Oltre la pittura. Oltre la superficie “Il cartone dipinto, la pietra eretta non hanno più senso […] è necessario un cambio nell'essenza e nella forma, è necessaria la superazione della pittura, della scultura, della poesia. Si esige un'arte […] dove le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio i movimenti rappresentati”. Così Lucio Fontana ne Il manifesto tecnico dello spazialismo comunica quell'urgenza di eccedere la dimensione chiusa, finita, limitata (e limitante) della tela, di superarne la piattezza, la bidimensionalità, di “abbandonare il piano”, di “continuare nello spazio”, di vagheggiare l'infinito. ![]() “[...] e allora buco questa tela, che sta alla base di tutte le arti, ed ecco che ho creato una dimensione infinita, un buco che per me è la base di tutta l’arte contemporanea, per chi la vuol capire. Sennò continua a dire che l’è sol un büs, e ciao..” I tagli di Fontana (Attese, Concetti spaziali), netti, regolari, impulsivi e istintivi ma d'una precisione quasi chirurgica, violano la sacralità della tela, aprono fisicamente sulla superficie squarci, brecce, fenditure, creano metaforicamente voragini di senso, abissi trascendentali, liberano quell'energia sopita, latente ed inespressa, immanente alla creazione artistica ma altresì costretta entro i bordi della cornice. L’arte con Fontana diventa tridimensionale, si anima, vive oltre e al di là la tela, opera di fatto quel “cambio nell'essenza e nella forma”, quel “superamento della pittura” vagheggiato nei suoi scritti teorici. Inoltre la luce che filtra dalle fenditure crea suggestivi giochi cromatici, lumeggiature, disegna rilievi, zone d'ombra e chiaroscuri che caricano il taglio di ulteriori valenze e significati che si vanno ad aggiungere a quelli propri di un gesto solo all'apparenza semplice e puerile ma in verità estremamente complesso e sfaccettato. Epigoni di Fontana e debitori della lezione del maestro sono due delle figure di maggior rilievo della scena artistica milanese a cavallo tra la fine degli anni cinquanta e gli inizi dei sessanta del Novecento, l'uno, Enrico Castellani, nato in provincia di Rovigo il 4 agosto del 1930 e tutt'ora in attività e l'altro, Agostino Bonalumi, nato a Vimercate il 10 luglio del 1935 e scomparso pochi anni fa. ![]() Enrico Castellani nasce a Castelmassa e studia arte, scultura e architettura in Belgio fino al 1956, anno in cui si laurea alla École Nationale Superieure. L'anno successivo torna in Italia, stabilendosi a Milano, dove diviene esponente attivo della nuova scena artistica e dove stringe rapporti di amicizia e di collaborazione con Piero Manzoni. La collaborazione trai due artisti porta alla nascita di Azimuth, rivista d'arte fondata nel 1959 e uscita in soli due numeri che raccoglie i contributi di alcuni dei maggiori artisti e teorici dell'arte che in quegli anni si trovavano impegnati in un progetto di sostanziale rinnovamento del panorama artistico italiano (La nuova concezione artistica è, programmaticamente, il titolo di una delle più riuscite esposizioni allestite nella galleria Azimut, dai due fondata nel 1959). Sviluppa sapientemente e in maniera del tutto originale e personalissima la tecnica dell'estroflessione (o shaped canvas), particolare forma espressivo-artistica consistente nel creare una dilatazione spaziale verso l'esterno della tela (per lo più monocromatica) tramite specifici accorgimenti tecnici e materiali quali centine, chiodi, legno o latro materiale plastico. La stessa urgenza di oltrepassare la superficie della tela di supporto che giustificava i tagli di Fontana sostanzia ora la poetica di Castellani che nelle sue più riuscite realizzazioni supera il lavoro del maestro. Le opere di Castellani, nel mercato dell'arte, sono fra le più ricercate e costose fra quelle del Novecento italiano, con quotazioni che hanno ampiamente superato il milione di dollari e sono regolarmente scambiate nelle aste più prestigiose quali le famose "Italian Sales" di Londra. ![]() Agostino Bonalumi nasce il 10 luglio 1935 a Vimercate, periferia di Milano. Dopo studi di impostazione tecnico/meccanica, Bonalumi si inserisce giovanissimo nel clima artistico di Milano, frequentando lo studio di Enrico Baj dove conosce Lucio Fontana, Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Nel 1959 collabora con Castellani e Manzoni alla realizzazione di Azimuth ed espone alla prestigiosa Galleria Pater di Milano, alla quale seguiranno altre mostre a Roma, Milano e Losanna. Nel 1961 alla Galleria Kasper di Losanna è tra i fondatori del gruppo “Nuova Scuola Europea”. Arturo Schwarz acquista sue opere e nel 1965 presenta una mostra personale di Bonalumi nella sua galleria di Milano, con presentazione in catalogo di Gillo Dorfles. Nel 1966 inizia un lungo periodo di collaborazione con la Galleria del Naviglio di Milano che lo rappresenterà in esclusiva, pubblicando nel 1973, per le Edizioni del Naviglio, un’ampia monografia a cura di Gillo Dorfles. Nel 1966 è invitato alla Biennale di Venezia con un gruppo di opere, e nel 1970 con una sala personale. Segue un periodo di studi e di lavoro nei paesi dell’Africa mediterranea e negli Stati Uniti dove si presenterà con una personale alla Galleria Bonino di New York. Nel 1967 è invitato alla Biennale di San Paolo in Brasile e nel 1968 alla Biennale dei Giovani di Parigi. “[...] l’opera non va considerata più come luogo di rappresentazione ma per la sua oggettualità, come oggetto e non rappresentazione di una oggettualità esterna. Siccome tutti i pittori usavano la tela, l’ho usata anch’io. Il punto per me non era abbandonare la tela ma cosa fare con la tela. Fare l’opera con la tela e non sulla tela; il che è fare pittura superando la pittura. Nelle mie opere la tela è uno degli elementi dell’opera in quanto la costituisce insieme ad altri mezzi come la struttura ed il colore”. Dorfles definirà la ricerca di Bonalumi “pittura oggettuale”, un indirizzo della pittura astratta mirante alla costruzione di quadri oggetto, ossia di opere dove tela, telaio e sagomatura eventuale delle stesse costituiva un tutto unitario, quasi sempre monocromo, e del tutto privo di riferimenti figurativi. “Fare l'opera con la tela e non sulla tela”, appunto. La sua abilità nel plasmare la superficie pittorica come fosse materiale plastico attraverso l'estroflessione di materiali lignei e corpi in acciaio è tale che qualcuno lo definirà “scultore di tele”. Bonalumi, Castellani, Fontana. La tecnica è la stessa. Medesima l'esigenza. Superare la pittura, oltrepassare la superficie. Immagini tratte da:
- 1, 7, 8, 9 www.artslife.com - 2 www.fondazioneluciofontana.it - 3 www.emettiladaparte.com - 4 www.arteinvestimenti.it - 5,6 www.dorotheum.com
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Gennaio 2022
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