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25/1/2022

Claude Monet: The Immersive Experience

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di Marianna Carotenuto
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Nel cuore di Napoli, all’interno della seicentesca Chiesa di San Potito, è possibile immergersi nel mondo del noto artista Claude Monet attraverso un’esperienza senza eguali.
Si tratta di un’esclusiva mostra d’arte digitale che dopo il successo riscontrato a Barcellona, Bruxelles, Milano e Torino, approda finalmente nella città partenopea fino al 31 maggio.
L’esperienza permette allo spettatore di essere avvolto da oltre 300 dipinti capaci di prendere vita e accarezzare il visitatore a 360°. 
La sala immersiva prevede la proiezione di immagini animate che si susseguono sulle peculiari note appartenenti alla colonna sonora originale del compositore belga Michelino Bisceglia.
La proiezione ha una durata complessiva di circa 35 minuti.
I colori brillanti, le animazioni e la magica atmosfera sono in grado di attrarre i visitatori di ogni fascia d’età, persino i più piccoli. 
Tuttavia, la mostra non include soltanto la stanza immersiva.
È possibile, infatti, continuare il percorso attraversando una sezione dedicata all’esposizione di alcune riproduzioni delle opere dell’artista scrutabili a pochi centimetri dal proprio naso.
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Quasi al termine della mostra, è possibile accedere alla realtà virtuale.
I visitatori, dotati di appositi occhiali, avranno la possibilità di scivolare nei panni dell’artista e catapultarsi all’interno dell’Atelier di Giverny, ma anche a Londra, in Olanda, in Norvegia e ancora una volta, nelle opere dell’artista.
La realtà virtuale ha una durata di 10 minuti e prevede un costo di 2 euro a persona non incluso nel costo del biglietto.
Al termine della mostra si può accedere in una sezione in cui è possibile diventare dei veri e propri artisti e creare la propria e unica opera d’arte.
Muniti di pastelli, di un foglio contenente una riproduzione stilizzata, e di tanta creatività, grandi e piccini hanno la possibilità di dare vita alla propria versione di alcune delle opere più celebri dell’artista.
 
ORARI DI APERTURA
Orari: 10:00 – 20:00 (la biglietteria chiude alle ore 19:00)
Giorno di chiusura: mercoledì
Dal 10 gennaio 2022 è obbligatorio mostrare il Super Green Pass (Green Pass Rafforzato, ottenuto con vaccino e guarigione).
Maggiori info e prezzi su https://www.expo-monet.it/
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La prenotazione non è necessaria: il biglietto può essere acquistato alla mostra. Aperti tutti i giorni, tranne il mercoledì, dalle 10 alle 20 (la biglietteria chiude alle 19), nella Chiesa di San Potito in Via Salvatore Tommasi 1.
Il biglietto costa 12€. La VR ha un costo extra di 2€. Dal 10 gennaio è necessario il Super Green Pass. Tel: 3515402684. Prorogata fino al 31 maggio 2022. www.expo-monet.it
 
Foto:
  • PH Salvatore Renda
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22/1/2022

Claude Monet: The Immersive Experience prorogata a Napoli fino al 31 maggio

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​COMUNICATO STAMPA

Nella Chiesa di San Potito, l’esposizione site specific con esperienza immersiva e realtà virtuale è visitabile fino al 31 maggio 2022.
Tanti eventi per tutti, come la colazione nel giardino di Giverny, l’aperitivo con Monet e il viaggio nel mondo del padre dell’Impressionismo, a cura dell’Associazione “L’arte nel tempo”.
Laboratori dedicati ai bambini di “Joiele Eventi”.
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La grande mostra internazionale “Claude Monet: the Immersive Experience” resta a Napoli fino al 31 maggio 2022. L’esposizione nella seicentesca Chiesa di San Potito, in via Salvatore Tommasi, è stata prorogata fino a Natale e oltre.
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Un successo che, dopo Barcellona, Bruxelles, Milano e Torino, ha investito Napoli, dove la richiesta è stata tale da convincere Exhibition Hub, società di Bruxelles specializzata nella progettazione e produzione di mostre immersive, a prorogare la mostra.
“Claude Monet: The Immersive Experience” ha incantato tutti, in particolare i più piccoli che, affascinati dai colori del padre dell’Impressionismo, si avvicinano all’arte come se fosse un gioco, in un’esperienza di bellezza che resta indelebile.
Proprio a loro sono dedicati i laboratori a cura di Joiele Eventi: i prossimi appuntamenti sono previsti per sabato 6 e domenica 7 novembre, dalle ore 11:00 alle 17:00, ogni 30 minuti, la prenotazione al numero della mostra è obbligatoria.
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Alla coloratissima mostra immersiva, adatta a tutta la famiglia, spazio anche per gli adulti, con eventi ormai molto richiesti, come la colazione nel giardino di Giverny, l’aperitivo con Monet e il viaggio nel mondo del padre dell’Impressionismo, che prevedono assaggi adatti all’orario e visite guidate a cura dell’Associazione “L’Arte nel Tempo”, partner della mostra. I prossimi appuntamenti sono previsti per lunedì 1 novembre alle ore 11:00, il viaggio nel mondo di Monet, e sabato 13 novembre alle 18:00, l’aperitivo con Monet. La prenotazione al numero della mostra è obbligatoria.
L’esposizione site specific si fonde con il luogo in cui si trova, la monumentale Chiesa di San Potito, nel cuore del centro storico di Napoli, rendendo l’esperienza unica.
“Claude Monet: The Immersive Experience” si avvale delle più recenti tecniche di mappatura digitale per creare un'interpretazione totalmente nuova delle opere del padre dell’impressionismo. Tra pennellate proiettate a 360 gradi, su più di 1000 m2 di schermi, e realtà virtuale (VR), il visitatore viene accompagnato in un viaggio attraverso i colori e i giochi di luce di oltre 300 dipinti di Monet. L'ultima sala, dedicata ai workshop, permette a piccoli e grandi di cimentarsi nell’arte di Monet, creando opere a lui ispirate, da portare con sé come ricordo della visita.
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​Prorogata fino al 31 maggio 2022
Claude Monet: The Immersive Experience
Mostra multimediale ed esperienza virtuale
Chiesa di San Potito 
Via Salvatore Tommasi, 1
nei pressi della fermata Museo della linea 1 della Metropolitana
Orari: 10:00 - 20:00 (la biglietteria chiude alle ore 19:00)
Giorno di chiusura: mercoledì
Facebook @monetexperiencenapoli
Instagram @monetexperiencenapoli
Informazioni: info@expo-monet.it +393515402684
Biglietti in vendita su www.ticketmaster.it
https://www.ticketmaster.it/artist/claude-monet-the-immersive-experience-biglietti/1018346?f_useNewSearch=true&f_showBarcodeNumberInTicketStub=true&f_orderDetailsV3=true&language=it-it
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Come raggiungerci:
a piedi o in auto
da via Pessina 27 attraverso la scala a San Potito 
da via Santa Teresa degli Scalzi, girare in via Salvatore Tommasi
Trasporto pubblico
Metropolitana 
linea 1 fermata Museo, 200 m a piedi
linea 2 fermata Piazza Cavour, 300 m a piedi
bus
fermata Piazza Museo, autobus linee 139, 147, 301, 604, 3M, 168, C63, 178, consultare il sito della ANM- Azienda Napoletana Mobilità s.p.a.: http://www.anm.it/

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14/12/2021

A Pisa l'Urban Art conquista Palazzo Blu Attitude | Graffiti writing, Street Art, Neo Muralismo

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​Grande opening con 108, uno dei maggiori esponenti del post-graffitismo astratto,
protagonista della prima di quattro performance live

Dalla strada all'affermazione internazionale: 45 nomi e oltre 70 opere
in dialogo con le collezioni di arte antica del museo

Dal 14 dicembre al 3 aprile 2022

Sabato 18 alle ore 17 happening con quattro artisti della collettiva in Auditorium


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Pisa, 14 dicembre 2021 - Si apre martedì 14 dicembre a Palazzo Blu e andrà avanti fino al 3 aprile 2022, “Attitude | Graffiti writing, Street art, Neo Muralismo”, un progetto curato da Gianguido Grassi, realizzato da Start - Open you eyes e prodotto da Fondazione Pisa, con il patrocinio di Comune di Pisa, Provincia di Pisa, Regione Toscana, Consiglio Regionale della Toscana, con il sostegno di Università di Pisa, Scuola Normale Superiore e Scuola Normale Superiore Sant’Anna.

Una mostra-evento, con performance live, che per la prima volta in Toscana presenta in maniera organica una generazione di artisti, quasi tutti quarantenni, che - dopo aver iniziato a esprimersi in strada in maniera non autorizzata - oggi lavorano con un linguaggio compiuto e ricercato, in continuità con l'arte di rottura e di avanguardia degli Anni '60. Sabato 18 dicembre alle ore 17 l’happening con quattro degli artisti coinvolti in Auditorium a Palazzo Blu.

Il progetto espositivo dà voce a 45 artisti provenienti da tutto il mondo: sono i talenti della urban art, coloro che hanno saputo unire l'energia creativa della strada a un solido background artistico e che adesso sono chiamati a lavorare in molte città del mondo e a partecipare a mostre ed eventi internazionali.

Il percorso espositivo_ “Attitude | Graffiti writing, Street art, Neo Muralismo” riunisce le molteplici forme dell'arte urbana, dai graffiti all'astrattismo. Sono 74 le opere in mostra, tutte provenienti dagli archivi degli artisti e da importanti collezioni. L'allestimento prende il via dalla biblioteca e prosegue nelle sale al quarto piano di Palazzo Blu, per raccontare le varie declinazioni dell’arte urbana, dall’anima più ribelle e sociale propria dei graffiti a quella monumentale delle manifestazioni istituzionali più recenti.

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«L’attitudine indica una disposizione innata o acquisita, fisica, psicofisica o psichica, che rende possibile o facilita lo svolgimento di una determinata attività; nel gergo della strada indica l’inclinazione e l’approccio con cui chi pitta affronta la propria azione espressiva» spiega il curatore Gianguido Grassi. «Molte sono le attitudini personali e vaste sono le conclusioni artistiche di un fenomeno già vastissimo in termini geografici; ecco perché non è facile dare una definizione e muoversi all’interno di un contenitore che ha come sicuri elementi in comune quello di raccogliere artisti che iniziano a dipingere nel contesto urbano in modo spontaneo e la convergenza dell’energia della strada con la componente creativa. Con l’espressione arte urbana si è dunque cercato di creare un contenitore ampio in grado di raccogliere varie esperienze che si sono avvicendate nel tempo e continuano a coesistere tutt’oggi. Semplificando, potremmo individuare 3 categorie principali: Graffiti Writing, Street art e Neo Muralismo, cha a sua volta si dirama in figurativo e astrattista».
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«Keith Haring – dichiara Cosimo Bracci Torsi, Presidente Fondazione Palazzo Blu - ha cominciato il suo percorso di artista come graffitaro nelle metropolitane newyorkesi. Attitude: un’ottima iniziativa che si riallaccia al mondo ed alle esperienze da cui anche lui ha iniziato».

«Con la mostra ‘Attitude I Graffiti writing, Street Art, Neo Muralismo’ – sottolinea Stefano Del Corso, Presidente Fondazione Pisa - affrontiamo la sfida di portare l’arte di strada dentro il museo, attraverso il progetto curato dall’Associazione Start – Open you eyes.  Le opere che sono esposte nelle sale della collezione permanente sono frutto dell’espressione di un gruppo di artisti che appartengono al fenomeno culturale chiamato ‘street art’, artisti contemporanei abituati a creare nei più diversi contesti urbani.  Questa esposizione potrà risultare complementare alla grande mostra su Keith Haring, visitabile già da alcune settimane, e si ripropone di portare il racconto dell’arte urbana, di cui Haring è stato un padre nobile, fino ai giorni nostri, esplorando le tendenze contemporanee e i molteplici messaggi che queste veicolano.  La volontà della Fondazione Pisa è di arricchire il racconto dell’arte contemporanea e offrire un contributo al dibattito su questa forma d’arte non sempre oggetto di un giudizio univoco».

«Credo e crediamo molto nella bellezza e nel valore della street-art - dice Antonio Mazzeo, Presidente del Consiglio Regionale della Toscana - Non è un caso che nei prossimi giorni porteremo al voto, nell'aula del Consiglio Regionale, una proposta di legge varata all'unanimità dall'ufficio di presidenza che destina ai comuni della Toscana oltre 400mila euro dell'avanzo di amministrazione per finanziare progetti di valorizzazione urbana proprio attraverso la street-art. Così come il lavoro di Keith Haring è diventato un vero e proprio simbolo per la città di Pisa vorremmo che sempre più questa forma d'arte diventasse un tratto distintivo per tante nostre città e tanti borghi della nostra regione».

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«Sono trascorsi ormai 70 anni – commenta Pierpaolo Magnani, Assessore alla Cultura del Comune di Pisa - da quando a partire dagli anni '50 a New York un gruppo di artisti anonimi iniziavano a riempire con scritte di protesta i muri della città. Le strade iniziavano a manifestarsi come luogo prescelto per le loro esibizioni artistiche. Un processo che si è lentamente ma in progressione geometrica espanso durante gli anni '60 per poi estendersi durante i ’70 in tutto il mondo con molteplici forme d’arte non riconosciute che invadevano gli spazi pubblici all’aperto per raggiungere, per quanto concerne la street art e il graffitismo, la loro massima espansione negli anni ’80 con l’avvento delle bombolette di vernice spray. Oggi questa forma d’arte anche in Italia ha definitivamente ottenuto l’apertura delle porte delle grandi istituzioni museali, così come dimostra la stessa esibizione "Attitude" che inauguriamo oggi a palazzo Blu, riconoscendo a molti autori l’importante ruolo che meritano nell’ambito della cultura contemporanea».
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L'eredità di Keith Haring_ Questo progetto espositivo prende forma proprio nel momento in cui Palazzo Blu celebra Keith Haring, uno dei padri della street art che a Pisa ha lasciato un'opera significativa: il murales Tuttomondo, realizzato nel 1989. 

Molti degli artisti protagonisti di “Attitude | Graffiti writing, Street art, Neo Muralismo” hanno dipinto a Pisa e in Toscana, contribuendo a far radicare proprio qui uno dei fenomeni culturali più dirompenti e globali degli ultimi 40 anni, in grado di influenzare l’immaginario collettivo e cambiare il volto delle nostre città: prova ne è il quartiere di Porta a Mare, inserito da Sky Arte nei 20 luoghi imperdibili da visitare in Italia per i suoi muri dipinti.

Gli artisti in mostra_ 108, 2501, Abbominevole, Aec Interesni Kazki, Alberonero, Aris, Barbieri Francesco, Bartocci Giorgio, Beast, Bosoletti Francisco, C215, Ciredz, Dado, Duke1, Egs, Eron, Etnik, Farao, Gaia, Hitnes, Imos, Joys, Martini Rae, Massimo Sospetto, Moneyless, Moses&Taps, No Curves, Oker, Okuda San Miguel, Ozmo, Pasquini Alice, Peeta, Phase2, Porto, Rough Remi, Run, Rusto, Rusty, Sbam, Shepard Farey- Obey, Soap The wizard, Solomostry, Sten&Lex, Tellas, Zed1, Zedz.

Le live performance_ Lungo tutta la sua durata, la mostra sarà intervallata da quattro performance live, una al mese, che andranno ad approfondire la conoscenza di altrettante personalità di spicco della Urban art. Gli stessi nomi daranno vita ciascuno a una personale della durata di un mese nella Sala Focus. Il primo artista protagonista sarà 108, uno dei maggiori esponenti del post-graffitismo astratto, già protagonista di “Nusing”, la prima grande esposizione sul post-graffitismo europeo che si è svolta a Parigi nel 2004, e della 52esima Biennale di Venezia del 2007. Il suo linguaggio si compone di un alternarsi di pittura, muralismo, scultura, suono. A Palazzo Blu, presenterà “Il museo dell’assurdo”, un'installazione site specific che permette un'interscambiabilità tra i singoli frammenti che la compongono dando l'idea del divenire e del passaggio, della trasformazione di un luogo, come avviene per le opere realizzate in strada.

Dopo 108, sarà la volta di Joys, leggenda italiana del writing, pioniere le cui geometrie si ritrovano persino in Russia e in Cina; seguirà la performance live del milanese 2501, che è anche un grande studioso delle controculture. Per finire con lo street artist newyorchese Gaia, che Forbes ha inserito tra i 30 Under30 che cambieranno il mondo, già attivo a Pisa. Gli stessi quattro artisti saranno al centro di una mostra personale in una delle sale dove le opere saranno cambiate ogni mese.


A completamento dello svolgersi di “Attitude | Graffiti writing, Street art, Neo Muralismo”, arriveranno a Pisa una serie di firme della scena urban internazionale che dipingeranno nuovi muri e arricchiranno il patrimonio di opere pubbliche contemporanee.

Attitude | Graffiti writing, Street art, Neo Muralismo
Palazzo Blu
Lungarno Gambacorti 9, Pisa
Lunedì - venerdì ore 10 - 19, sabato domenica e festivi ore 10 - 20
I biglietti della mostra sono acquistabili su vivaticket.com al link https://www.vivaticket.com/it/biglietto/blu-palazzo-d-arte-e-cultura/155183
Info tel. 050 - 916961 - segreteria@palazzoblu.it 

Ufficio Stampa Start Open Your Eyes
Chiarello Puliti & Partners

Sara Chiarello, Francesca Puliti - 392 9475467
press@chiarellopulitipartners.com


Ufficio Stampa Palazzo Blu
Susanna Bagnoli - 347 8362112
bagnoli@fondazionepisa.it ​

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7/12/2021

Al Museo delle Navi Antiche di Pisa l'apertura straordinaria per decorare l'albero di Natale con i bambini

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COMUNICATO STAMPA

Museo delle Navi Antiche di Pisa
L’apertura straordinaria per dECOrare l’albero di Natale con i bambini


Mercoledì 8 dicembre doppio appuntamento con il laboratorio per famiglie per realizzare insieme addobbi creativi per l’albero di Natale al museo
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Pisa, 6 dicembre 2021— Il Natale si avvicina e il Museo delle Navi Antiche di Pisa si prepara ad ospitare i bambini con un’apertura straordinaria. Mercoledì 8 dicembre, alle ore 11.00 e alle ore 15.30, doppio appuntamento con “dECOriamo l’albero di Natale!”, il laboratorio pensato per i più piccoli e le loro famiglie per creare insieme addobbi natalizi in modo ecosostenibile e fantasioso, a cura di Cooperativa Archeologia.

Un incontro a tema “Salviamo i nostri mari!” in cui i giovani visitatori saranno impegnati a comporre navi, pesci e tanti altri pezzi originali utilizzando materiali di riciclo e che rispettano l’ambiente, per un appuntamento dedicato alla decorazione dell’albero di Natale del museo e a creazioni da portare a casa.

Il complesso delle Navi Antiche di Pisa, aperto in via straordinaria per l’occasione dalle ore 10.30 alle ore 18.30, è il più grande museo di imbarcazioni antiche esistente, con 4700 metri quadri di superficie espositiva raccoglie 800 reperti, esposti in 47 sezioni divise in 8 aree tematiche con sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro sostanzialmente integre. Inaugurata il 16 giugno 2019, dopo più di vent’anni di ricerca e restauro, l’area degli Arsenali Medicei accompagna i visitatori in un vero e proprio viaggio attraverso più di mille anni di storia della città di Pisa.

La concessione del museo è affidata a Cooperativa Archeologia, che ha seguito negli ultimi anni lo scavo archeologico e il restauro delle navi e dei reperti, sotto la direzione scientifica di Andrea Camilli, responsabile di progetto per la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Pisa e Livorno diretta da Esmeralda Valente. Il progetto di scavo e restauro delle antiche navi di Pisa rappresenta uno dei più interessanti e ricchi cantieri di scavo e ricerca degli ultimi anni. La particolare condizione di conservazione dei reperti racchiusi in strati di argilla e sabbie ha richiesto un considerevole sforzo economico, organizzativo e tecnologico, mettendo a disposizione della ricerca laboratori, depositi, strumentazioni all’avanguardia e logistica devoluti al recupero degli oltre trenta relitti individuati e dei materiali ad essi associati. Il cantiere delle Navi Antiche è quindi diventato un centro dotato di laboratori, depositi e strumentazione che ha visto la collaborazione di decine di istituzioni universitarie e di ricerca italiane e straniere.

INFORMAZIONI

Attività per bambini dai 5 anni in su | ore 11.00 e 15.30 | Durata 1 h | È necessaria la presenza di un genitore all’interno del museo per ogni prenotazione | € 6 a bambino + biglietto

Visita guidata per gli adulti | ore 11.00 e 15.30 | Durata 1 h | € 6 a persona + biglietto

Per informazioni e prenotazioni: prenotazioni@navidipisa.it o allo 050 47029 e nel fine settimana al numero 050 8057880

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2/11/2021

Ebe, la dea scolpita da Antonio Canova

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 di Marianna Carotenuto

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Ebe è sicuramente una delle sculture più belle in cui si incarna l’ideale neoclassico del Bello, ricercato e sperimentato dall’artista italiano Antonio Canova.
Di questa scultura in marmo esistono quattro versioni, realizzate in tempi diversi e con scelte stilistiche differenti.
La prima fu commissionata all’artista presumibilmente dal principe Jusupof nel 1795 (terminata dopo quattro anni, nel 1799), poi venne ceduta a Giuseppe Vivante Albrizzi e acquistata nel 1830 dal re di Prussia Federico Guglielmo III; attualmente si trova presso la Nationalgalerie di Berlino.
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Nella mitologia greca Ebe, figlia di Zeus e di Era, era la dea dell’eterna giovinezza.
Da ancella e coppiera degli dei, aveva il compito di servire alle divinità l’ambrosia e il nettare, vale a dire il cibo e la bevanda con cui questi ultimi si mantenevano giovani e immortali.
Nell’opera, l’artista veneto esprime perfettamente la grazia, l’armonia e la compostezza neoclassica, cogliendo Ebe nelle sue movenze leggere e lievi, quasi come se stesse danzando. Con un fare silenzioso, la dea avanza in punta di piedi, su di una nuvola, con una grazia tale da spezzare la gravità del marmo che la sostiene. La statua appare perfettamente equilibrata in ogni sua parte. Il movimento delle gambe, che rende fluttuante la veste che le ricopre, viene bilanciato nella parte superiore dal busto in torsione delicatamente levigato e dall’elegante apertura delle braccia.
Il suo corpo sembra avvolto da un soffio di vento che le scompiglia l’acconciatura, che abbellita da un nastro, incornicia il volto inespressivo della giovane dea, ed al tempo stesso fa sì che l’abito aderisca alle sue gambe come una seconda pelle.
A differenza di alcune statue classiche, Canova decide di arricchire la scultura di Ebe con due oggetti in metallo che quest’ultima tiene delicatamente tra le mani: un’anfora e una coppa.
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 Questa prima versione della statua di Ebe riscosse tra i contemporanei tanto successo quante polemiche, alle quali Canova fu costretto a rispondere.
Tra le tante cose, Canova fu contestato per la mancanza di espressività sul viso della giovane Ebe. A questa critica l’artista rispose: “a voler più espressione nel viso mi sarebbe stata cosa assai facile il dargliela, ma certamente alle spese di esser criticato da chi sa conoscere il bello; la Ebe sarebbe diventa[ta] una Baccante”.
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La seconda versione della scultura , conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, datata tra il 1800 e il 1808, è molto simile alla precedente. Esposta al Salon di Parigi, l’opera subì nuove critiche legate alle scelte cromatiche effettuate dall’artista e alla presenza degli elementi decorativi (coppa e anfora) in bronzo dorato, giudicati fuori luogo. Alcuni critici, inoltre, considerandola come un’eredità del repertorio figurativo barocco, non accolsero positivamente la scelta del Canova di far “fluttuare” la dea Ebe su una nuvola.
Così nacquero le due successive versioni della statua (Devonshire Collection di Chatsworth e Museo di San Domenico di Forlì) in cui lo scultore sostituì le nuvole con un tradizionale tronco d’albero.
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Con queste sue opere d’arte, Canova ci omaggia di un delicato esempio di bellezza, un incantevole connubio di perfezione ed equilibrio ben lontano dalla fredda riproduzione di un modello.

Immagini tratte da:
https://www.tuttartpitturasculturapoesiamusica.com/2018/07/Antonio-Canova-Hebe.html

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12/10/2021

Come un cane ballerino

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Comunicato stampa
Come un cane ballerino
Esposizione di Natacha Lesueur
13 ottobre 2021 – 9 gennaio 2022
Curatore: Christian Bernard
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L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici è lieta di presentare questo autunno la mostra Come un cane ballerino che rende omaggio al lavoro svolto per quasi 30 anni dall'artista ed ex borsista di Villa Medici Natacha Lesueur (promozione 2002-2003).

L’opera di Natacha Lesueur è essenzialmente fotografica. I suoi interessi artistici si articolano intorno al corpo, all’apparenza, all’aspetto e all’intima relazione tra il corpo e la sua interiorità. Attraverso una serie di immagini costruite come quadri, il corpo è sottoposto a diversi trattamenti che rilevano al tempo stesso la costrizione, la messa in scena e la maschera. 

Curata da Christian Bernard, la mostra si sviluppa in forma di narrazione visiva e tematica che riunisce più di 80 opere dell’artista, sia storiche che inedite, offrendo uno sguardo intimo sul suo lavoro intorno all'immagine e ai suoi intenti plastici e politici.

La dimensione ironica del titolo preso in prestito dal libro di Virginia Woolf Una stanza tutta per sé esprime a pieno la sua consapevolezza di donna artista e dà il tono di un’esposizione dove l'incongruo e lo stravagante sono trattati con la massima serietà.

Dai primi lavori storici (1993-1998), alla recentissima serie delle fate-spose (Les humeurs des fées, 2020-21), passando per le opere dedicate all’attrice brasiliana Carmen Miranda, figura leggendaria del cinema hollywoodiano degli anni 40, le rappresentazioni del femminile abitano la mostra, spesso inquietanti, sempre ambigue. Attraverso interventi sui marcatori d'identità distintivi, buste di capelli e abbigliamento, veicoli e simboli delle mascherate della femminilità, attraverso l'esplorazione di ruoli attribuiti e modelli normativi - sposa, madre, principessa, attrice, ballerina, ecc. - attraverso la sovversione delle imposizioni alla bellezza, alla giovinezza o alla magrezza, Natacha Lesueur cerca di rivelare, non senza umorismo, le manifestazioni dell'espressione di una costrizione sociale e culturale. Acconciature soffocanti, capelli accessoriati, make-up XXL e posticce di cibo sono tutti enigmi ricorrenti nei quadri-narrativi esposti a Villa Medici.

Come un cane ballerino oltrepassa inoltre i confini del mezzo fotografico per esplorare altri aspetti della produzione artistica di Natacha Lesueur: sculture-fontane in ceramica, vasi in terracotta, disegni e opere video scandiscono la mostra, in dialogo con le serie fotografiche, come un modo di interrogare l’esperienza dell’immagine e la fissità delle forme.

Figure enigmatiche di fate e spose o familiari ritratti femminili che si espongono allo sguardo e allo stesso tempo lo eludono: la mostra Come un cane ballerino offre una genealogia femminile personale e culturale dell’artista, "un lavoro multiplo, che si sviluppa in un percorso scandito dai suoi singolari usi dello strano e dell’ambiguo", per riprendere le parole del curatore Christian Bernard.

*In Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf cita Nick Greene e Samuel Johnson, che dicono di una donna che recita, predica, compone, insomma che si impegna in qualsiasi attività intellettuale, che ricorda loro un cane che balla: "il risultato non è conclusivo, ma ci si sorprende che esista".

CATALOGO
Come un cane ballerino sarà accompagnata da un catalogo che riunisce delle opere in esposizione e dei testi inediti. Il volume, pubblicato da Walden n, sarà disponibile in vendita a Villa Medici. 
Informazioni pratiche e condizioni di visita disponibili prossimamente sul sito villamedici.it
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Natacha Lesueur (nata nel 1971 a Cannes) si forma a Villa Arson a Nizza prima di presentare la sua prima mostra personale nel 1996. Vincitrice del premio Ricard nel 2000 e borsista all’Accademia di Francia a Roma - Villa Medici nel 2002-2003, Natacha Lesueur ha esposto in molti Paesi d’Europa, negli Stati Uniti, in Corea e in Cina. Nel 2011 il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea (MAMCO) di Ginevra ha pubblicato un volume monografico del suo lavoro. Vive e lavora a Parigi.
foto: © N. Lesueur

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Christian Bernard (nato nel 1950 a Strasburgo) è curatore di mostre. Dopo aver insegnato letteratura e filosofia in Alsazia, è entrato al Ministero della Cultura come consigliere artistico alla Direzione regionale degli affari culturali di Lione (1982-1985). Ha poi diretto Villa Arson a Nizza (1986-1994) prima di concepire e dirigere il Museo d'arte moderna e contemporanea di Ginevra (1991-2015). È stato direttore artistico del festival d’arte contemporanea Printemps de septembre di Tolosa nel 2008, 2009, 2016, 2018 e 2021
foto: © I. Kalkkinnen

A proposito dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici
Fondata nel 1666 da Luigi XIV, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici è un’istituzione culturale francese avente sede dal 1803 a Villa Medici, villa del XVI secolo circondata da un parco di sette ettari e situata sulla collina del Pincio, nel cuore di Roma.

Ente pubblico dipendente dal ministero della Cultura francese, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici svolge tre missioni complementari: ospitare artisti e artiste, creatori e creatrici, storici e storiche dell’arte di alto livello in residenza annuale o per soggiorni più brevi; realizzare un programma culturale ed artistico che interessa tutti i campi dell’arte e della creazione e che si rivolge ad un vasto pubblico; conservare, restaurare, studiare e far conoscere al pubblico il proprio patrimonio architettonico e paesaggistico e le proprie collezioni.

L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici è diretta da Sam Stourdzé.
L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici ringrazia i suoi sponsor e partner:
 
Sponsor principale
AMUNDI
Sponsor e partner
ACADÉMIE DES BEAUX-ARTS, FONDATION LOUIS ROEDERER  
GROUPAMA, SOFITEL, AIR FRANCE, CULINARIES, CLUB CRIOLLO, VALRHONA, FABRIZIO FIORANI
Media partner
INSIDE ART
Con il sostegno di VILLA ARSON per la produzione dei vasi presentati nella mostra.

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24/8/2021

MATTEO CIARDINI. AL DI LÀ DEL MARE È IL CIELO

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Comunicato stampa
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Dal 21 Agosto 2021 al 02 Settembre 2021
SERAVEZZA | LUCCA
LUOGO: Chiesa della Madonna del Carmine
INDIRIZZO: Via G. Lombardi 38
ORARI: da giovedì a domenica 18.30-21.30
CURATORI: Lorenzo Belli
ENTI PROMOTORI:
  • Alkedo aps in collaborazione con la Galleria Paola Raffo Arte Contemporanea
  • Con il patrocinio del Comune di Seravezza e del Museo Ugo Guidi
COSTO DEL BIGLIETTO: L’ingresso sarà contingentato per possessori di green pass anche su appuntamento
TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 0584 283338
E-MAIL INFO: paolaraffo@tiscali.it
 
Sabato 21 agosto alle ore 19 s’inaugura la mostra di Matteo Ciardini "Al di là del mare è il cielo", a cura di Lorenzo Belli, allestita presso lo spazio Cappella Marchi della chiesa barocca della Madonna del Carmine di Seravezza (LU).

L’esposizione di Ciardini rappresenta il quarto appuntamento del nuovo project space Cappella Marchi gestito da Alkedo aps che si contraddistingue per il dialogo tra ambientazione classica e nuovi linguaggi dell'arte contemporanea.
Ciardini torna a Seravezza dopo l’esposizione alle Scuderie Granducali di Palazzo Mediceo che lo videro protagonista nell’estate 2019 con le sue architetture pittoriche.

La pittura di Matteo Ciardini è intrisa dall’intimità del proprio vissuto che si definisce nelle diverse tonalità della luce reale. Il suo immaginario riproduce colori e figure desunte dall’osservazione del mondo, in cui decantano le attese diurne assieme a pensieri celati.

Con “Al di là del mare è il cielo” l’artista ci torna a parlare delle marine, che hanno caratterizzato il suo percorso artistico, in un modo più consapevole.

Come spiega il curatore Lorenzo Belli, “in queste opere sono rappresentati anche oggetti trovati durante un ipotetico viaggio terreno, come fossero ai margini di una strada: lucertole e cavallette sono protagonisti narranti del suo percorso, come strumenti di un rito che ci riportano all’asprezza della vita vissuta.

Gli elementi della natura rispecchiano lo stato profondo di passione e di sensi, di felicità e di tormento; in questo rapporto Ciardini include tutto ciò che trova sul suo cammino e si rivela a chi ama il tempo umano e lento del mondo naturale.
E’ questa emozione prodotta dalla realtà , questa stratificazione di memorie, di sensazioni, questo sentimento del tempo che l’artista cerca di imprimere nella materia, di strutturare in strati pittorici che formano paesaggi, figure, vegetazione, mare, cielo…

Al di là del mare è il cielo è andare oltre quel punto di congiunzione che non esiste, quel limite immaginario che esiste solo nella rappresentazione dell’immagine che è l’orizzonte.

L'orizzonte è effettivamente, una figura illimite, momentanea, apparente: è illimite in quanto composta da una linea formata dall'insieme dei punti in cui, rispetto all'osservatore, il cielo e la terra sembrano congiungersi.”

Le opere ad olio e ad acquerello si fonderanno con l’ambientazione ricca e decadente degli spazi della chiesa che, per le sue caratteristiche architettoniche, è uno spazio unico in tutta la Versilia.

Matteo Ciardini si è formato nella sua città natia, Firenze, presso l’Accademia di Belle Arti, diplomandosi in pittura e in progettazione e cura dei sistemi espositivi, e ha svolto l’attività di assistente presso la scuola di pittura della medesima istituzione. Dopo la prima esposizione al caffè Le Giubbe Rosse (2006), le sue opere sono state esposte a Belgrado per Outside Project, nelle ex carceri alle Murate a  Firenze, e ancora presso California State University (CSU), Fresno, M-A-M, Museo Casa Natale di Giotto, Palazzo Panichi di Pietrasanta, Palazzo Medici Riccardi di Firenze, nello spazio collezione del Centro Pecci, Villa la Vedetta di Firenze, Officina Giovani di Prato, Fabbrica Ex Lucchesi di Prato, Museo della Grafica presso Palazzo Lanfranchi di Pisa, Palazzo Ducale di Lucca, Sala delle Grasce di PIetrasanta  e Scuderie Granducali di Villa Medicea di Seravezza. E’ stato membro della giuria del “IX Premio Ugo Guidi” di Forte dei Marmi e selezionato da Vittorio Sgarbi al “XLV Premio Sulmona”.
Collabora con la galleria Paola Raffo Arte Contemporanea vivendo e lavorando tra Parigi e la provincia di Lucca, dove attualmente insegna educazione artistica.

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10/8/2021

5 dipinti per celebrare l’estate

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Di Marianna Carotenuto
Diversi pittori, di ogni epoca e corrente artistica, hanno dedicato almeno un loro quadro alla rappresentazione della stagione estiva. Di seguito ne vengono ricordati 5.
Passeggiata in riva al mare
Autore: Joaquín Sorolla y Bastida
1909
Madrid , Museo Sorolla
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Il dipinto raffigura due donne che passeggiano sulla spiaggia della Malva-Rosa. Si tratta di Clotilde García del Castillo, la moglie del pittore, e Maria Clotilde, la loro figlia primogenita, entrambe vestite con eleganti abiti bianchi e la prima tiene in mano un ombrello aperto.
L’artista sembra aver catturato un preciso istante, scegliendo un'inquadratura inusuale, tipica di una fotografia, utilizzando un bianco particolarmente luminoso che ne risalta i colori della luce di Valencia ed enfatizza la brezza marina. Le due donne non sono perfettamente inquadrate nella rappresentazione, non si trovano né perfettamente a destra né al centro della tavola, il cappello di Clotilde non è completamente raffigurato, la parte inferiore del quadro presenta una striscia vuota di sabbia. Il resto comprende qualche grano di sabbia in basso a destra del dipinto, come un ricordo aggiuntivo del momento. Da qui il legame con le tecniche e lo stile impressionista.
In estate
Autore: Pierre-Auguste Renoir
1868
Berlino, Nationalgalerie​
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La ragazza ritratta siede all'ombra di alcune piante, ha lo sguardo perso nel vuoto, con disinvoltura poggia le sue mani sulle ginocchia. I suoi abiti sono informali, da gitana, infatti indossa una gonna a righe ed una canottiera, la cui manica destra scende in modo un po' provocatorio. I capelli sono raccolti  da un nastrino rosso ma si poggiano sulle spalle in modo disordinato. Il dipinto è carico di intensità e brilla per il suo elevato grado di naturalismo.
Secondo piano al sole
Autore: Edward Hopper
1960
New York, Whitney Museum of American Art.
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Secondo piano al sole mostra una scena tratta dalla quotidianità, uno scatto fotografico di un momento qualunque della giornata di due donne. La porzione di casa sulla sinistra, e parte della foresta sulla destra, evocano un senso di continuità spaziale. E’ come se il pittore, scrutando il panorama, avesse fermato per un attimo i suoi occhi sulla scena rappresentata e ne sia rimasto affascinato. La continuità spaziale è inoltre accentuata dal secondo piano stesso, in quanto ciò implica che sotto ci sia un pianterreno. Hopper, anche in  questo caso, diviene interprete e testimone oculare dell’America del suo tempo, mostrandone abitudini, costumi e vicende, analizzandole con un perfetto occhio clinico.  Ciò ha portato Hopper ad essere definito “realista”, termine che lui stesso sentiva proprio.
Sera d’estate, campo di grano al tramonto
Autore: Van Gogh
1888
Winterthur, Kunst Museum
Foto
Il dipinto realizzato da Vincent Van Gogh è occupato quasi interamente da un vasto campo di grano. Sullo sfondo, dietro i due contadini, compare un piccolo centro abitato; se ne riconoscono i campanili delle chiese, le case e  alcune fabbriche, dalle cui ciminiere proviene del fumo scuro che viene spinto dal vento verso sinistra. Infine, dietro il  borgo, si può ammirare il sole tramontare.
Il quadro è un’esplosione di giallo, che dal sole si riflette sull’immenso campo di grano. 
Bagnanti ad Asnières
Autore: Georges Seurat
1884
Londra, National Gallery
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Georges Seurat rappresenta alcuni bagnanti sulla riva della Senna in una giornata estiva.
Al centro del dipinto, rivolto a destra, vi è un ragazzo seduto, che mostra il suo profilo. Sembra essere un adolescente dal naso pronunciato. I suoi piedi sono immersi nell’acqua del fiume e accanto a lui ci sono alcuni dei suoi indumenti; una camicia bianca, un paio di stivali neri e un cappello di paglia. Proprio davanti a lui, l’attenzione ricade su di un bambino che indossa un cappello da pescatore rosso-arancio e che, con le mani intorno alla bocca, sembra incitare i canottieri. Non è però l’unico bambino, verso sinistra ce n’è un altro dai capelli biondi che gioca nell’acqua.
In primo piano, sulla sinistra c’è un uomo di età matura sdraiato sull’erba, che guarda in direzione delle canoe con il suo cagnolino.
In alto, sullo stesso lato, è raffigurata una donna, con le braccia sopra le ginocchia piegate, che sotto il suo cappello di paglia osserva la scena. Infine, lontano, altri due bagnanti sono sdraiati  sull’erba.
Sullo sfondo si vedono le fabbriche di Clichy, segno della nascente industrializzazione della capitale, ma il fumo che si innalza verso il cielo non proviene dalle ciminiere, ma da un treno che sta attraversando il ponte sul fiume.
La scena risulta essere pervasa da una luce ottenuta grazie ad una particolare tecnica pittorica che precede il puntinismo; il tutto è caratterizzato da linee e colori perfettamente armonizzati.
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Immagini tratte da:
Wikipedia
www.katarte.it
it.wahooart.com

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3/8/2021

American Art 1961-2001

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di Giovanna Leonetti
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Palazzo Strozzi ospiterà fino al 29 agosto la mostra American Art 1961-2001, una selezione di opere provenienti dal Walker Art Century (Pennsylvania), che testimoniano quarant’anni di storia americana, dagli anni della Guerra in Vietnam, fino agli eventi dell’11 settembre 2001.
La mostra segue un filo diacronico ripercorrendo in ogni sala le grandi correnti storiche che hanno rappresentato gli anni presi in esame.
Nella sala dedicata alla Pop art è prorompente la presenza di Andy Warhol, con le sue iconiche Boxes che immortalano i grandi brand famosi negli anni ’60 come Campbell’s e Brillo. Citiamo anche Sixteen Jackies, opera dove le immagini della First Lady vengono ripetute per quattro volte in modo seriale. Le figure provengono dai giornali dell’epoca e rappresentano Jackie prima e dopo l’assassinio di JFK. Questa opera racchiude in sé molti temi importanti del lavoro di Warhol, come la sua attrazione per le celebrità americane, il suo interesse per i mass media, la diffusione delle immagini e la sua preoccupazione per la morte, tema quest’ultimo diventato sempre più presente dopo il tentato omicidio subìto nel ’68.
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1: A sinistra: Andy Warhol, Boxes, 1964, vernice polimerica sintetica, serigrafia su legno. A destra: Andy Warhol, Sixteen Jackies, 1964, acrilico, smalto su tela. Immagine 2 - Andy Warhol, Sixteen Jackies, 1964, acrilico, smalto su tela.
Di particolare interesse la sezione dedicata alla collaborazione tra Merce Cunningham, John Cage, Robert Rauschenberg e Jasper Johns, figure che hanno rivoluzionato i campi della danza, musica e arte visiva, dando vita a una nuova interazione tra le discipline. Tra le opere presenti citiamo le scenografie ideate da Rauschenberg e Johns. Il primo crea una struttura autoportante costituita da una cornice di legno e rivestita da un collage di stoffa, carta, pittura e specchio. Johns invece, a seguito di una collaborazione a distanza con Duchamp, crea la scenografia per Walkaround Time, composta da sette scatole rettangolari di plastica trasparente, ognuna con un’immagine dipinta e serigrafata, con un motivo tratto dal Grande Vetro di Duchamp, come la Sposa e la Macinatrice di Cioccolato.
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2: A sinistra: Robert Rauschenberg, Elemento di scena per Minutiae, 1954-1976, olio, carta da giornale, legno, metallo e plastica con specchio e filo, su legno. Al centro: alcuni dettagli della scenografia. A destra: Jasper Johns, Elementi di scena per Walkaround Time, 1968, plastica, vernice, 7 cuscini gonfiabili.
Rappresentativa degli anni ’70 e ’80 è la sala dedicata all’Appropriation Art: gli artisti, attingendo alle immagini dei mass media, le rielaborano dandone un nuovo significato. Tra le opere presenti degna di nota è quella di Barbara Kruger, una serie di nove quadri contenenti figure di gesti che suggeriscono alcune parole del linguaggio dei segni. Sono presenti porzioni di immagini con tagli ravvicinati di visi e mani abbinati a scritte sovrapposte che nell’insieme danno il seguente messaggio We will no longer be seen and not heard ("Mai più noi saremo visti/viste senza essere ascoltati/e").
3: Barbara Kruger, Untitled (We Will no Longer be Seen and Not Heard), 1985, litografia, fotolitografia, serigrafia su carta.

Merita una menzione a parte la sala Biographies che testimonia una delle epidemie più grandi che ha colpito l’America negli anni Ottanta, il virus dell’AIDS. Le comunità artistiche, devastate dalla malattia, si attivarono attraverso la loro produzione artistica per denunciare l’indifferenza e la discriminazione del Governo e del presidente in carica Reagan. Ne è un esempio Rober Gober, presente in mostra con Newspaper (1992), il quale esprime l’orrore, la paura e il dolore di essere gay nella New York degli anni ’80.
Degno di nota è la sezione dedicata agli artisti racchiusi nella sala More Voices. Tra i tanti citiamo il lavoro di Hock Aye Vi/Edgar Heap of Birds, Building Minnesota (1990), installazione, caratterizzata da quaranta targhe, che testimonia uno dei momenti più tragici della storia americana, l’impiccagione di quaranta uomini della tribù Dakota avvenuta in Mankato.
Nell’ultima sala troviamo una sezione dedicata all’opera dell’artista afroamericana Cara Walker. L’artista è famosa per le sue silhouettes di carta ritagliata, sagome nere che risaltano sul bianco della parete. Walker utilizza queste figure per narrare storie di violenze e di soprusi ambientate nelle piantagioni di cotone prima della guerra di Secessione. Sono silhouettes delicate ma allo stesso tempo violente: Cut ne è un esempio. L’immagine a grandezza naturale di una donna nera che si taglia le vene dei polsi dopo essere stata violentata, affronta il ruolo delle donne di colore nella storia e le tematiche di genere.
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4: Kara Walker, Cut, 1998, carta ritagliata.
American Art è una mostra dalle mille sfaccettature che, attraverso la produzione artistica di cinquantatré artisti, ripercorre quarant’anni di storia americana. Un’esposizione eclettica che avrete modo di visitare fino al 29 Agosto.
Per informazioni relative a orari e biglietti visitare il sito https://www.palazzostrozzi.org/archivio/mostre/american-art-1961-2001/

Immagini tratte da foto dell'autore (Livia De Pinto)
locandina: https://www.palazzostrozzi.org/mostre-in-corso/
Foto di Livia De Pinto
Video di Livia De Pinto

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13/7/2021

A Portoferraio inaugura la prima mostra di Uffizi diffusi "Nel segno di Napoleone" | Dal 9 luglio al 10 ottobre 2021

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COMUNICATO STAMPA
PER CELEBRARE NAPOLEONE GLI UFFIZI SI TRASFERISCONO ALL’ISOLA D’ELBA NELL’EX CASERMA DE LAUGIER DI PORTOFERRAIO SCULTURE, DIPINTI E OGGETTI D’ARTE RACCONTANO L’IMPERATORE BONAPARTE
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​Mostra al via dal 9 luglio è la prima esposizione ad essere inaugurata nell’ambito del progetto Uffizi diffusi Il direttore Eike Schmidt: “celebriamo il bicentenario napoleonico unendo le collezioni delle Gallerie alle ricchezze artistiche del territorio” Sculture, dipinti ed oggetti d’arte, per celebrare Napoleone Bonaparte nel duecentenario dalla sua morte. Con la mostra Nel segno di Napoleone: gli Uffizi diffusi all’isola d’Elba che apre oggi a Portoferraio (Pinacoteca Foresiana, 9 luglio 2021 - 10 ottobre 2021) le Gallerie degli Uffizi inaugurano concretamente il grande piano di ​diffusione sul territorio toscano presentato nelle scorse settimane. Non solo: l’esposizione offre anche l’occasione di riaprire al pubblico, dopo la chiusura dello scoroso anno a causa della pandemia, lo spazio culturale della Pinacoteca Foresiana, all’interno della prestigiosa caserma storica De Laugier di Portoferraio. Nel segno di Napoleone avrà il duplice obiettivo di evidenziare il legame indissolubile tra l’imperatore dei francesi e l’isola d’Elba, sede del suo esilio dal maggio 1814 al febbraio 1815 e di valorizzare attraverso i tesori degli Uffizi e della Pinacoteca stessa uno snodo fondamentale della storia dell’isola. L’influenza della personalità del Bonaparte nel contesto toscano va infatti ben oltre la parentesi del suo effettivo dominio politico sul territorio, per incidere profondamente nello sviluppo e nel rinnovamento di ogni settore delle arti in Toscana, lasciando un’impronta duratura anche nelle epoche successive. Sono state dunque selezionata opere delle Gallerie degli Uffizi - dipinti, sculture ed oggetti di arti applicate - che ci restituiscono un’avvincente narrazione della vicenda napoleonica in Toscana. Lo stile impero, connotato da un’eleganza ispirata all’antichità romana ma aperta allo stesso tempo alla modernità, diventa così una maniera efficace per promuovere il mito eroico della figura di Napoleone, della consorte Maria Luisa d’Asburgo ed anche degli altri membri della famiglia Bonaparte, attraverso la riproduzione dei ritratti, scolpiti o dipinti, in grado di divulgare l’iconografia del sovrano e dei suoi famigliari in tutti i territori soggetti al governo francese.
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La mostra sarà introdotta dal Ritratto di Napoleone imperatore di Carlo Morelli per l’occasione collocato in Pinacoteca dalla Sala Consiliare, mentre in un ambiente adiacente saranno esposte anche opere d’arte provenienti dalle Gallerie degli Uffizi, e altre dai depositi della Pinacoteca Foresiana. Si tratta di una serie di disegni e pitture, frutto della donazione avvenuta nel 1914 da parte di Mario Foresi, importante figura di intellettuale, che raccolse l’eredità del padre Raffaello e soprattutto dello zio Alessandro Foresi. Quest’ultimo, vissuto tra l’epoca della Restaurazione e dell’Unità d’Italia, fu infatti medico e amico personale di Giuseppe Bezzuoli del quale scrisse una biografia e di cui possedeva importanti dipinti. Del maestro toscano sarà esposto un intenso ritratto di Elisa Baciocchi con la figlia, proveniente dalle Gallerie degli Uffizi (circa 1814): un perfetto anello di congiunzione tra la fine dell’epopea francese ed il ritorno dei restaurati sovrani lorenesi. Non si era ancora spenta, in quegli anni, la nostalgia per lo splendore della corte elisiana e per le speranze che molti avevano riposto nell’avventura bonapartista, come ben documenta la raffinata collezione di cimeli napoleonici messa insieme da Mario Foresi.

  Curatela scientifica della mostra: Alessandra Griffo ed Elena Marconi

 Per info: Tommaso Galligani, Portavoce delle Gallerie degli Uffizi, tommaso.galligani79@gmail.com, +393494299681


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15/6/2021

In arrivo a Roma dal 22 giugno la mostra "Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari" al Palazzo delle Esposizioni

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​COMUNICATO STAMPA

In arrivo a Roma dal 22 giugno la mostra "Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari" al Palazzo delle Esposizioni
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Roma, 8 giugno 2021 - Arriva a Roma dal 22 giugno a Palazzo delle Esposizioni la mostra Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari, promossa da Roma Culture, organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo e ideata dal Museo Tattile Statale Omero di Ancona, in collaborazione con la Fondazione Chiaravalle Montessori e l’Associazione Bruno Munari. Il senso del tatto e l’esperienza del bello sono stati duramente colpiti dalle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria. Accettando una sfida che può sembrare audace, dopo il grande successo al Museo Tattile Statale Omero di Ancona, nel centenario del Manifesto del tattilismo di Filippo T. Marinetti, la mostra, coordinata nell’edizione romana dal Laboratorio d’arte dell’Azienda Speciale Palaexpo, rimette al centro l’importanza del toccare e il suo valore estetico ed educativo.

Un’occasione per conoscere meglio due tra i più illustri protagonisti della cultura italiana moderna, riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo e per la prima volta insieme in un’esposizione, attraverso il pensiero e i materiali di Maria Montessori e i progetti e i lavori originali di Bruno Munari. Partiti da esperienze, formazioni e riflessioni differenti, trovano proprio nell’esperienza estetica tattile un possibile punto di incontro.
L’allestimento, ripensato per l’occasione da Fabio Fornasari, è costruito attorno a cinque nuclei tematici: le forme, i materiali, la pelle delle cose, alfabeti e narrazioni tattili, manipolare e interagire. Ogni sezione racconta il dialogo tra i due protagonisti attraverso oggetti, libri, strumenti esposti su tavoli appositamente ideati e disegnati, le cui forme sono in dialogo con le opere a parete. A conclusione del percorso l’ultimo tavolo-laboratorio permette ai visitatori di osservare, manipolare e sperimentare in sicurezza una selezione di opere e oggetti che approfondiranno, ogni mese, aspetti e collegamenti diversi.

Del poliedrico artista e designer Bruno Munari saranno esposte più di 30 opere originali e lavori editoriali, che testimoniano come tutto il suo lungo percorso creativo, a partire dagli anni
Quaranta del secolo scorso, sia stato sempre caratterizzato da una forte attenzione ai temi della multisensorialità – e della tattilità in particolare - e dall'impiego a livello artistico di una grande quantità e varietà di materiali naturali e industriali anche a fini pedagogici. Accanto alle macchine inutili e ai messaggi tattili, la scimmietta Zizì, originale giocattolo di design vincitore del prestigioso premio Compasso d’Oro e le dieci opere della serie positivo-negativo. Novità della tappa romana è il Libroletto (1993), realizzato con Marco Ferreri e composto da sei morbidi cuscini bordati di micro-storie.

Di Maria Montessori verranno presentati sia il modello educativo sia alcuni oggetti storici prestati per la prima volta dall'Opera Nazionale Montessori di Roma. Particolare attenzione verrà dedicata ai materiali di sviluppo studiati per l’educazione sensoriale e della mano, definita da lei stessa come l’organo dell'intelligenza. Dalle tavolette termiche alle lettere smerigliate, dagli incastri solidi alla torre rosa, fino alle tavole botaniche e alle spolette dei colori, per accompagnare i visitatori alla scoperta del mondo attraverso oggetti che parlano di geometria, geografia, musica, matematica costruendo allo stesso tempo bellezza.
Una mostra dinamica che guarda verso il futuro e la possibilità di poter tornare a vivere a pieno le esperienze tattili e multisensoriali con una nuova e più matura consapevolezza.
Il 21 giugno alle ore 17,00 la mostra sarà presentata in anteprima con una tavola rotonda on line in diretta streaming sui canali social del Palazzo delle Esposizioni per raccontarne la genesi e i due protagonisti.
A partire dall’autunno, se le norme anti - Covid 19 lo permetteranno, saranno organizzati laboratori didattici per le scuole e le famiglie, nonché workshop e giornate di formazione rivolti a docenti, educatori ed operatori museali secondo il metodo Bruno Munari e il modello montessoriano.
Il catalogo della mostra Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari è a cura di Corraini Edizioni.

Maria Montessori (1870-1952) è stata un'educatrice, pedagogista, filosofa, medico, neuropsichiatra infantile e scienziata italiana, internazionalmente nota per il metodo educativo che prende il suo nome, adottato in migliaia di scuole dell’infanzia, elementari, medie e superiori in tutto il mondo. Fu tra le prime donne a laurearsi in medicina in Italia.
Bruno Munari (1907-1998) è stato uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del '900. Ha sempre dedicato la propria attività creativa alla sperimentazione, con un'attenzione particolare al mondo dei bambini e dei loro giochi. Le sue creazioni nei campi della pittura, scultura, design, fotografia e didattica ne attraversano le diverse poetiche seguendo il filo della sua personalissima ricerca.

Scheda informativa

Titolo: Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari
Sede: Palazzo delle Esposizioni - PIANO ZERO – Via Milano 13 - Roma
Periodo: 22 giugno 2021 – 27 febbraio 2022
Promossa da: ROMA Culture (culture.roma.it) e Azienda Speciale Palaexpo
Ideata da: Museo Tattile Statale Omero, Comune di Ancona, in collaborazione con
Fondazione Chiaravalle Montessori, Associazione Bruno Munari Organizzata da: Azienda Speciale Palaexpo
Sponsor Tecnico: GonzagaArredi
Informazioni e orari: consulta il sito www.palazzoesposizioni.it
Ingresso: Gratuito

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7/6/2021

A Roma si inaugura la World Press Photo Exhibition 2021

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​di Enrico Esposito
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Il Padiglione 9 del Mattatoio si articola in un lungo corridoio che ai suoi lati presenta delle sporgenze rivolte verso latitudini diverse. Le sporgenze a loro volta si compongono di tre muri corrispondenti ad altrettanto spazi "privati" nel senso che possono godere di un raccoglimento personale. L'intera struttura trasmette in questo modo uno stato di profonda alienazione rispetto al mondo che si trova al di là della porta d'ingresso. Ma si tratta di un distacco necessario per potersi concentrare appieno sull'esperienza che si sta per intraprendere. Da venerdì 28 maggio infatti il Mattatoio del Testaccio ha accolto fino al 22 agosto prossimo il World Press Photo 2021, la prestigiosa mostra internazionale di fotogiornalismo ideata dalla Fondazione World Press Photo di Amsterdam. La World Press Photo Foundation, nata nel 1955, è un’istituzione internazionale indipendente per il fotogiornalismo senza fini di lucro, che premia ogni anno i migliori scatti e servizi fotografici eseguiti dai professionisti del settore. Una giuria indipendente di esperti internazionali ha selezionato 141 fotografie finaliste che sono andate a comporre l'esposizione promossa da ROMA Culture e Azienda Speciale Palaexpo e organizzata sempre da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con 10b Photography​.
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A partecipare all'edizione del WPP2021 sono stati ben 4.315 fotografi provenienti da 130 paesi: la giuria ha dovuto assolvere al compito ingrato di scegliere solo alcune tra 74.470 diapositive. I giurati hanno vissuto per primi i viaggi nelle profondità dell'animo umano, del mondo naturale e delle vite animali. Storie d'attualità, ritratti, ambiente, sportHanno attraversato proprio come fa lo spettatore racconti per volti, vuoti e spazi. Talvolta circoscritti all'interno di comunità, oppure tra le mura di case, o ancor di più tra le pieghe di una vicenda personale. Per esempio nel servizio realizzato da Alexey Vasilyev sulla Jacuzia, la regione orientale più estrema della Russia (1 premio categoria "Storie"), che attraverso il cinema contemporanea fa rivivere le sue antiche tradizioni popolari. 

​Lo scatto unico con il quale Oleg Ponomarev si è aggiudicato il primato nella sezione "Ritratti" mostra invece in posa Ivan, un uomo transgender accanto alla sua ragazza Maria a San Pietroburgo. Un bellissimo ritratto dietro il quale si nasconde la sofferenza enorme vissuta da Ivan e molte altre persone LGBTQ+  a causa della stigmatizzazione contro la sessualità non tradizionale. 
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Dalla Polonia arrivano invece due narrazioni non collegate tra loro, ma entrambe incentrate sull'infanzia e sulla giovinezza. Il primo reportage è opera della fotografa Karolina Jonderko, che indaga l'invenzione dei bambini "rinati", bambole super realistiche che spesso vanno a colmare il vuoto lasciato dalla perdita dei neonati. Natalia Kepesz invece focalizza la sua attenzione sui ragazzini che partecipano ai campi estivi militari (attivi sin dagli anni Venti) ricevendo un addestramento fisico e mentale.
Per quanto concerne la sezione "Ambiente" il reporter sloveno Ciril Jazbec realizza per National Geographic un servizio che testimonia la costruzione di coni di ghiaccio mozzafiato da parte comunità nella regione del Ladakh (India Settentrionale) per servirsi di ulteriori riserve d'acqua a fronte della siccità estiva. Aitor Garmendia sceglie come soggetto delle sue fotografie il maltrattamento dei maiali negli allevamenti della Spagna, uno dei quattro maggiori esportatori di carne suina al mondo.

All'interno della galleria del World Press Photo 2021 non manca l'approfondimento doveroso su temi di stretta attualità e risonanza su scala mondiale. La guerra israelo-palestinese viene esplorata da una prospettiva non comune nel lungo racconto "Habibi" di Antonio Faccilongo, premiato come  World Press Photo Story of the Year. Protagonista è l'amore vissuto e difeso tra le atrocità del conflitto e l'instabilità assoluta di un futuro. Il movimento "Black Lives Matter" viene invece reso da John Minchillo attraverso le sfumature più profonde della vicenda.  La pandemia da Coronavirus viene immortalata da angoli molteplici del pianeta, sottolineando l'impatto sociale, intimo, ambientale. L'immagine che resta scolpita nell'immediato fa appello alla speranza: Rosa Luzia Lunardi, di 85 anni, viene abbracciata dall'infermiera Adriana Silva da Costa Souza presso la casa di cura Viva Bem, San Paolo, Brasile, il 5 agosto 2020. "The First Embrace" è questo il titolo della fotografia di Mads Nissen  eletta come World Press Photo of the Year, manifesto dei temi portanti dell'intera rassegna(speranza, resilienza e cambiamento sociale). 
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Per maggiori informazioni: 
https://www.mattatoioroma.it/mostra/world-press-photo-exhibition-2021

Immagini tratte da foto dell'autore ad eccezione dell'immagine 1 fornita dall'Ufficio Stampa Palaexpo

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11/5/2021

La mostra di Francesco Nesi "Il mio piccolo principe" apre oggi al Lu.C.C.A.

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Comunicato stampa

FRANCESCO NESI
“IL MIO PICCOLO PRINCIPE. VIAGGIO INFINITO”
a cura di Maurizio Vanni e Filippo Lotti

Il racconto di Antoine de Saint-Exupéry fa da filo conduttore alle opere
dell'artista toscano che affronta il tema del viaggio sulle ali della fantasia
Lu.C.C.A. Lounge&Underground, 11 maggio – 6 giugno 2021
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I suoi personaggi sono in eterno movimento, spesso fluttuanti tra paesaggi reali che vengono rivisitati dal suo occhio aperto sul fantastico. Nella mostra personale di Francesco Nesi dal titolo “Il mio piccolo principe. Viaggio infinito”, a cura di Maurizio Vanni e Filippo Lotti, che sarà allestita nel Lu.C.C.A. Lounge & Underground dall'11 maggio al 6 giugno 2021 (ingresso libero), le composizioni dell'artista toscano prendono a prestito il racconto “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry per animarsi di nuove figure e affrontare il tema del viaggio, non solo fisico, ma anche interiore.

L'esposizione, realizzata in collaborazione con Fuori Luogo e patrocinata dal Comune di Lucca, ha come partner The Lands of Giacomo Puccini e come sponsor: MS Carrelli Elevatori, Pallets Bertini Group, Star Service Elaborazione Dati e S.d.e. - Shipment Delivery Express. L'inaugurazione alla presenza dell'artista si terrà sabato 15 maggio 2021 alle ore 17. Gli ingressi saranno contingentati.

“Nell'opacità della società in cui viviamo, basata su esteriorità e materialismo – scrive il co-curatore Maurizio Vanni –, il bambino che c'è dentro di noi, incontaminato ed innocente, che non ci ha mai lasciato, non aspetta altro che essere ridestato. Nesi, in quasi tutte le sue opere, ci prospetta un mondo libero, aperto e, almeno in apparenza, senza confini e barriere. Ne risultano composizioni dinamiche e imprevedibili, in cui forme e colori si fondono nel creare personaggi e cose definitivamente temporanee, concretamente instabili”. Il viaggio diventa quindi la vera risposta che apre nuove prospettive sulla nostra esistenza: non è solo uno spostamento fisico, ma soprattutto un'evoluzione dell'anima. “Spesso – prosegue Vanni – la paura di abbattere ogni sbarramento e allargare i nostri confini, minando le nostre certezze, non permette di andare oltre l'apparenza delle cose. Anche per Francesco Nesi, il viaggio è inteso come desiderio di aprire la mente ad altro: i suoi personaggi, il più delle volte, sono in movimento tra cielo e terra come se fossero protesi verso la dimensione della conoscenza. Il loro obiettivo non è quello di arrivare alla meta finale, ma attraverso il superamento degli ostacoli e dei pericoli quello di giungere a distinguere l'io umano dall'io sociale. In un viaggio ideale e infinito, l'essere dovrebbe sempre corrispondere all'apparire”.


“Basta un solo sguardo – sottolinea anche il co-curatore Filippo Lotti – per essere conquistati dall'universo di Nesi. È un mondo 'altro', il suo, rispetto alla quotidianità; eppure così riconducibile ad essa da non lasciare dubbi: è dell'esistenza umana che stiamo parlando. Per fortuna l'arte e la poesia ci vengono in aiuto: i colori e la composizione di Nesi infatti ci proiettano miracolosamente in un'atmosfera onirica e sorprendente; la vita terrena è trasfigurata e trasportata in un luogo non-luogo e in un tempo non-tempo, condizioni necessarie e auspicabili per chi ancora ha voglia di sognare…”. “Ne sarebbe davvero entusiasta Il Piccolo Principe – conclude Lotti –. Come lui, che ha viaggiato tra i pianeti per dare un senso alle tante domande, noi, adesso, in compagnia dei protagonisti nesiani, sorvoliamo la terra che ci mostra la condizione umana da una prospettiva privilegiata e che dall'alto ci sembra a tratti accessibile; la melodia infatti che 'filtra' dai dipinti ci accompagna in un volo leggero sul mondo reale, illuminati da una luce chiara carica di speranza: perché pochi di noi si ricordano di essere stati piccoli, e, tra quei pochi, ci sono sicuramente i veri artisti, quelli che non si rassegnano, quelli che vogliono estirpare i pericolosi baobab”.

Note biografiche di Francesco Nesi
Francesco Nesi è nato a San Casciano Val di Pesa (FI) nel 1952. Pittore autodidatta, il suo amore per l’arte lo ha spinto a dipingere sempre, e nel tempo la sua dedizione si è tradotta in un vero e proprio impegno, dove la passione ha preso spazio e tempo totale.
Il suo messaggio è chiaro e irrefrenabile: ogni sogno nel cassetto deve essere realizzato, per amore della nostra vita. Così questo sogno permea tutta la creazione pittorica di Nesi, la dimensione toscana è congeniale, le colline morbide arcobaleniche sono un humus essenziale. Da questo terreno così ben fecondato, nasce un albero fantastico da dove si diramano personaggi tra il trasognato e l’ironico, volanti e svolazzanti, colori vivaci e movimentati, colline e sogni. Non è solo la docile natura toscana che costituisce il background dell’artista, ma c’è insieme tutta la cultura che questa terra trasmette.
Nel 1985 riceve il Premio Bargellini con la susseguente mostra personale alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Nella stessa città, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, riceve il Premio per la pittura del Fiorino d’oro.
Nella penisola italiana molte città lo hanno ospitato con mostre collettive e personali: da Vigevano a Ferrara e poi Brescia, Parma, Lucca, Bari, Palazzo Barberini a Roma, solo per citarne alcune. Un più largo respiro lo porta a esporre sconfinando in Europa: in Germania, in Francia e negli Stati Uniti, esponendo per la prima volta oltre oceano all’Artexpo di New York nel 1997. Inizia poi una costante collaborazione con una galleria nella città di Carmel in California, e a Seattle.
Le sue opere sono sempre apprezzate per l’armonia del colore e la sapiente costruzione del paesaggio che accoglie le sue figure. Ad una prima lettura sembra di facile interpretazione, ma non lo è affatto. I suoi personaggi a volte sono interpreti di un sogno felice, ma a volte esprimono anche una ricerca ai tanti punti interrogativi della vita.
Nesi vive e lavora a Tavarnelle Val di Pesa (FI).

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MOSTRA “FRANCESCO NESI. IL MIO PICCOLO PRINCIPE. VIAGGIO INFINITO”
a cura di Maurizio Vanni e Filippo Lotti
Lu.C.C.A. Lounge&Underground
dall'11 maggio al 6 giugno 2021
orario mostra: da martedì a venerdì ore 14-18; sabato e domenica ore 10-18; lunedì chiuso.
Ingresso libero

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6/5/2021

Da venerdì 7 maggio il Museo delle Navi Antiche di Pisa riapre le porte al pubblico

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COMUNICATO STAMPA
Il Museo delle Navi Antiche di Pisa riapre le porte al pubblico, un weekend di visite guidate e appuntamenti per le famiglie

Venerdì 7 maggio la riapertura del più grande complesso museale di imbarcazioni antiche al mondo con ingressi contingentati e prenotazione obbligatoria

A partire da sabato 8 maggio al via “Tutti a bordo, salpiamo insieme!” l’iniziativa ludico-didattica prevista nei fine settimana con visite guidate e laboratori dedicati ai più piccoli
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Pisa, 5 maggio 2021 — Dopo lo stop imposto dalla chiusura dei luoghi di cultura dei mesi scorsi, il Museo delle Navi Antiche di Pisa riapre le porte al pubblico. Da venerdì 7 maggio il più grande complesso museale di imbarcazioni antiche al mondo propone un cartellone di visite e attività per famiglie, con ingressi contingentati e prenotazione obbligatoria.


Da venerdì 7 (dalle 15.30 alle 18.30) e per tutto il weekend (dalle 10.30 alle 18.30), l’esposizione delle sale degli Arsenali Medicei tornerà ad accogliere i visitatori, con ingressi contingentati, durante fasce orarie prestabilite (consultabili alla pagina https://www.navidipisa.it/informazioni/). Sono inoltre previste visite guidate in apertura straordinaria al raggiungimento del numero minimo di 10 prenotati, il martedì, il mercoledì e il giovedì, dalle 15.00 alle 18:00.

A partire da sabato 8 maggio alle 15.30, domenica 9 e per i fine settimana seguenti, prenderà il via il progetto dedicato alle famiglie “Tutti a bordo, salpiamo insieme!”, iniziativa ludico-didattica che prevede visite guidate tra le grandiose imbarcazioni perfettamente conservate e laboratori dedicati ai più piccoli, dai 6 ai 12 anni, in compagnia di archeologi esperti. Ogni settimana verrà proposto un laboratorio diverso. In programma l’8 e il 9 maggio l’attività “Trame antiche: Come e con che cosa tessevano gli antichi?”, un approfondimento su come nasce la tessitura, una delle grandi invenzioni del Neolitico, in cui verrà realizzato un tessuto con il telaio orizzontale come quello usato dai nostri antenati. A seguire il 15 e 16 maggio “Pisa etrusca: la scrittura”, un primo approccio alla scrittura di semplici nomi su frammenti ceramici, per imparare a conoscere l’alfabeto etrusco.

Gli incontri, a cui potranno partecipare un massimo di 7 bambini per turno, saranno realizzati con l’ausilio di kit di materiali individuali preventivamente sanificati e organizzati nel rispetto delle normative in materia di Covid-19.

La prenotazione è sempre obbligatoria, sia per l’ingresso che per le attività, dal lunedì al venerdì (9.30-17.30) allo 050 47029 o tramite email all’indirizzo prenotazioni@navidipisa.it, nel fine settimana al numero 050 8057880 (anche con messaggistica WhatsApp).
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​Il complesso delle Navi Antiche di Pisa è il più grande museo di imbarcazioni antiche esistente, con 4700 metri quadri di superficie espositiva raccoglie 800 reperti, esposti in 47 sezioni divise in 8 aree tematiche con sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro sostanzialmente integre. Inaugurata lo scorso 16 giugno dopo più di vent’anni di ricerca e restauro, l’area degli Arsenali Medicei accompagna i visitatori in un vero e proprio viaggio attraverso più di mille anni di storia della città di Pisa.

La concessione del museo è affidata a Cooperativa Archeologia, che ha seguito negli ultimi anni lo scavo archeologico e il restauro delle navi e dei reperti, sotto la direzione scientifica di Andrea Camilli, responsabile di progetto per la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Pisa e Livorno diretta da Esmeralda Valente. Il progetto di scavo e restauro delle antiche navi di Pisa rappresenta uno dei più interessanti e ricchi cantieri di scavo e ricerca degli ultimi anni. La particolare condizione di conservazione dei reperti racchiusi in strati di argilla e sabbie ha richiesto un considerevole sforzo economico, organizzativo e tecnologico, mettendo a disposizione della ricerca laboratori, depositi, strumentazioni all’avanguardia e logistica devoluti al recupero degli oltre trenta relitti individuati e dei materiali ad essi associati. Il cantiere delle Navi Antiche è quindi diventato un centro dotato di laboratori, depositi e strumentazione che ha visto la collaborazione di decine di istituzioni universitarie e di ricerca italiane e straniere.

Tutte le informazioni su www.navidipisa.it e sui social del progetto.

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4/5/2021

Flaming June, il capolavoro di Frederic Leighton

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di Marianna Carotenuto
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Flaming June è il dipinto più famoso e celebrato di Frederic Leighton, presidente della Royal Academy di Londra nonché una delle figure inglesi più importanti del mondo dell'arte durante la seconda metà del XIX secolo.
Nel 1895 Lord Leighton presentò Flaming June proprio alla Royal Academy insieme ad altre cinque opere, tra cui si ricorda Lachrymae, Twixt Hope and Fear, The Maid with the Golden Hair e Candida.
In quel periodo Leighton non avrebbe mai immaginato che Flaming June sarebbe stato uno dei suoi ultimi quadri, né che sarebbe diventato il suo capolavoro. 


A prima vista, osservando Flaming June, è ben visibile un groviglio di tessuto stropicciato di color arancione, che rimanda al sole caldo e luminoso di una tipica giornata di Giugno. Si sa, infatti, che la stagione preferita dai pittori dell’Estetismo era l’estate, quando la natura, illuminata dal sole, presentava colori accesi.
Nel dipinto di Leighton, i brillanti colori di impronta tizianesca, rivestono un corpo dall’emblematica anatomia michelangiolesca: Michelangelo utilizza questa posa di origini classiche nella scultura de La Notte che adorna la tomba Medicea nella Basilica di San Lorenzo a Firenze, di cui Leighton conservava nel suo studio diverse fotografie.
Come di consueto nella pittura vittoriana, venivano ritratte donne addormentate, assorte, morte o morenti come Ophelia di John Everett Millais, per la cui realizzazione l’artista fece immergere Lizzie Siddal, moglie dell’amico Dante Gabriel Rossetti, in una vasca da bagno riscaldata da candele.
Ma a differenza di Ophelia, con Flaming June ci troviamo davanti una giovane donna addormentata, avvolta nel suo abito arancione in un insieme di curve intrecciate, che guidano il nostro sguardo lungo tutta la composizione.


La donna che ha ispirato Flaming June è Dorothy Deene, amica e protetta di Leighton per diversi decenni.
Dietro di lei, si dispiega il Mar Mediterraneo che scintilla sotto gli ultimi raggi del sole; presumibilmente dipinto studiando i bozzetti ad olio a cui l’artista aveva lavorato durante i suoi precedenti viaggi.
Analizzando gli schizzi, a sinistra dell'orizzonte era ben evidente un'isola, che attualmente è solo debolmente visibile.


​È possibile che attraverso Flaming June , opera carica di bellezza ed erotismo, Leighton abbia voluto esplorare la connessione estetica tra il sonno e la morte, concetto che attraeva la maggior parte degli artisti vittoriani.
A suggerire questa associazione è l'oleandro posto nell’angolo della tela; fiore dai colori vivaci ma al contempo velenoso, spesso associato alla morte in varie poesie dell'epoca.
E’ anche questo mistero a rende tale dipinto così affascinante anche ai nostri giorni. Tuttavia, negli anni della prima guerra mondiale, Flaming June era visto come una reliquia del passato, incarnando un ideale estetico e dei valori che dovevano essere oramai superati.
Trent’anni dopo, Flaming June passò dall'essere considerato "Il più meraviglioso dipinto esistente" (Samuel Courtauld, 1876-1947), allo scomparire senza lasciare letteralmente traccia.
Riapparve nel 1962, nella vetrina del negozio di un corniciaio di Battesea, sulla quale si posò l’attenzione del musicista e compositore Andrew Lloyd Webber. Ma Lloyd Webber, allora era solo uno studente appassionato d’arte vittoriana e con l’ambizione di diventare un collezionista, per cui non possedeva le sterline necessarie per comprare il quadro e chiese un prestito a sua nonna. C’e da dire che quando riapparve nel mercato dell'arte, l'arte vittoriana era completamente fuori moda, pertanto la nonna, disinteressata, rifiutò così Lloyd Webber dovette rassegnarsi.
Flaming June fu riscoperto in una galleria londinese da Luis A. Ferré, fondatore del Museo de Arte de Ponce, sua città natale, che se ne innamorò a prima vista.
Il quadro è ancora conservato nel suo museo e da quell’isola del mar dei Caraibi, la sua fama ha continuato a crescere inesorabilmente. Fu ospitato in Europa l’ultima volta nel 2008 alla Tate Britain insieme ad un altra opera della collezione di Luis Ferré, The Sleep of Arthur in Avalon di Burne Jones.

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Immagini tratte da:
https://www.museoarteponce.org/

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23/3/2021

Giovanni Balderi: la scultura come poesia dell’anima

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di Ilaria Ceragioli
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Giovanni Balderi, Un dolce incontro, 2009.
Spesso la scultura è per il suo creatore motivo di evasione da una realtà complessa, talvolta travagliata e sofferente. Per lo scultore Giovanni Balderi è un’ àncora di salvezza, un porto sicuro nel quale approdare per placare stati emotivi avversi e celebrare istanti di quiete e di spensieratezza.
Balderi nasce nel 1970 a Seravezza, un piccolo comune della Toscana situato in prossimità delle Alpi Apuane, note in tutto il mondo per la presenza di cave dalle quali si estrae il prestigioso “Marmo di Carrara”. Il legame tra la sua terra natìa e questo prezioso materiale appare sin da subito pressoché innato e, per questo, destinato a durare in eterno.
La formazione artistica di Giovanni Balderi ha inizio nel 1984 con il maestro Ledo Tartarelli e nel 1990 si diploma presso l’Istituto Statale d’Arte “Stagio Stagi” di Pietrasanta, ottenendo ben due borse di studio.
La sua straordinaria maestria e la sua pulsante passione per l’attività scultorea lo portano a rivestire anche il ruolo di insegnante di scultura in Australia e in America. Queste esperienze saranno per lui e per i suoi allievi fonte di grande ricchezza professionale e umana.
Delicatezza, sinuosità ed eleganza sono le caratteristiche che immediatamente rapiscono lo sguardo di chi osserva i suoi lavori. I soggetti, spesso corpi di figure femminili somiglianti a vere e proprie veneri, esprimono la stessa sensibilità e le medesime emozioni con le quali l’artista si approccia alla materia.
Ne è un chiaro esempio In attesa (2017) opera che rientra all’interno di un ciclo di sculture non ancora concluso e ispirato al tema della Venere.
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Giovanni Balderi, In attesa, 2017.
Qui, l’artista va cercando l’ideale di bellezza, l’armonia della forma e l'intensità dell'esistenza. 
Il corpo della figura femminile che si sviluppa oltremodo in senso verticale, divenendo così un ponte che intende condurci altrove, è sapientemente ridotto all’essenziale; i seni sembrano assolvere il ruolo normalmente associato agli occhi, mentre l’ombelico diviene il nucleo intorno al quale tutto ruota e si origina.
Il lavoro di Balderi traduce e immortala un sentire fulmineo, talvolta, preceduto e accompagnato dalla scrittura su diari e fogli di carta di precordi pensieri e intime sensazioni. È così che le sue opere conferiscono solidità e concretezza ai suoi versi poetici. 
Nel descrivere la sua attività pertanto afferma:
Ogni blocco ha dentro di sé la tua anima,
la possiede,
la imprigiona,
la libera.
Puoi solo scriverla nel tuo tempo,
per farne un'eco, che se sostenuto dalle mani del mondo,
feconderà gli occhi che ancora non vedono,
che emozionerà cuori, che ancora non battono...
Puoi così sopravvivere,
nel cuore
e nell'Anima del mondo,
semplicemente danzando,
sopra una spiaggia di Marmo.
Balderi sostiene che nell’atto di scolpire niente viene tolto, al contrario, molto viene aggiunto, conferendo così senso e forma a quei volumi che dialogano e si armonizzano sapientemente con la materia stessa.
Di conseguenza, Il Bacio (2008) diventa l' emblema di un atto senza tempo, un istante intenso e fugace che racchiude l’ eternità di un momento irripetibile e per questo indimenticabile. 
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Giovanni Balderi, Il Bacio, 2008.
Il Bacio è un’opera legata a un amore passato, ormai svanito, che:
 accarezza e commuove nel suo dover abbandonare la bellezza, una bellezza che puoi solo
accarezzare e non trattenere
, che svanisce tra le mani come sabbia, come acqua e la puoi solo
respirare. Credo che la vita abbia senso e spiegazione nella natura, nel battito, nel respiro
che prendi e restituisci.
Decisamente raffinato e soave è Il Canto della Rosa (2014).
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Giovanni Balderi, Il Canto della Rosa, 2014.
Per lo scultore versiliese le rose rappresentano “il pretesto per andare altrove, una fase, un momento di passaggio osservato e raccontato con le mani”. 
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Giovanni Balderi, Rose Gemelle, 2012.
Dal blocco di marmo nasce anche Il sogno di una Sirena (2018), capolavoro eseguito per la Starbucks Reserve Roastery di Milano. 
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Giovanni Balderi, Il sogno di una Sirena (fronte), 2018.
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Giovanni Balderi, Il sogno di una Sirena (retro), 2018.
Balderi ideò una fascinosa sirena bicaudata immaginando che, in una placida notte, questa creatura leggendaria si fosse recata sulla spiaggia e abbandonata ai propri sogni. Per lo scultore toscano i sogni sono luoghi meravigliosi in cui trovare la giusta rotta e la stella polare da seguire per sopperire al banale e quotidiano vivere. Dunque:
La nostra Sirena ci esorta a trovare ciò che stiamo cercando
persino ciò che non abbiamo ancora immaginato.
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Giovanni Balderi, Il sogno di una Sirena (fronte), 2018, particolare.
I lavori di questo eccellente scultore appartengono attualmente a importanti collezioni private e pubbliche e sono state oggetto di numerose mostre personali e collettive. Degne di nota sono le esposizioni personali del 2010 presso il prestigioso Montgomery Museum of Fine Arts in Alabama; quella del 2013 intitolata “Dal labirinto dell’anima” allestita all’interno del Museo Etrusco Guarnacci di Volterra; e, la più recente, “L’eco del tempo” tenutasi nel 2017-2018 presso il Palazzo Tornabuoni di Firenze.
Balderi ha partecipato anche a svariate esposizioni collettive tra le quali segnalo: "Cleopatra: Da Michelangelo all'arte contemporanea" allestita nel 2003 a Baku in Azerbaijan; la “Biennale di scultura – Roma” tenutasi nel 2011 a Villa Torlonia; la “Biennale di Venezia (by Vittorio Sgarbi)” allestita nel 2012 a Torino presso il Palazzo delle Esposizioni; e per finire, l’ultima organizzata nel 2019 all’interno della Galleria Frilli a Milano in occasione del “Salone del Mobile”.
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Giovanni Balderi, Anima di pietra grida, 2008.
Dunque, le opere di Giovanni Balderi sono poesie dell’anima che diventano sculture, nonché manifestazioni di quell’appassionato respiro generato e alimentato da un dono fuori dall'ordinario capace di emozionarci e condurci verso un mondo che guarda con incanto e audacia ai desideri e alla speranza.
  
Immagini tratte da:
www.giovannib.it

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9/3/2021

Il mistero della Dama con liocorno di Raffaello

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di Marianna Carotenuto
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Un’aura di mistero avvolge la Dama con liocorno di Raffaello, un olio su tavola datato tra il 1505 e il 1506, corrispondenti agli anni del soggiorno fiorentino dell’artista, ed attualmente custodito nella Sala Didone della Galleria Borghese di Roma.

Il dipinto ritrae una giovane donna dai capelli biondi e gli occhi azzurri, che seduta col busto ruotato di tre quarti verso sinistra, ha sul grembo un piccolo liocorno. Due colonne ne incorniciano la sua figura, mentre alle spalle si intravede un paesaggio con alberi e colline, attraversato, sembrerebbe, da un lago; le tinte fredde della natura creano così un contrasto con le tonalità calde della sua pelle, dei gioielli e dell’abito che indossa.

Il mistero aleggia sull’identità della donna.

Chi è la dama con il liocorno?

La giovane effigiata è sicuramente una fanciulla fiorentina, come si evince dal prezioso abito alla moda dei primi anni del Cinquecento, la gamurra , con le maniche di velluto rosso e il corpetto dall’ampia scollatura fatto di seta marezzata .
I lunghi capelli biondi sono raccolti sul retro, mentre sulla testa si intravede un piccolo diadema. La ragazza volge i suoi occhi azzurri verso l'esterno e guarda in una direzione che non sembra essere quella dello spettatore.
Al collo ha una collana d’oro che si annoda per poi finire con un pesante pendente sul quale sono incastonati un piccolo smeraldo, un grosso rubino e una goccia a perla.
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Ortolani mise a confronto questo dipinto con un disegno conservato al Louvre, vedendo nella donna ritratta, Maddalena Strozzi, moglie di Agnolo Doni. La posa, i gioielli della donna ma anche l’eleganza dell’abito e la presenza del liocorno potrebbero rimandare alle nozze tra i due.

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In realtà non conosciamo con certezza chi sia stato a commissionare l’opera, non avendo notizie documentarie certe.
E’ probabile che si tratti di un dono di nozze. Lo suggeriscono alcuni dettagli, in particolare il rubino e lo zaffiro applicati sul pendente, che alludono alle virtù coniugali e al candore virginale della sposa. La perla inoltre è simbolo dell’amore spirituale e della femminilità creatrice e il nodo della collana stesa è un chiaro riferimento al vincolo matrimoniale.
Allo stesso modo è stata interpretata la presenza del piccolo unicorno sul suo grembo. Si tratta di un animale fantastico che nella letteratura medievale simboleggiava la castità. La leggenda narra che, l’unicorno, alla vista di una fanciulla vergine, corresse verso di lei per adagiarle il capo sul seno e addormentarsi tranquillo.
La posa della Dama con liocorno, ma anche il suo sguardo e il modo in cui stringe l'animale, farebbero intravedere somiglianze con la Dama con l’ermellino di Leonardo a cui potrebbe essersi ispirato Raffaello. Avvalora questa tesi anche lo schema compositivo del ritratto che ricorda quello della Gioconda.
Il mistero circa l’identità della dama ritratta non è ancora stato svelato.

Dietro il dipinto si celerebbero ben quattro fasi pittoriche.
Inizialmente sarebbe stato eseguito il ritratto di una donna fiorentina con alle spalle una finestra spalancata su un paesaggio. Non vi era traccia delle mani e delle maniche della veste e ciò ha fatto supporre l’incompletezza del lavoro.
Successivamente un secondo artista avrebbe completato il dipinto aggiungendo anche un piccolo cane, simbolo di fedeltà coniugale e delle due colonne ai lati della finestra.
Solo in una terza fase sopra il cane sarebbe stato dipinto il liocorno, e nell’ultima fase, il ritratto della nobildonna fiorentina si sarebbe trasformato nella rappresentazione di Santa Caterina di Alessandria.
Prima del restauro del 1935 quindi l'opera rappresentava la donna con la palma e la ruota dentata, attributi della Santa.

Il dipinto ebbe nel tempo diverse attribuzioni. Furono Cantalamessa e poi Longhi a ribadirne l’attribuzione raffaellesca.
Longhi inoltre riteneva che l’autore delle aggiunte fosse stato il pittore fiorentino Giovanni Antonio Sogliani, che avrebbe ridipinto le mani, il mantello, le maniche del vestito aggiungendo la ruota dentata del martirio. Questi particolari, che hanno caratterizzato il dipinto sino al 1935, sono stati poi eliminati in seguito ad un intervento di restauro. Della Pergola invece collegò il dipinto dell’inventario Aldobrandini con Raffaello. La Dama col liocorno compare negli inventari settecenteschi, e talvolta è confusa con la Santa Caterina della National Gallery di Londra, datata 1508, realizzata sempre da Raffaello.
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Immagini tratte da:
www.galleriaborghese.beniculturali.it
www.arte.it
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2/3/2021

Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600

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di Olga Caetani
A Milano, nella suggestiva cornice di Palazzo Reale, in Piazza Duomo, sarà prossimamente inaugurata la straordinaria mostra Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, curata da Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié, e realizzata da Arthemisia, con il sostegno della Fondazione Bracco. Un’esposizione unica e di stringente necessità, per far luce sui nomi, più o meno oscuri, delle numerosissime donne che hanno dominato il panorama artistico a cavallo di due secoli tanto difficili quanto affascinanti, imprimendovi il loro inconfondibile e raffinatissimo tocco femminile.
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Fede Galizia, Giuditta con la testa di Oloferne, 1596
Nel rispetto delle attuali norme di contenimento dell’emergenza sanitaria in corso, l’apertura al pubblico della mostra è stata posticipata a data da destinarsi, ma è possibile pregustarne un’esaustiva anticipazione grazie al virtual tour in diretta guidato dall’esperto d’arte Sergio Gaddi. Passeggiando virtualmente tra le sale della mostra, che si succedono secondo un allestimento chiaro, sintetico e, al tempo stesso, elegante, sembra di rileggere i capitoli iniziali del libricino Quando anche le donne si misero a dipingere, che Lucia Lopresti, in arte Anna Banti, scrisse nel 1982, rivisto e ampliato con tesi e nomi inediti, attraverso le oltre 130 opere esposte, di mano di ben 34 pittrici, con l’incursione di una ancor più rara scultrice cinquecentesca, Properzia de’ Rossi, e dell’unica architetta del Seicento, Plautilla Bricci. Molto efficace la scelta di collocare i dipinti di Artemisia Gentileschi, la più nota ed eroica di tutte le donne, al termine del percorso, organizzato in cinque sezioni tematiche che valicano i confini dell’ordinamento cronologico. Sofonisba Anguissola, prima, in termini di modernità e celebrità, fra le artiste citate da Vasari nelle Vite, introduce a pieno titolo le donne nell’arte, incarnando nella sua persona i dettami di Baldassar Castiglione, il quale, nell’opera Il Cortegiano, raccomanda che anche alle donne sia fornita un’educazione intellettuale, cosicché diventino parte attiva della società. ​
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Sofonisba Anguissola, Le sorelle Lucia, Minerva ed Europa giocano a scacchi, 1555
Fondamentale in proposito il contributo dato alla pittura dalle nobildonne come Irene di Spilimbergo, Lucrezia Quistelli della Mirandola, Claudia Del Bufalo, cresciute in una condizione privilegiata tale da favorirne il precoce approccio alla tavolozza e ai pennelli, preceduto dal ricamo, considerato propedeutico alla pittura stessa e seme dell’attenzione maturata per la riproduzione su tela di seta, organza, taffetà, oltre a gioielli e ornamenti preziosi. Determinante l’attività artistica delle donne vissute nell’ombra e nella clausura dei conventi femminili, le cui opere sono investite di sensibilità e spiritualità altissime. Vale per tutte l’esempio della fiorentina suor Plautilla Nelli, protagonista, nel 2017, di una mostra agli Uffizi a lei interamente dedicata. Affascinante, poi, il ruolo spesso autonomo e indipendente assunto dalle donne all’interno delle botteghe artistiche paterne, tale da superare in bravura, notorietà e bellezza le opere dei padri e dei fratelli pittori. Al cantiere bolognese, si attribuisce un primato nel campo delle presenze femminili in pittura, dato che la “Felsina pittrice” ha dato i natali a personalità di spicco: Lavinia Fontana, Ginevra Cantofoli, Elisabetta Sirani, i cui dipinti sono stati spesso erroneamente confusi e attribuiti a più celebri e consuete mani maschili, e che la mostra finalmente restituisce alle legittime autrici.
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Lavinia Fontana, Autoritratto nello studio, 1579
Ritratti di famiglia, trionfi floreali, nature morte, ma anche aulici soggetti religiosi, mitologici e allegorici, reinterpretati in chiave personale e, a tratti, “femminista”, sono i temi e i generi maggiormente frequentati dalle pittrici, al pari dei colleghi uomini, dai quali otterranno il dovuto riconoscimento quando saranno ammesse all’Accademia di San Luca nel corso del Seicento.
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Artemisia Gentileschi, Suicidio di Cleopatra, 1620, particolare

Il prossimo appuntamento per visitare l’imperdibile mostra virtuale è domenica 7 marzo alle ore 18:00. Per informazioni e prenotazioni: https://www.lesignoredellarte.it/art-live/
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Immagini tratte da:
  • wikipedia.org

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16/2/2021

“De Chirico e la Metafisica” a Palazzo Blu: uno straordinario viaggio nel mondo dell’artista

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di Ilaria Ceragioli
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Lo scorso 20 gennaio, il Palazzo Blu di Pisa ha riaperto nuovamente le sue porte presentando una mostra molto attesa dal pubblico: “De Chirico e la Metafisica”, curata da Lorenzo Canova e Saretto Cincinelli.
La mostra ospita i capolavori assoluti dell’artista e attraverso più di 80 opere e altre 20 di confronto, intende ripercorrere le varie fasi della carriera di De Chirico, più precisamente dal 1909 al 1975.
Il percorso espositivo comincia con la presentazione di una serie di bellissimi autoritratti, attraverso i quali l’artista gioca con la sua stessa immagine. Si raffigura seminudo, abbigliato alla maniera seicentesca oppure nel suo studio mentre è impegnato a dipingere. Tra questi, ad esempio, potrete ammirare Autoritratto nello studio di Parigi.
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De Chirico si ritrae qui in piedi dinanzi ad una tela, con una tavolozza nella mano sinistra e il pennello nella mano destra. Il suo sguardo è però volto verso lo spettatore, mentre una testa in marmo adagiata sul pavimento, seppur posta frontalmente all’osservatore, guarda incuriosita la tela su cui l’artista sta dipingendo una figura femminile. L’opera vuole essere anche un omaggio nei confronti dei grandi maestri del passato. Di fatto, Giorgio De Chirico nutrì un amore particolarmente sincero e fedele, talvolta nostalgico, nei confronti di quel passato glorioso che rese celebre la sua terra natìa, la Grecia.
Proseguendo la visita ci addentriamo, invece, nell’infanzia dell’artista e nei suoi esordi in veste di pittore. Nella presente sala si ammira così un ritratto a mezzo busto della madre Gemma, donna seriosa, composta, dallo sguardo assorto e intimamente malinconico. La donna indossa un abito di colore scuro, probabilmente a ricalcare la sua condizione di vedova. 
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Successivamente, approdiamo nella prima fase metafisica dell’artista. Questa sala accoglie il visitatore attraverso una serie di celebri tele, tra cui Ettore e Andromaca e Le muse inquietanti.
In Ettore e Andromaca Giorgio De Chirico reinterpreta un episodio epico di grande pathos: si tratta dell’ultimo abbraccio tra i due protagonisti. Tuttavia, l’artista non li rappresenta in forma umana, ma come due manichini, privi di braccia e di tratti somatici. Il manichino è un soggetto utilizzato frequentemente da De Chirico come emblema di un uomo trasformatosi in automa e, dunque, come simbolo di un individuo che ha ormai perso la sua centralità. Nonostante la mancanza di elementi propriamente umani, però, Ettore e Andromaca riescono ad esprimere con estrema intensità quel senso di rassegnazione e di angoscia che prelude l’ingrato e crudele destino che attende i due sposi. Infatti, nel duello contro Achille, Ettore troverà la morte.
Ne Le muse inquietanti osserviamo che le muse sono divenute delle statue classiche dalla testa di manichino, collocate in una piazza deserta, priva di presenze umane e dove il tempo sembra sospeso. Sullo sfondo invece notiamo un castello, più precisamente il Castello Estense di Ferrara. De Chirico definì Ferrara come una città “quantomai metafisica”; non a caso, è proprio qui che nacque ufficialmente l’Arte Metafisica. Nella scena dominano però il silenzio e l’immobilità del tempo. Così, trova manifestazione un forte senso di inquietudine e di solitudine e tutto sembra essere il risultato di uno strano sogno.
Negli anni’20 del Novecento, De Chirico si trova a Parigi dove darà vita alla seconda stagione metafisica. A questa fase appartengono, ad esempio, Gli Archeologi.
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La tela è occupata interamente da due figure gigantesche le quali mostrano attributi parzialmente antropomorfi, abbandonando così l’aspetto di manichino. Al loro interno sono conservate memorie dell’antica civiltà che li ha preceduti. Giorgio De Chirico intende quindi celebrare il ruolo assunto dagli archeologi, ossia quello di custodi della nostra storia e, dunque, della nostra identità.
Successivamente, la ricerca artistica di De Chirico comincia a incentrarsi sulla rappresentazione di quella che, ricordando la denominazione inglese “Still life” o quella tedesca “Still leben”, lui stesso preferiva chiamare “vita silente”: la natura morta.
In questa sezione della mostra potrete così ammirare, tra le altre, Natura morta con Pesci e Frutta con tempio.
Negli anni ’60 l’artista torna a rielaborare soggetti a lui molto cari, per esempio i manichini. Tale periodo è noto come “Neometafisica”. Un esempio particolarmente rappresentativo e significativo è Orfeo trovatore stanco, una delle tele di maggiori dimensioni esposte alla mostra. 
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In questo splendido viaggio nel complesso e affascinante mondo di Giorgio De Chirico il visitatore è accompagnato e introdotto all’interno delle sale anche attraverso una serie di citazioni dell’artista stesso, tradotte anche in lingua inglese. Una di queste, che riporto a conclusione dell’articolo, ricorda il grande valore che De Chirico attribuiva alla filosofia di Schopenhauer e di Nietzsche:
 
L’arte fu liberata dai filosofi e dai poeti moderni. Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non-senso potesse venir trasmutato in arte, anzi dovesse costituire l’intimo scheletro di un’arte veramente nuova, libera e profonda.
 
Immagini tratte da:

Da fig. 1 a fig. 8: Foto dell’autrice
Fig. 9: www.palazzoblu.it 

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9/2/2021

Dal 9 febbraio 2021 la grande mostra “Pompei 79 d.C. Una storia romana” al Colosseo

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Comunicato stampa
Parco Archeologico del Colosseo
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Pompei 79 d.C. Una storia romana è la grande mostra che dal 9 febbraio  accoglierà tutto il pubblico al secondo ordine del Colosseo.
Una storia mai tentata prima del lungo rapporto tra Roma e Pompei, che prova a restituire in maniera compiuta il complesso dialogo che lega le due realtà più famose dell’archeologia italiana, dalla Seconda guerra sannitica (fine del IV sec. a.C.) all’eruzione del 79 d.C. Un racconto dall’alto valore scientifico, basato sulla ricostruzione delle relazioni sociali e culturali rintracciabili in particolare attraverso la ricerca archeologica.
La mostra, curata nel progetto di allestimento e nella grafica da Maurizio di Puolo, è promossa dal Parco archeologico del Colosseo con l’organizzazione di Electa e si è avvalsa della collaborazione scientifica del Parco archeologico di Pompei e del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. 
L’esposizione è stata ideata e curata da Mario Torelli, il grande archeologo recentemente scomparso. La mostra vuole essere anche l’occasione per ricordare la sua lunga attività di studioso del mondo antico a tutto campo, intellettuale impegnato e padre fondatore della nuova scuola archeologica italiana.
La mostra, con i suoi quasi 100 reperti, arricchita da video e proiezioni virtuali, è suddivisa in tre grandi sezioni – la fase dell’alleanza, la fase della colonia romana, il declino e la fine –, intervallate da intermezzi dedicati a due momenti cruciali che hanno segnato la lunga storia di Pompei: l’assedio romano dell’89 a.C. e il terremoto del 62 d.C., fino all’evento distruttivo del 79 d.C. che segna l’oblio del centro vesuviano mentre Roma si avvia a divenire una metropoli senza precedenti.

Informazioni
Dal 9 febbraio al 9 maggio 2021
Pompei 79 d.C. Una storia romana
Roma, Colosseo
La mostra è visitabile al II ordine del Colosseo il biglietto: 24h – Colosseo, Foro Romano, Palatino.

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2/2/2021

Grow: Light design, scienza e sostenibilità

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di Marianna Carotenuto
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​“GROW è il paesaggio da sogno che mostra la bellezza della luce e della sostenibilità. Non come utopia, ma come sistema che migliora passo dopo passo” (Daan Roosegaarde)
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Si chiama Grow l’installazione che Daan Roosegaarde ha realizzato per dar luce all’agricoltura: bagliori di luce blu e rossi che si diffondono come fluide onde su campo di porri di 20.000 mq, dando vita ad un paesaggio suggestivo.
Grow è parte del programma “artist-in-residence” sostenuto dalla Rabobank, una banca cooperativa olandese il cui interesse non è solo rivolto ai business internazionali, ma sopratutto alle attività rurali, agricole e alimentari. Wiebe Draijer, presidente del consiglio di amministrazione di Rabobank dichiara «È davvero di grande ispirazione lavorare con artisti come Daan Roosegaarde su come far crescere meglio il mondo insieme».

In effetti, Roosegaarde ha dato vita ad un’opera visionaria ed allo stesso tempo celebrativa della sostenibilità dell’agricoltura, puntando tutto sulle nuove tecnologie ottiche nel mondo delle colture, lavorando per ben due anni, con il suo team di designer ed esperti, a stretto contatto con la Wageningen University & Research, il Springtij Forum e il World Economic Forum di Davos.

Il progetto artistico risulta essere supportato da una vera e propria ricerca scientifica, non è casuale l’uso delle luci a led rosse e blu che si alzano e si abbassano come onde che accarezzano le foglie. Questi giochi di luce si ispirano alle tecniche più avanzate di fotobiologia. Il Prof. Wargent, a capo dell’ufficio scientifico di BioLumic, leader mondiale di fotobiologia floristica, afferma infatti che un mix di luci rosse, blu e ultraviolette riesce a favorire la crescita e la resistenza delle piante ed abbattere l’uso dei pesticidi fino al 50%.
C’è da aggiungere che, poiché i led sono alimentati dal sole, il lightshow è più sostenibile dei normali aiuti alla crescita. L’illuminazione di precisione è focalizzata orizzontalmente in modo da evitare l’inquinamento luminoso, inoltre l’opera estende la luce del sole dopo il tramonto per alcune ore, fondendo tecnologia e natura in un paesaggio incantato.

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Grow mette in luce l’importanza dell’innovazione nel sistema agricolo e suggerisce una svolta sostenibile attraverso l’ausilio di una progettazione avanzata dell’illuminazione. L’obiettivo dell’artista olandese è di portare il suo progetto in 40 paesi diversi, fornendo a ogni azienda locale e alle sue coltivazioni la loro “ricetta di luce”.


Chi è Daan Roosegaarde?

« Artista e innovatore olandese; pensatore creativo e creatore di progetti sociali che esplorano la relazione tra persone, tecnologia e spazio. Fin dalla tenera età, è stato guidato dai doni della natura come lucciole luminose o meduse. Il fascino per la natura e la tecnologia si riflette in opere iconiche come SMOG FREE PROJECT (il più grande purificatore d'aria all'aperto, che trasforma lo smog in gioielli), VAN GOGH PATH (una pista ciclabile che si illumina di notte) e SPACE WASTE LAB per visualizzare e catturare spreco di spazio. Ha studiato belle arti; laureato al Berlage Institute, Rotterdam, con un Master in Architettura. Ha fondato lo Studio Roosegaarde nel 2007; lavora con un team di designer e ingegneri per un futuro migliore negli studi di Rotterdam e Shanghai. » World Economic Forum.​


Fonti e immagini:
www.studioroosegaarde.net

www.lifegate.it
www.exibart.com
www.weforum.org​

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26/1/2021

L’attesa è finita! Il “Lucca Center of Contemporary Art” ha riaperto al pubblico.

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di Ilaria Ceragioli
A seguito delle disposizioni previste dall’ultimo DPCM, il Lucca Center of Contemporary Art (Lu.C.C.A) ha aperto nuovamente le sue porte presentando un programma molto ricco e variegato. Sono ben due le mostre allestite presso il Palazzo Boccella, sede per l’appunto del museo di arte moderna e contemporanea della città di Lucca. 
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Lucca Center of Contemporary Art, Palazzo Boccella
Le due esposizioni, “Le Scapate. God save me!” e “La realtà svelata. Il Surrealismo e la Metafisica del sogno”, sono state rispettivamente curate da Maurizio Vanni, Elisabetta Rizzuto e da Silvia Guastalla.
“Le Scapate. God save me!” è il titolo del progetto ideato da Elisabetta Santanni, artista toscana classe 1964. Eleonora Santanni manifesta sin da piccola una creatività particolarmente spiccata che la porterà all’elaborazione di un percorso artistico eterogeneo ed eclettico. Sculture in materiale plastico, opere grafiche digitali e installazioni vanno a creare un linguaggio figurativo caratterizzato da evidenti rimandi alla Pop Art, all’Arte Primitiva, alla Street Art, alla pubblicità e anche alla moda.
La presente mostra prende vita da una dolorosa esperienza autobiografica: il cancro. Tale malattia, che ha privato per sempre l’artista di una parte del proprio corpo recandole molte sofferenze e spunti di riflessione, l’ha condotta a focalizzare la sua produzione artistica su figure femminili, le “Scapate”, nonché eroine che mostrando con fierezza le proprie ferite ci invitano a superare non solo i nostri timori e le nostre insicurezze, ma anche quell’insana e insensata ricerca di canoni estetici ideali, lontani dunque dalla dimensione del reale.
È la stessa Eleonora Santanni a parlarcene in una video-intervista che potrete vedere recandovi alla mostra.
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Le Scapate
Il messaggio risulta immediatamente chiaro: aspirare a una nuova femminilità al fine di giungere a una nuova consapevolezza legata al proprio corpo.
Così facendo Eleonora Santanni concepisce un nuovo concetto di “Venere Contemporanea”, più viscerale e umano.
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Eleonora Santanni, Venere senza SE- e senza MA-, 2019
Anche la Regina Elisabetta II diventa un’icona pop “scapata” in quanto incarna il pensiero di coloro che ritengono centrale il ruolo della donna all’interno della nostra società.
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Eleonora Santanni, God save me, 2020
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Eleonora Santanni, Incoronata, 2019
L’espressione “God save the Queen” si trasforma ironicamente in “God save me!”. Con questa rivisitazione Eleonora Santanni intende esprimere quel bisogno di rinascita che permetterà alle donne e, più in generale all’umanità intera, di vincere quelle sfide che la vita e gli eventi storici vi pongono dinanzi.
La suddetta esposizione sarà visitabile sino al 29 gennaio, dunque affrettatevi a prenotare e non lasciatevela scappare!
Però, prima di passare alla presentazione dell’altra mostra menzionata all’inizio dell’articolo, ci tengo a segnalarvi un’appassionante curiosità: come avrete osservato già nella fig. 2, in uno degli ambienti in cui si sviluppa il progetto di Eleonora Santanni, è possibile ammirare, su alcuni pilastri, tracce di affreschi risalenti al XVI secolo raffiguranti Bacco, Cerere, Sileno e altrettante figure in abiti dell’epoca!
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Figure allegoriche affrescate, XVI secolo
Al primo e secondo piano di Palazzo Boccella è, invece, allestita la mostra “La realtà svelata. Il Surrealismo e la Metafisica del sogno”, prorogata sino al 6 giugno.
L’esposizione consta di 56 opere tra cui incisioni, acqueforti, puntesecche e litografie realizzate dai più celebri artisti surrealisti e metafisici. 
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Giorgio De Chirico, L’enigma del ritorno, 1966
René Magritte, Salvador Dalì, Joan Mirò, André Masson e Giorgio De Chirico sono soltanto alcuni dei protagonisti di questa interessante rassegna d’arte.
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René Magritte, L’homme au chapeau melon, 1967-1968
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Joan Mirò, Mirò sculpteur Italy, 1974
Sogno, enigma, inconscio, follia, provocazione e irrazionalità sono dunque gli elementi peculiari di questo affascinante e suggestivo viaggio tra Surrealismo e Metafisica.
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Salvador Dalì, Il grande masturbatore, 1984
La mostra intende esplicitare lo scopo di queste avanguardie artistiche, ossia il desiderio di liberare l’uomo da quelle convinzioni e da quei limiti che lo allontanano dall’essenza della vita e delle cose. Da qui, anche evidenti riferimenti agli studi di Sigmund Freud e Carl Gustave Jung. Emerge quindi prepotentemente il misterioso e contraddittorio mondo associato ai complessi meccanismi che governano la psiche umana.
Il Lucca Center of Contemporary Art (Lu.C.C.A) ha riaperto i battenti con altre numerose novità e attività, a cominciare dall’aggiornamento dei giorni e degli orari di visita (validi fino al 5 marzo): da lunedì a venerdì, dalle 14:00 alle 20:00. Si passa poi a un ricco calendario di eventi tra i quali suggerisco le seguenti esposizioni personali: l’“Automatismo psicologico” di Adriano Venturelli (1° febbraio -5 marzo) e “Il mio piccolo principe. Un viaggio infinito” di Francesco Nesi (8 marzo-9 aprile).
Inoltre, tutti i venerdì alle ore 17:00, sarà a vostra disposizione un servizio di visite per piccoli gruppi e famiglie, mentre una volta al mese si terranno le “Special Family” grazie alle quali ogni nucleo familiare potrà accedere alle visite guidate pagando soltanto 7 euro (non verrà quindi applicato il costo aggiuntivo relativo alla mostra!). Ci saranno visite guidate gratuite indirizzate anche agli adolescenti e dal 2 al 19 febbraio, ci sarà anche la possibilità di vedere dal vivo le creazioni in stoffa del Laboratorio riabilitativo di salute mentale “Il Filo Magico”. Infine, verranno organizzati webinar e dirette Facebook volte alla sostenibilità e all’attenzione per l’ambiente in collaborazione con Greenaccord Onlus.
Detto ciò, non vi resta che prendere nota degli eventi che più vi incuriosiscono continuando a seguire il museo sulle sue piattaforme social (facebook e instagram) e visitando il loro sito internet (www.luccamuseum.org) per rimanere costantemente aggiornati.
 
 
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Immagini dell’autore

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12/1/2021

Luciano Ventrone: il “Caravaggio del XX secolo”

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di Ilaria Ceragioli

​Fu lo storico dell’arte Federico Zeri che con sentito entusiasmo suggerì al pittore Luciano Ventrone di dedicarsi alla rappresentazione di nature morte, per poi definirlo il “Caravaggio del XX secolo”. In effetti, nelle sue tele è evidente il richiamo a Caravaggio, in particolar modo per il ruolo assunto dalla luce. Una fonte luminosa che però diviene qui artificiale, non più naturale.

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Luciano Ventrone, L’enigma del tempo, olio su tela di lino, 2009-2010.

Luciano Ventrone nasce a Roma nel 1942 e a soli cinque anni viene ospitato in Danimarca (era il 1948 quando, in questa fase post-bellica, alcune famiglie danesi solevano accogliere nelle loro abitazioni bambini provenienti dall’Italia) da Metha Petersen. Sarà proprio lei a donare a Ventrone una scatola di colori, alimentando in lui la vocazione per l’arte.
Nel 1960 frequenta il Liceo Artistico di Roma e, successivamente, si iscrive alla Facoltà di Architettura. In seguito, però, si dedicherà totalmente alla pittura.
Per l’artista romano la pittura non è soltanto pura rappresentazione dell’oggetto, ma anche e soprattutto colore e luce, due elementi che dialogando magistralmente tra loro sono in grado di plasmare la forma nello spazio. ​

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Luciano Ventrone, L’udienza, olio su tela di lino, 2002.

Invece, la fotografia è per Ventrone un punto di partenza. Mediante l’atto pittorico l’artista avvia poi una sorta di indagine scientifica che gli consente di condurre abilmente il soggetto a una particolare astrazione. Quest’ultimo, perdendo materia si rivela trovando la sua ragion d’essere attraverso un sapiente e strabiliante gioco di luci. ​

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Luciano Ventrone, Dorate trasparenze, olio su tela di lino, 2010.

Infatti, quando ci troviamo davanti ai quadri di Luciano Ventrone è pressoché inevitabile rimanerne totalmente affascinati e, al tempo stesso, meravigliati. Ciascuna tela reca, tra l’altro, titoli che non si ricollegano immediatamente ai soggetti raffigurati. ​

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Luciano Ventrone, Una curiosità improvvisa, olio su tela di lino, 2007.

​Gli elementi naturalistici ritratti vengono inseriti dal pittore in un contesto metafisico che lo porta a sperimentare i limiti del vero. Così, Ventrone ricerca i caratteri più profondi e intimi della natura (esemplificata da fiori, frutta e verdura) e della sua caducità. Attraverso una minuziosa e accurata resa dei dettagli, l’artista diviene quindi capace di cogliere quegli aspetti del reale che normalmente sfuggono anche allo spettatore più arguto.

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Luciano Ventrone, L’oracolo, olio su tela di lino, 2011.

​La sua pittura è carica di concezioni filosofiche che nascono dalla consapevolezza che l’uomo non sia in grado di conoscere la verità delle cose, ma riesca comunque ad individuare le idee prime di ciò che osserva. Lo scopo primario dell’artista è, quindi, quello di esplorare il mistero della presenza delle cose.
Molti dei suoi capolavori sono stati esposti nei più importanti musei e gallerie d’Italia (per es. a Roma e a Milano) e di metropoli estere come Londra, New York, Singapore e Mosca, per citarne soltanto alcune.
Attualmente, Luciano Ventrone è meritatamente riconosciuto come uno dei più eccellenti artisti viventi dell’arte figurativa italiana.
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Per saperne di più visitate il sito ufficiale dell’artista: www.lucianoventrone.com


Immagini tratte da:
www.ad-italia.it
www.mcarte.altervista.org
www.lucianoventrone.com
www.pinterest.it
www.mcarte.altervista.org

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15/12/2020

L’arte di Fabrizio Dusi: esigenza di comunicazione e di solidarietà

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di Ilaria Ceragioli
Fabrizio Dusi nasce a Sondrio nel 1974, ma vive e lavora a Milano dove dal 2005 possiede un personale laboratorio artistico. Inizialmente comincia la sua attività nelle vesti di grafico per poi frequentare un corso di ceramica presso la scuola Cova di Milano.
Sorprendente è la sua capacità di sperimentare e contaminare tecniche e materiali tra loro differenti quali la ceramica, la pittura, il legno, il plexiglas e il neon. Ne è un chiaro esempio la sua Basta blablabla, un’installazione elaborata nel 2012 attraverso l’utilizzo della ceramica smaltata e del legno.
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Fabrizio Dusi, Basta blablabla, 2012.
Fabrizio Dusi si definisce in primis un artigiano in quanto per la realizzazione delle sue opere è necessaria una certa abilità tecnica. Al contempo, però, incarna perfettamente anche la figura di artista poiché nei suoi lavori esprime con originalità e immediatezza contenuti molto profondi, idee e concezioni sull’uomo e sulla società attuale.
Ciò si percepisce chiaramente dai soggetti delle sue creazioni: spesso il protagonista, una figura stilizzata priva di tratti distintivi, ma fortemente autobiografica e autoreferenziale (come ha più volte sottolineato lo stesso artista), è presentato da solo o in compagnia di una folla che non si cura di lui, bensì lo ignora completamente.
I personaggi prodotti da Fabrizio Dusi hanno costantemente la bocca aperta dalla quale fuoriescono una miriade di bolle di sapone colorate, le parole. Su alcune di queste compare frequentemente la scritta “bla, bla, bla” alludendo per l’appunto all’atto di colloquiare, spesso a casaccio oppure inutilmente in quanto nessuno manifesta interesse nei confronti del messaggio che intende esprimere il parlante.
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Fabrizio Dusi, Bla bla bla, 2014.
​Di conseguenza, i personaggi di Dusi manifestano un forte senso di solitudine, di fragilità e di inadeguatezza all’interno di una società troppo distratta e incapace di ascoltare. Di fatto, non è un caso che questi siano, talvolta, privi di orecchie. 
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Fabrizio Dusi, Listen to me, 2016.
Dalla contemplazione dell’uomo e dei suoi comportamenti emerge così una grande difficoltà di instaurare solidi e sinceri rapporti con i propri simili. Il messaggio principale della produzione artistica di Fabrizio Dusi si concentra, dunque, sulla necessità di comunicare. Da qui, anche la trattazione di temi legati alla storia collettiva e all’attualità.
Nel 2017 Fabrizio Dusi è stato protagonista della mostra “Don’t Kill” curata da Chiara Gatti e Sharon Hecker e allestita presso la Casa della Memoria, a Milano.
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Fabrizio Dusi, Don’t Kill, Casa della Memoria, 2017.
Il tema dell’esposizione traeva ispirazione dalla Shoah, ma intendeva presentare anche un collegamento col presente, scaturendo una profonda riflessione a partire dall’insegnamento riportato nel quinto comandamento: “Non uccidere”. A questo monito si aggiungono scritte al neon ispirate a frasi di noti deportati come Primo Levi o Liliana Segre. Pertanto, citazioni luminose come “vogliamo vivere” e “l’odore della paura” andavano a ricordare le vittime di ogni forma di violenza e genocidio.
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Scritte al neon, Casa della Memoria, Milano.
Tra le mostre tenute da Fabrizio Dusi ricordo anche la più recente dal titolo “Insieme al mondo piangere, ridere, vivere” allestita dal 20 settembre al 15 novembre presso il Museo Civico delle Cappuccine a Bagnacavallo (Ravenna). Il percorso espositivo è stato curato da Chiara Gatti e Diego Galizzi e centrali sono i temi del distanziamento tra gli uomini e dell’esigenza di solidarietà tra quest’ultimi. La riflessione di Dusi su queste tematiche si fa adesso ancora più intensa dato il dilagante clima di sofferenza e di incertezza causato dalla drammatica emergenza sanitaria che il mondo intero sta tuttora affrontando. In questa occasione Fabrizio Dusi ha presentato, fra le altre, anche le inedite serie di regioni italiane riprodotte su coperte isotermiche dorate che prendono forma dall’accostamento ripetuto del volto iconico del personaggio ideato dall’artista.
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Alcune regioni italiane riprodotte su coperte isotermiche dorate presentate in occasione della mostra, Museo Civico delle Cappuccine, Bagnacavallo.
Mediante quest’operazione Dusi ha voluto così evidenziare concetti a lui molto cari, ma spesso trascurati, come quelli di sopravvivenza, di accoglienza e di fratellanza. Ad esempio, le singole regioni del nostro paese hanno affrontato la situazione presente in modi differenti, spesso in maniera autonoma anziché collaborando.
La mostra si concludeva poi con un messaggio di speranza e di aiuto reciproco rimarcati anche dalla scritta al neon posta sulla facciata del museo: Insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.​
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Scritta al neon sulla facciata del museo: Insieme al mondo, piangere, ridere, vivere, Museo Civico delle Cappuccine, Bagnacavallo.
L’arte di Fabrizio Dusi è quindi un prezioso invito a riflettere sul bisogno di comunicazione e di solidarietà tra gli uomini.
 
 
Immagini tratte da:
www.florabigai.it
www.martconsulting.com
www.fabriziodusi.com
www.fabriziodusi.com
www.lamiacameraconvista.com
Instagram, https://www.instagram.com/fabriziodusi/?hl=it
www.ravennatoday.it
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8/12/2020

Lo street artist Jorit e i volti della “Human Tribe”

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di Ilaria Ceragioli
Ciro Cerullo, noto a tutti come Jorit, è un giovane street artist italo-olandese autore di imponenti e significativi murales che hanno letteralmente conquistato la scena artistica italiana e internazionale. Testimonianze artistiche del suo passaggio si possono infatti rinvenire in Argentina, Bolivia, Cile, Cina, Palestina, ma anche in Russia e a San Francisco.
Jorit nasce e cresce a Napoli e la sua produzione artistica deriva da una forte esigenza espressiva scaturita da contesti sociali particolarmente difficili e precari. Infatti, il suo spazio d’azione è la periferia, quel luogo in cui maggiormente dilagano incuria, abbandono e povertà.
Jorit intende dare luce e voce a questi sobborghi e ai loro abitanti comunemente lasciati in balìa dell’indifferenza e della trascuratezza. L’arte assolve perciò un ruolo sociale e morale di notevole rilevanza: denunciare le ingiustizie e le disuguaglianze. Ciò trova concretezza nei suoi maxi murales. Il muro in quanto supporto soggetto a decorazione, non è più soltanto una superficie da abbellire, ma diviene motivo di riflessione e un manifesto capace di comunicare e di divulgare alla comunità messaggi di importanza capitale.
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Un’attitudine molto originale ed estremamente efficace che caratterizza la prima fase dell’attività artistica di Jorit è quella di anticipare i soggetti che andrà a riprodurre attraverso una serie di citazioni o pensieri personali. Il linguaggio verbale lascerà poi spazio al linguaggio figurativo espresso dai volti dei soggetti ritratti.
La sua ricerca si concentra infatti sulla raffigurazione realistica di volti umani. Per l’artista napoletano il viso di un uomo è la parte del corpo che meglio ci identifica e in cui ognuno, inevitabilmente, è chiamato a rispecchiarsi.
Il tratto distintivo dei volti immortalati da Jorit è la presenza di due segni di colore rosso incisi sulle guance dei suoi protagonisti. Lo street artist ha rivelato che questi “graffi” siano connessi al rito della scarnificazione. Si tratta di un rituale iniziatico magico/curativo praticato dalle varie tribù africane che sancisce il passaggio dall’infanzia all’età adulta e, quindi, l’ingresso dell’individuo all’interno di una determinata tribù. Jorit è entrato in contatto con tale cultura grazie a viaggi personali in Tanzania e Kenya ed ha deciso di estendere questo concetto all’intera comunità umana come segno di appartenenza ad essa. Da qui la sua “Human Tribe”.
Così volti graffiati di dimensioni colossali vanno a decorare i muri di edifici malmessi e fatiscenti divenendo dei veri e propri simboli di lotta, di coraggio e, soprattutto, di speranza per le generazioni future.
Infatti, non è un caso che i soggetti da lui riprodotti siano per la maggior parte personaggi noti, o forse sarebbe più doveroso definirli celebri “guerrieri” che hanno fatto la storia del nostro paese e del mondo intero.
Ne è un chiaro esempio il volto di Martin Luther King sormontato dalla scritta “I have a dream: lavoro e dignità per Barra” che Jorit ha realizzato a Napoli su un edificio collocato dinanzi alla stazione della vesuviana di Barra.
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Il penetrante sguardo di Martin Luther King, leader del movimento per il riconoscimento dei diritti civili degli afroamericani, rivive così in un quartiere della periferia di Napoli non solo come emblema di lotta contro il razzismo ma, più in generale, come simbolo di ogni battaglia finalizzata alla tutela degli ultimi, ossia di coloro che vivono ai margini della società.
Nel quartiere di Arenella (NA) l’artista partenopeo dedica invece un murales a Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi che, come è noto, fu brutalmente torturato e ucciso dalle forze dell’ordine. 
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L’opera si configura come un vero e proprio omaggio a una donna che con perseveranza, vigore e determinazione ha combattuto in nome della giustizia e che, come sottolinea la scritta che l’accompagna, è divenuta motivo di “orgoglio nazionale” e simbolo universale di resistenza e di giustizia.
Ancora nel capoluogo campano, ma stavolta nel rione Ponticelli, fa la sua comparsa “Ael”, una bellissima bambina “immaginaria”, non riconducibile quindi a una specifica identità. 
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I suoi tratti infatti possono ricordare quelli di una bambina rom o di una “scugnizza” napoletana, ma potrebbe incarnare anche una bambina adottata.
La sua opera più recente, ultimata circa una settimana fa, si colloca a Firenze, in Via Canova, su un edificio di edilizia popolare. Qui, Jorit ha immortalato Antonio Gramsci, celeberrimo politico e intellettuale incarcerato dal regime fascista (1926-1937) e tra i fondatori del Partito Comunista.
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Il progetto presenta il titolo “Odio gli indifferenti” ed è stato estrapolato da uno scritto di Gramsci apparso nella rivista “La città futura” in cui quest’ultimo si scagliava contro l’indifferenza e il disimpegno.
Grazie all’impegno artistico, civile e morale di Jorit le periferie diventano musei a cielo aperto e luoghi dai quali ciascuno è chiamato ad intraprendere un nuovo cammino avente come meta il raggiungimento di una vita migliore, un’esistenza in cui ogni cittadino abbia dignità, possibilità di rivalsa e goda di pieni diritti.
 
 
Immagini tratte da:
www.qaeditoria.it
www.tripadvisor.it
www.rollingstone.it
corrieredelmezzogiorno.corriere.it
Facebook, https://www.facebook.com/joritgraffiti/photos/a.590731567739702/2384709481675226/​

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