di Marianna Carotenuto Ebe è sicuramente una delle sculture più belle in cui si incarna l’ideale neoclassico del Bello, ricercato e sperimentato dall’artista italiano Antonio Canova. Di questa scultura in marmo esistono quattro versioni, realizzate in tempi diversi e con scelte stilistiche differenti. La prima fu commissionata all’artista presumibilmente dal principe Jusupof nel 1795 (terminata dopo quattro anni, nel 1799), poi venne ceduta a Giuseppe Vivante Albrizzi e acquistata nel 1830 dal re di Prussia Federico Guglielmo III; attualmente si trova presso la Nationalgalerie di Berlino. Nella mitologia greca Ebe, figlia di Zeus e di Era, era la dea dell’eterna giovinezza. Da ancella e coppiera degli dei, aveva il compito di servire alle divinità l’ambrosia e il nettare, vale a dire il cibo e la bevanda con cui questi ultimi si mantenevano giovani e immortali. Nell’opera, l’artista veneto esprime perfettamente la grazia, l’armonia e la compostezza neoclassica, cogliendo Ebe nelle sue movenze leggere e lievi, quasi come se stesse danzando. Con un fare silenzioso, la dea avanza in punta di piedi, su di una nuvola, con una grazia tale da spezzare la gravità del marmo che la sostiene. La statua appare perfettamente equilibrata in ogni sua parte. Il movimento delle gambe, che rende fluttuante la veste che le ricopre, viene bilanciato nella parte superiore dal busto in torsione delicatamente levigato e dall’elegante apertura delle braccia. Il suo corpo sembra avvolto da un soffio di vento che le scompiglia l’acconciatura, che abbellita da un nastro, incornicia il volto inespressivo della giovane dea, ed al tempo stesso fa sì che l’abito aderisca alle sue gambe come una seconda pelle. A differenza di alcune statue classiche, Canova decide di arricchire la scultura di Ebe con due oggetti in metallo che quest’ultima tiene delicatamente tra le mani: un’anfora e una coppa. Questa prima versione della statua di Ebe riscosse tra i contemporanei tanto successo quante polemiche, alle quali Canova fu costretto a rispondere. Tra le tante cose, Canova fu contestato per la mancanza di espressività sul viso della giovane Ebe. A questa critica l’artista rispose: “a voler più espressione nel viso mi sarebbe stata cosa assai facile il dargliela, ma certamente alle spese di esser criticato da chi sa conoscere il bello; la Ebe sarebbe diventa[ta] una Baccante”. La seconda versione della scultura , conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, datata tra il 1800 e il 1808, è molto simile alla precedente. Esposta al Salon di Parigi, l’opera subì nuove critiche legate alle scelte cromatiche effettuate dall’artista e alla presenza degli elementi decorativi (coppa e anfora) in bronzo dorato, giudicati fuori luogo. Alcuni critici, inoltre, considerandola come un’eredità del repertorio figurativo barocco, non accolsero positivamente la scelta del Canova di far “fluttuare” la dea Ebe su una nuvola. Così nacquero le due successive versioni della statua (Devonshire Collection di Chatsworth e Museo di San Domenico di Forlì) in cui lo scultore sostituì le nuvole con un tradizionale tronco d’albero. Con queste sue opere d’arte, Canova ci omaggia di un delicato esempio di bellezza, un incantevole connubio di perfezione ed equilibrio ben lontano dalla fredda riproduzione di un modello.
Immagini tratte da: https://www.tuttartpitturasculturapoesiamusica.com/2018/07/Antonio-Canova-Hebe.html
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Gennaio 2022
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