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13/6/2017

Chirurgie semantiche e suture lessicali: l'arte di Emilio Isgrò

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“La cancellatura è come lo zero in matematica, chiamato a formare, da solo, tutti i numeri e tutti i valori”
(E.Isgrò)
di Alessandro Rugnone
Foto
Emilio Isgrò
Foto
Io dichiaro di essere Emilio Isgrò, (2008)
Emilio Isgrò tende la fune ai due capi del paradosso e lascia che le parole e le immagini vi danzino convulsamente, in bilico sul baratro della non-significazione. L'ossimoro nutre il suo linguaggio magnificamente. Egli elide, espunge, cancella e paradossalmente cancellando genera significato. Il tratto che abrade, raschia, rimuove i caratteri originari, non toglie senso al testo ma lo rigenera, lo rinnova, ne origina infiniti altri. La cancellatura nega, sottrae, distrugge ma, se operata con spirito costruttivo, genera in sé le premesse per una nuova realtà espressiva. “Dal latino sappiamo che due negazioni affermano. Infinite negazioni, come sono le cancellature, affermano all'infinito”.
FotoGirolamo Savonarola, (2014)
Correggendo le bozze per scrittori e intellettuali d'altissimo profilo come Palazzeschi e Comisso, il giovane Isgrò intuisce la straordinaria forza espressiva e il deciso impatto visivo insito nelle correzioni e nelle cancellature operate sui propri testi da questi giganti della letteratura novecentesca e, distillandone l'essenza, ne assume il gesto a propria cifra stilistica. Ma la ricerca artistica di questo “vero erede di Pirandello” e dei paradossi della sofistica greco sicula, “nasce soprattutto” -spiega il maestro- “da una riflessione degli anni Sessanta sulla relativa impotenza della parola in una società massmediatica che è interessata principalmente al linguaggio visivo”. Questa subalternità della parola rispetto all'immagine viene risolta dall'artista in maniera duplice, ambivalente. La prima “proposta teorica” è “la poesia visiva in cui la parola viene rafforzata dall’immagine. Come se la parola occidentale per salvarsi avesse bisogno dell’immagine per resistere. La seconda proposta è di cancellare la parola insieme all’immagine”.

Foto
La Monaca di Monza, (2016)
La riscrittura sui generis del capolavoro Manzoniano, “I Promessi Sposi cancellato per 25 lettori e 10 appestati” (esposto lo scorso maggio al grattacielo Intesa San Paolo di Torino), sviluppa concettualmente la seconda delle due proposte teoriche sopra enunciate. I 35 volumi della “Quarantana”, l’edizione definitiva curata in tutti i dettagli dal Manzoni stesso e pubblicata fra il 1840 e il 1842, fanno da tabula rasa alle cancellature del maestro siciliano che, lungi dall'iconoclastia di talune stantie operazioni post-Dada, riesce a donare nuovo splendore e inattesa vitalità a un capolavoro senza tempo come I Promessi Sposi. Poesia Jacqueline, 1965, è pura poesia visiva. In un grande campo retinato, privo di figure, una freccia nera indica un punto, un vuoto. Sotto si legge una didascalia: “Jacqueline (indicata dalla freccia) si china sul marito morente”. Il vuoto iconografico (fatto salvo l'enorme freccia) viene colmato dalla straripante pienezza della parola, dal suo straordinario potere demiurgico, creativo. Lo spettatore rivive l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy in tutta la sua drammaticità soltanto grazie alla didascalia, qualsiasi altro riferimento iconografico sarebbe assolutamente superfluo, pleonastico. La parola vince sull'immagine. Ne Il presidente Mao dorme, 1974, una grande campitura scarlatta reca in calce la didascalia “Il presidente Mao Tse-Tung (a sinistra) dorme nel rosso vestito di rosso”. “In quel rosso vestito di rosso” -nota il critico Tommaso Trini- “riconosco [...] Lenin che alza il pugno, [...] Fidel Castro che sale, Mao Tse-Tung che dorme, Che Guevara che cade, [...] Marx che fuma [...]”. Qui la fortissima caratterizzazione simbolico-ideologica, connaturata al colore rosso, e la sua violenta carica espressiva evocano l'intera epopea comunista senza che ne venga di fatto rappresentato alcunché. “Che Isgrò” -continua Trini – “non mi faccia vedere quasi nulla perché nulla rappresenta è a misura della sua viva consapevolezza che la modernità ha abbandonato l’universo della rappresentazione lasciandosi dietro solo i simulacri, e inoltre che il primato del visivo va assolutamente rovesciato”.
Foto
Poesia Jacqueline, (1965)
Foto
Il presidente Mao dorme, (1974)
Immagini tratte da:
​1.2.3.4.5.6 www.emilioisgro.info

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