botticelli crea la prospettiva, modulando sapientemente le diverse tonalità. E ancora acqua, come sorgente di vita, nel dipinto di Tiziano “Amor sacro e Amor profano”, in cui Venere e Proserpina si trovano ai lati dell’ amorino che miscela l’acqua contenuta nello scrigno -sarcofago trasformando la morte in vita. Il tema profano dell’acqua, viene ripreso anche nella pittura del Seicento. Emblematica la rappresentazione del mito di Narciso di Caravaggio, che con dei bellissimi effetti di trasparenza dell’acqua raffigura il fanciullo chino su uno specchio d’acqua, incantato dalla propria immagine riflessa. Nella pittura impressionista l’acqua è spesso presente grazie alla sua capacità di creare giochi di luce. Nel dipinto che dà il nome a questa corrente: “Impressione, levar del sole” di Monet, l’acqua, è l’elemento dominante. La tela rappresenta il porto di Le Havre all’alba, quando il Sole attraversa la nebbia mattutina e si riflette sull’acqua. Ciò genera una luminosità quasi anomala, in grado di dare un carattere soprannaturale al quadro. Lo stesso Monet passa dall’acqua del mare a quella dello stagno che, nella serie di quadri dedicati al ponte del “Giardino di Giverny” e alle celebri “Ninfee”, è sempre più sfumata, e diventa il vero e proprio soggetto del quadro.
Ninfee
Anche nel Post-Impressionismo l’acqua gioca un ruolo fondamentale.
Van Gogh, fa dell’acqua ed i riflessi del cielo stellato contro le acque scure del fiume,i soggetti di uno dei suoi più grandi capolavori “Notte stellata sul Rodano”. Per Paul Cézanne il colore prevale sulla linea come si può osservare nel dipinto “Lago di Annecy” e la presenza dell’acqua si basa sulle differenze cromatiche del blu e del verde mischiati con il giallo e viola per dare una profondità al paesaggio lacustre. L’acqua è la fonte di ispirazione anche per i surrealisti, in particolare per René Magritte con la sua “Sirena invertita”, metà donna, metà pesce, distesa sulla battigia con alle spalle le onde del mare. Abbiamo visto insieme come l’elemento acqua sia il fil rouge che collega tra loro le diverse correnti artistiche, e quanto sia,in molti quadri, l’elemento predominante. Questi sono solo pochi esempi con la speranza che siano serviti anche come input per trovarne di nuovi, e sperimentare voi stessi quanto l’acqua possa essere d’ispirazione. Immagini tratte da: http://chiviaggiaimpara.blogspot.it/ www.ravensburger.com http://www.allaroundkaarl.com/ https://storiapernoi.wordpress.com http://www.artwort.com/ http://www.arteworld.it/ http://www.museoroseantiche.it/ http://viaggionelblu.blogspot.it/ http://cultura.biografieonline.it/ http://www.viaggionelmondo.net/ http://lepanoramasurrealiste.tumblr.com/ ![]()
Questa volta ci spostiamo dall’epoca classica, facendo un lungo salto nel tempo per arrivare sino al 1408: Lucca è ormai retta da diversi anni dalla famiglia Guinigi ed uno dei suoi membri, Paolo Guinigi, è stato addirittura nominato Signore della città nel 1400.
La sua seconda moglie, Ilaria del Carretto, è morta circa tre anni fa all’età di 26 anni, l’8 dicembre del 1405, dando alla luce Ilaria Minor: Ilaria, di nobile famiglia ligure, si era sposata con Paolo nel 1403 e nel 1404 aveva partorito il primogenito, Ladislao.
All’artista senese Jacopo della Quercia è stata commissionata la realizzazione di un sarcofago marmoreo che raffiguri le defunta, opera per la quale ha lavorato dal 1406 al 1407, creando una delle migliori espressioni dell’arte Rinascimentale.
La giovane, distesa su un letto funebre, è raffigurata come addormentata. L’abito rimanda alla moda in voga in questo periodo e rivela l’alta posizione sociale raggiunta dalla donna: Ilaria indossa una pellanda, una lunga sopraveste stretta sotto al seno con una fascia, dotata di ampie maniche e di un alto colletto. La testa è appoggiata su due cuscini ed il volto, i cui tratti appaiono estremamente curati e realistici, è incorniciato dai capelli, ornati da una ghirlanda di fiori. Un cagnolino, simbolo della fedeltà coniugale, è riprodotto accovacciato ai piedi della defunta. I lati del sarcofago infine, riproducenti putti con ghirlande, rimandano al mondo classico.
Il monumento, posto nel centro del duomo di San Martino, venne spostato dalla sua posizione originaria in seguito ai disordini che seguirono la caduta di Paolo Guinigi nel 1430. Oggigiorno è possibile ammirarlo nella sacrestia del duomo stesso.
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- immagine 1, da Wikipedia Italia, Di Alessandro Vecchi - Opera propria, CC BY-SA 3.0, voce "Monumento funebre a Ilaria del Carretto" - immagine 2, da Wikipedia Italia, Di Sailko - Opera propria, CC BY-SA 3.0, voce "Paolo Guinigi" - immagine 3, da www.originalitaly.it - immagine 4, da Wikimedia, By Shakko - Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=27799455 - immagine 5, da Wikipedia Francia, Par Jacopo della Quercia (c. 1374-1438) — Photograph by User:Piotrus taken 2007-11, CC BY-SA 3.0, voce "Tombeau d'Ilaria del Carretto" - immagine 6, da Wikipedia Italia, Di Photo: Myrabella / Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0, voce "Cattedrale di San Martino (Lucca)"
Tra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo, in pittura vigeva ancora la consolidata tradizione dell’esistenza di una gerarchia dei generi pittorici, che elevava indiscutibilmente al suo apice l’aulica pittura di storia eroico-celebrativa, religiosa o “profana”, ossia di soggetto mitologico. In questo contesto, il paesaggio era considerato un elemento di secondo piano: una scenografia nella quale immergere le figure umane protagoniste degli episodi raffigurati. Mirabili prove di paesaggio storico erano state offerte nel corso del XVII secolo da Annibale Carracci e dai francesi Nicolas Poussin e Claude Lorrain.
I grandi formati delle tele che ospitavano questo genere di opere venivano dipinti interamente a studio, con l’occhio del pittore che alternativamente gettava uno sguardo al modello ed uno alla tela. Tuttavia, il paesaggista sentiva il bisogno di uscire dal chiuso dell’atelier per osservare in modo diretto la natura, concentrandosi sullo studio dei suoi singoli elementi, annotati in un rapido schizzo, per fissare a matita o con qualche pennellata di acquerello la resa di un tronco contorto, di una roccia, delle ombre da essi proiettate. Pierre-Henri de Valenciennes istituzionalizzò questa pratica nel 1800, con la pubblicazione del suo trattato sulla prospettiva e la pittura di paesaggio ad uso degli studenti dell’Accademia.
Gli studi d’après nature, cioè dal vivo, realizzati di fronte ad una natura scrutata senza filtri e per non più di due ore, data la costante mutabilità della luce solare, erano indispensabili per studiare i toni, le sfumature, le condizioni atmosferiche circostanti. Il pittore inoltre raccomandava di “dipingere la stessa veduta in ore diverse del giorno, osservare le differenze prodotte sulle forme dalla luce. I cambiamenti sono così sensibili e stupefacenti da rendere difficile il riconoscimento dei medesimi soggetti”.
La velocità di esecuzione di simili studi su carta, di modeste dimensioni e di formato orizzontale, era dettata anche da una necessità pratica. In questo periodo di passaggio verso l’età contemporanea e i suoi progressi in campo chimico, i colori ad olio, ossia pigmenti macinati e mescolati artigianalmente con olio di lino, noce o papavero, che garantivano la trasparenza e la brillantezza tipici della tecnica in questione, erano ancora conservati all’interno di vesciche di origine animale, fragili e scarsamente ermetiche, così da provocare la rapida essiccazione dei colori stessi, rendendone impossibile l’utilizzo. Dato che l’acquerello non era più sufficiente alle dettagliate notazioni di tono e colore di Valenciennes, era certamente scomodo dipingere all’aperto in tali condizioni. Occorreva che gli artisti, prima di lasciare l’atelier, prevedessero, con un calcolo attento, tutto il materiale di cui avrebbero avuto bisogno una volta en plein air, da sistemare accuratamente nelle primissime cassettine per la pittura all’aperto, il cui coperchio sollevato fungeva da cavalletto.
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www.photo.rmn.fr 14/11/2016 “L'artista che espose un mongoloide”: Gino de Dominicis e la miopia dei perbenistiRead Now
“Penso che le cose non esistano. Un bicchiere, un uomo, una gallina per esempio, non sono veramente un bicchiere, un uomo, una gallina, sono soltanto la verifica delle possibilità di esistenza di un bicchiere, di un uomo, di una gallina. Perchè le cose possano esisttere bisognerebbe che fossero eterne, immortali. Solo così cesserebbero di essere unicamente la verifica di certe possibilità e diverrebbero cose esistenti”
(Lettera sull'immortalità del corpo, 1969)
L'atteggiamento di radicale svalutazione o azzeramento della realtà e dell'esperienza sensibile (“penso che le cose non esistano”) e la ferrea convinzione che soltanto nella dimensione (a)temporale dell'eternità le cose terrene possano finalmente acquisire significato, sostanza, corporeità (“perchè le cose possano esistere bisognerebbe che fossero eterne, immortali”), sono due dei punti cardine attorno ai quali si sviluppano le riflessioni filosofico-artistiche di Gino de Dominicis, personalità contorta, sfuggente, indefinibile, straodinario protagonista dell'arte italiana del secondo dopoguerra. Se tutto ciò che esiste paradossalmente non esiste davvero ma è soltanto la verifica delle sue possibilità di esistenza anche l'artista vien man mano perdendo la nettezza dei suoi contorni fino a smaterializzarsi, a scomparire, a perire. Annunciando una delle primissime personali a Roma presso la galleria L'Attico di Via Cesare Beccaria, Gino de Dominicis fece redigere e stampare decine di manifesti funebri con il proprio necrologio recanti data Novembre 1969, corrispondente a quella della mostra: L'uomo de Dominicis muore come esistenza anagrafica per sancire la morte simbolica dell'artista (“Gino de Dominicis è nato nel 1947 ma non esiste veramente – si legge in Lettera – essendo soltanto strumento della natura che verifica attraverso di lui alcune possibilità”). L'esasperato nichilismo della Lettera viene oggettualizzato/concettualizzato nelle serie delle sue celebri Opere invisibili.
Cubo invisibile, perimetro tracciato col gessetto bianco sul pavimento della sala espositiva, assieme al suo pendant rotondo, il Cilindro invisibile e a Piramide invisibile, presentati per la prima volta nel 1969 presso la galleria L'Attico a Roma, danno consistenza e plasticità alle riflessioni sull'arte e sulla natura dell'oggetto artistico contenute nella Lettera. “Nel mondo esistono e sono sempre esistite solo opere bidimensionali o tridimensionali, ecco ora alcune opere invisibili di Gino De Dominicis […] Gino con gli oggetti invisibili cambia le carte in tavola rispetto a Pino e a Gianni, ai materiali naturali del'arte povera”, scriveva Sargentini. Gallerista d'avanguardia, attore, regista e scrittore, Sargentini aveva ben compreso l'originalità della ricerca artistica di de Dominicis e la sua alterità rispetto a quelli che erano gli artisti di punta della galleria L'Attico da lui diretta, Pascali e Kounnellis su tutti. È l'invisibilità la vera novità del lavoro di de Dominicis.
La dialettica cerchio/quadrato tornerà nel Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell'acqua del 1969 in cui l'artista viene filmato di spalle nell'atto di gettare sassi dal greto di un fiume. L’uso di un nuovo medium visivo, come il video, gli consentì di comporre un loop di azioni continue, nelle quali gesti e movimenti apparentemente non-sense conducono lo spettatore ad operare delle forzature mentali, per afferrare l’impossibile (letteralmente quadrare il cerchio) e superare quei vincoli imposti dal mondo reale e dal peso corporeo. Tentativo di volo (1969) testimonia della necessità per l'uomo di perseguire l'immortalità del corpo nonostante essa appaia impossibile da raggiungere, come appare impossibile riuscire a spiccare il volo dimenando semplicemente le braccia. Materializzare l'assenza, rendere visibile, concreto, a tratti palpabile l'invisibile, è il teorema sul quale poggia e si sviluppa quel suggestivo e denso gioco ossimorico (“ossimori fisici, opere invisibili, ubique”) al quale de Dominicis sottopone continuamente lo spettatore, in un continuo rovesciamento di senso e ribaltamento di prospettive. Ossimori fisici giocati sul binomio presenza/assenza sono Aspettativa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione tale da generare un movimento spontaneo del materiale (1968) e Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell'attimo immediatamente precedente al rimbalzo (1970). La complessità di questi lavori, pur componendosi di due semplici elementi, rispettivamente una pietra e una palla poggiate sul pavimento della sala, risiede in un doppio e in un certo senso contraddittorio statuto: da una parte la messa in trasparenza dell'invisibile movimento, virtuale nella palla, un auspicio nella pietra, dall'altra il potere del linguaggio dell'arte di fissare, di catturare l'attimo di immobilità. Statue (1970) rientrano nell'alveo semantico dell' invisibilità. Si tratta di uomini invisibili, come già i solidi geometrici, segnalati da ciabatte e cappello di paglia, materiali leggeri, quasi il segno dell'evanescenza e del passaggio all'invisibilità. ![]()
Invitato ad esporre nella sezione Opere e comportamento alla 36° Biennale di Venezia del 1972, De Dominicis presenta Seconda soluzione di immortalità (l'universo è immobile), opera composta da tre dei suoi lavori già precedentemente presentati in pubblico (“summa non aritmetica delle cose che avevo fatto sino ad allora”): il Cubo invisibile (1967), Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell'attimo immediatamente precedente il rimbalzo (1968) e una pietra – più piccola rispetto a quella, squadrata, esposta nel 1969-70 – da titolo Attesa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione, tale da generare un movimento spontaneo della pietra. Questa volta però i tre ogetti sono collocati davanti Paolo Rosa, “el Pinin”, un ragazzo veneziano affetto da sindrome di down che, seduto nell'angolo della sala, li osserva dal proprio punto di vista interno all'opera stessa e opposto a quello degli spettatori. L'installazione è completata dalla presenza de Il giovane e il vecchio (1971) seduti allle due estremità della sala a diversi metri d'altezza dal suolo. L'opera è visibile solamente la mattina dell' 8 giugno 1972, giorno dell'inaugurazione, scatenando da subito polemiche e censure. Distorto dalla miopia dei media l'opera di de Dominicis viene completamente svuotata di senso e ridotta a setrile provocazione. Il Vaticano la giudica un'offesa alla dignità del mongoloide, del subnormale, del minorato (sic), parte del mondo dell'arte un deplorevole incidente. Nei giorni successivi compare al posto di Paolo Rosa una bambina, ma con l'accentuarsi della controversia l'esposizione viene disallestita e la sala viene chiusa. L'artista e il suo assistente sono denunciati alla Procura della Repubblica di Venezia per sottrazione d'incapace alla patria potestà e solo nell'aprile del 1973 assolti perchè il fatto non sussiste. Seconda soluzione di immortalità venne fraintesa, distorta, travisata. Paolo Rosa, il diverso, non avendo ricordi, memoria, né percezione del futuro è, ovviamente per paradosso, immortale. È il bambino affetto da sindrome di down la Soluzione di immortalità enunciata dal titolo. Lo spettatore è invitato ad assumere la prospettiva di Paolo è a vedere i tre oggetti attraverso la sua lente focale, solo così La palla, il sasso, il cubo possono transitare dallo statuto di verifiche a quello di cose esistenti.
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Mentre nell’Italia rinascimentale risuonavano gli illustri nomi di Raffaello, Bellini e Mantegna, in Germania si andava affermando colui che diverrà il più eccellente interprete e innovatore dell’incisione cinquecentesca: Albrecht Dürer.
Albrecht Dürer nacque a Norimberga, fu il terzo di otto figli e si formò presso la bottega del padre, un abile orefice. Questa dedizione al lavoro artigianale lo accompagnerà non solo nelle prime fasi della sua carriera, bensì per tutta la sua esistenza. Saranno proprio queste radici artigianali a far sì che Dürer si cimenti già da adolescente nel disegno e in ardue tecniche d’incisione tra cui il bulino, l’acquaforte e la xilografia. Il suo incontestabile genio emerse sin da subito e si può constatare ammirando alcuni studi dell’artista raffiguranti i piedi e le mani:
Tuttavia, in questo articolo l’attenzione verrà posta sulla tecnica della xilografia. Si tratta di una tecnica praticata a partire da tempi ormai remoti (pensate che era nota in Cina già a partire dal VI secolo!) che consiste nell’incidere immagini su tavolette di legno che venivano ricoperte di inchiostro consentendo così di creare più campioni di uno stesso soggetto.
Intorno al 1498 Dürer lavorò contemporaneamente a due opere significative per la sua affermazione mondiale: quindici xilografie per L’Apocalisse di San Giovanni e dodici xilografie per la Grande Passione. Entrambe, stampate in tedesco e in latino per volere dell’artista stesso, presentano caratteri di assoluta novità che ne decretarono un immediato successo. L’artista adotta un formato verticale, dunque, si distacca volutamente dallo stile biblico tradizionale che, invece, soleva utilizzare un formato di tipo orizzontale. L’illustrazione, inoltre, occupa l’intera pagina, dunque, non è più inserita all’interno del testo. L’immagine assume così un ruolo rilevante, non più marginale. Le figure incise, mai come adesso, mostravano una dilagante drammaticità accentuata dall’introduzione di un tratto scuro e di forti contrasti di nero e bianco. Prendiamo pienamente coscienza di questa tragicità e pathos soprattutto concentrandoci sull’osservazione di alcune xilografie contenute ne L’Apocalisse di San Giovanni:
Ne I quattro cavalieri dell’Apocalisse, il primo cavaliere sulla destra, con un arco in mano, simboleggia la pestilenza; il secondo, con la spada sguainata, simboleggia la guerra; il terzo, con la bilancia vuota, simboleggia la carestia; l'ultimo è la morte e sotto di lui si nota un re nelle fauci dell'Ade insieme ad alcuni cadaveri. Si hanno figure scarne, dal volto segnato dalla violenza e dall’orrore. Tutti assumono sembianze quasi mostruose. La macabra scena raffigurata non lascia intravedere l’ambientazione di fondo.
Una simile atmosfera pregna di ferocia e di tensione si può notare in San Michele che uccide il drago.
Nella parte superiore dell’incisione, infatti, domina il disordine: figure angeliche armate di lance, archi e frecce, lottano contro draghi ed altre creature mostruose. La figura alata posta in primo piano e colta nell’atto di uccidere il drago con una lancia è l’audace San Michele. Nella parte inferiore, invece, a regnare è l’ordine: la quiete di un villaggio e di un paesaggio segnato dalla presenza di numerosi arbusti e da catene montuose che si scorgono in lontananza.
Nella Grande Passione la xilografia più celebre e suggestiva risulta quella che riproduce il Trasporto della Croce. Lampante, ancora una volta, è l’aspetto nefasto e angoscioso dell’opera accentuato dal tratto incisivo e deciso. Si tratta di un’opera che affascinò così tanto il pubblico, i critici e gli artisti che lo stesso modello iconografico verrà visibilmente ripreso dal celeberrimo Raffaello per la sua opera Spasimo di Sicilia.
L’intento della produzione artistica di Dürer può essere efficacemente riassunto proponendo le parole dello storico dell’arte austriaco Julius Von Schlosser: “Nel nuovo secolo i suoi sforzi incessanti, seri e faticosi tendono a trovare le leggi della forma di quelle immagini misteriosamente affascinanti, ad appropriarsele, a trasportarle nel suo mondo ed infine a dominarle”.
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Il mosaico della battaglia di Isso della casa del Fauno di Pompei è uno dei più celebri mosaici del mondo antico. È una copia romana della fine del II secolo a.C. di un celebre quadro ellenistico attribuito, con tutta probabilità, a Filosseno di Eretria e databile al IV sec.a.C.
Rinvenuto nel 1831, durante gli scavi di Pompei, oggi è conservato al Museo Archeologico di Napoli, mentre quello che si può ammirare a Pompei è una copia. L’opera rappresenta lo scontro, avvenuto nel 333 a.C., fra l’armata di Dario III, re dei persiani, e l’esercito macedone guidato da Alessandro Magno.
La scena raffigura il momento più importante della battaglia, quello in cui il re persiano si rende conto dell’imminente disfatta del suo esercito e si appresta alla fuga.
I protagonisti sono rappresentati di fronte, i loro sguardi si incrociano, ma i loro volti sono lo specchio di due situazioni differenti. Il volto di Alessandro è pacato ed esprime risolutezza mentre il volto di Dario lascia trasparire angoscia e paura. Gli occhi spalancati e la bocca aperta rappresentano il terrore e la consapevolezza della fine. Dario sta fuggendo, si volge indietro per richiamare i suoi soldati ad un’ultima e strenua difesa. Alessandro, invece, si appresta ad inseguirlo.
La resa dei particolari e l’idea del tumulto sono gli elementi principali che donano a questa opera una bellezza assoluta. La confusione dello scontro è data dalle numerose lance che si incrociano, dai cavalli impazziti e dal carro di Dario volto alla fuga. Ma ciò che lascia stupiti sono i tanti particolari, quali i lineamenti del volto di Alessandro, la testa della gorgone Medusa posta al centro della sua corazza e i lacci di cuoio che tengono insieme l’armatura del re Macedone.
Tra le due figure si frappone un cavaliere che cerca di rallentare la corsa di Alessandro, ma viene trafitto dalla lancia scagliata proprio dallo stesso Alessandro. Si noti la posizione del braccio sinistro posto sulla testa e le sopracciglia abbassate in segno di dolore e paura. Ma il particolare che più di ogni altro colpisce lo sguardo dello spettatore, è il volto terrorizzato di un soldato persiano riflesso nel suo stesso scudo mentre sta per essere schiacciato dal carro del suo re.
Ciò che permea questa opera è l’assoluto naturalismo di tutti i personaggi principali e dei cavalli che con i loro sguardi e le loro posture si confanno perfettamente alla tragicità dell’evento rappresentato.
Ma come è stato possibile interpretare tale scontro come la battaglia di Isso? La chiave d’interpretazione è stato l’albero secco posto sulla sinistra. Infatti questa battaglia viene ricordata delle fonti arabe come “la battaglia dell’albero secco”.
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Stonehenge, questo sconosciuto! È proprio il caso di dirlo considerando quanto poco sappiamo di questo incredibile monumento.
Il sito, di epoca neolitica, sorge sulla piana di Salisbury, nella contea dello Wiltshire. È composto da una serie di grandi megaliti disposti in circolo e proprio la presenza di questi grandi architravi che appaiono, vista la loro enorme mole, quasi sospesi sulle pietre sottostanti ha dato origine al nome attuale: “stone”, pietra e “henge” (da hang), sospendere.
La costruzione del complesso conobbe quattro differenti fasi edilizie, a partire dal 3100 a.C. con la realizzazione dei terrapieni esterni per arrivare sino al 1600 a.C. con l’ultima fase e la serie di fori denominati Y e Z che circondano i megaliti. Il motivo della disposizione delle pietre e la funzione stessa del monumento non è certa: alcuni studiosi ritengono, considerando l’elevato numero di tombe nella zona circostante, che possa aver avuto un utilizzo sacrale legata ad una valenza curativa; per altri potrebbe invece essere stato creato come osservatorio astronomico per la previsione di eventi celesti.
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La costruzione del sito deve aver richiesto notevoli capacità. Una volta scavato un foro abbastanza profondo, il posizionamento delle pietre verticali avveniva tramite l’ausilio di funi e leve mentre, per gli architravi, gli studiosi hanno ipotizzato due sistemi: uno basato sull’impiego di rampe in terra sulle quali trainare le grandi pietre ed un secondo che prevede la costruzione di strutture in legno con le quali innalzare progressivamente le pietre in oggetto.
Gli archeologi hanno individuato quelle che dovevano essere le cave di estrazione delle pietre che compongono il complesso: i megaliti di dimensioni maggiori, dal peso di oltre 20 tonnellate, furono estratti da cave situate a circa 30 km di distanza, mentre dalla regione del Galles, ben oltre i 250 km di distanza, furono reperite le pietre più piccole.
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Il problema che si sono posti gli studiosi ovviamente è come abbiano fatto in epoche tanto remote a trasportare carichi di dimensioni tali e le teorie formulate sono, ancora una volta, molteplici. Le prime prevedevano l’utilizzo di una serie di tronchi disposti sotto le pietre, spostati regolarmente per permettere il movimento delle stesse trainate da uomini o animali. Il sistema delle slitte è stato testato dall’ingegnere Mark Whitby il quale, nel 1997, ha spostato un masso dal peso di quaranta tonnellate.
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Andrew Young ritiene invece che gli uomini impegnati nel trasporto si siano avvalsi di rotaie in legno appositamente scanalate per il posizionamento di sfere in pietra o legno sulle quali disporre i carichi. Il test da lui effettuato gli ha permesso di muovere un peso di 100 kg semplicemente con la spinta di un dito: secondo i suoi calcoli con sole sette persone si sarebbe potuto spostare un masso di oltre quattro tonnellate percorrendo circa 32 km al giorno.
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Una terza teoria è infine quella formulata da Gary Lavin: secondo lo studioso la soluzione risiederebbe nella realizzazione di involucri di vimini con i quali far rotolare i massi, involucri che, con l’aggiunta di ulteriore legname tra il telaio e la pietra, risulterebbero anche galleggianti, semplificando molto il trasporto dei massi stessi.
Immagini tratte da:
Stonehnege dall’alto, da history.com Stonehenge fronte, da Wikipedia Italia, Di Diego Delso, CC BY-SA 4.0, voce “Stonehenge” Pianta, da Wikipedia Italia, CC BY-SA 3.0, voce “Stonehenge” Tecnica di costruzione, da digilander.libero.it Sistema con slitte, da telegraph.co.uk Sistema con sfere, da news.nationalgeographic.com Sistema con vimini, da www.bbc.com
Se vi dicessi che nelle vostre tasche avete secoli di arte e di cultura, a cosa pensereste?
La risposta è molto semplice.
Mi riferisco all’Euro, che ormai fa parte della nostra vita da quasi 15 anni. Dal 2002 chissà quante monete diverse ci sono capitate tra le mani. Abbiamo comprato gli oggetti più disparati, arricchito il nostro salvadanaio, le abbiamo lanciate nelle fontane ad occhi chiusi nella speranza che il nostro desiderio venisse esaudito. Ma in realtà, se venisse chiesto di spiegare ciò che è raffigurato su di una moneta, sarebbero in pochi a proferir parola. La verità è che non le abbiamo mai osservate con attenzione, ci siamo limitati sempre al concetto di moneta quale mezzo di pagamento, senza cogliere l’arte che simboleggia. Ciò che spesso ci sfugge è che le monete rappresentano capolavori di artisti italiani che hanno lasciato il segno nella storia dell’arte, come Botticelli, Boccioni, Michelangelo e Leonardo. Non ci resta, dunque, che studiare le singole monete. E’ necessario premettere che esse hanno una faccia su cui ne è indicato il valore, che condividiamo con tutti gli Stati europei ed un’altra diversa da Nazione a Nazione. Per il nostro Stato sono stati scelti, attraverso un sondaggio, i capolavori artistici che tenessero viva l’identità culturale del Bel Paese. Partiamo con la moneta da 1 centesimo.
Su questa moneta, Eugenio Driutti, incisore medaglista friulano, ha raffigurato Castel del Monte.
Il Castello fu fatto costruire da Federico II di Svevia tra il 1240 e il 1246 ad Andria, in Puglia. Ha una pianta ottagonale e presenta otto torri, anch’esse ottagonali, poste nei vertici del blocco centrale. La scelta della forma ottagonale ha dato origine a numerose teorie sulla funzione di questo edificio. Il castello è stato interpretato anche come tempio laico e osservatorio astronomico, data la simbolicità dell’ottagono. Castel del Monte nel 1996 è stato inserito nella lista dei Patrimonio dell'Umanità dall’UNESCO grazie alla perfezione delle sue forme. Sulla moneta da 2 centesimi, disegnata da Luciana De Simoni, compare il simbolo di Torino: la Mole Antonelliana. Realizzata tra il 1863 e il 1889 dall'architetto Alessandro Antonelli, è stata per lungo tempo considerata una delle strutture più alte d’Europa con i suoi 167 m di altezza. Essa è caratterizzata da una volta a padiglione e un’altissima guglia. Oggi ospita al suo interno il Museo del Cinema.
Per la moneta da 5 centesimi è stato scelto il Colosseo, simbolo indiscusso di Roma, alto circa 50 metri,a pianta ellittica, realizzato nell’antica Roma dagli imperatori Flavi.
E’ la volta di Botticelli, con la Nascita di Venere. Claudia Momoni ha saputo riportare sulla moneta di 10 centesimi la stessa bellezza del viso armonioso della Venere.
Forme uniche nella continuità dello spazio, scultura del futurista Umberto Boccioni, è il soggetto raffigurato sui 20 centesimi. Si tratta di una figura umana in movimento, simbolo della fusione tra spazio e forma.
Sulla moneta da 50 centesimi è possibile osservare, al centro della pavimentazione di Piazza del Campidoglio progettata da Michelangelo, il famoso monumento equestre in bronzo, raffigurante l’imperatore Marco Aurelio.
L’uomo vitruviano di Leonardo è il simbolo della moneta da 1 euro,l’unica che non fu sottoposta al voto. Essa raffigura l'Uomo rinascimentale,visto come centro dell'universo, le cui forme si inscrivono perfettamente nel cerchio e nel quadrato.
Per finire, per la moneta da 2 euro, il ritratto di Dante Alighieri: il padre della lingua italiana. Il suo inconfondibile profilo è tratto dal Parnaso, un affresco realizzato da Raffaello intorno al 1510 nella Stanza della Segnatura, a Roma.
Giunti al termine della nostra analisi è possibile notare quanto sia stretto il rapporto tra numismatica ed arte e quanto un oggetto d’uso comune possa riservare in sé una bellezza artistica tanto grande.
Immagini tratte da :
eurocollezione.altervista.org casteldelmonte.eu marcopolo.tv www.bta.it www.sapere.it romasociale.com cultura.biografieonline.it www.scultura-italiana.com www.laboratorioroma.it www.daringtodo.com |
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Marzo 2021
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