“Folli sono quelli che considerano le mie sculture astratte. Ciò che essi credono essere astratto è quanto vi è di più reale, […] l’essenza dei fenomeni”. Secondo Constantin Brancusi “è impossibile per chiunque esprimere qualcosa di reale imitando la superficie esteriore delle cose”. Scultore di grande raffinatezza intellettuale e purezza formale, Brancusi giunse a Parigi il 14 luglio del 1904. La difficile infanzia trascorsa nel paese natale, in Romania, non gli impedì di coltivare la sua abilità di intagliatore, diplomandosi con lode prima alla Scuola d’Arti e Mestieri di Craiova, poi alla Scuola Nazionale di Belle Arti di Bucarest. La volontà di intraprendere la carriera di artista spinse Brancusi a partire alla volta della capitale mondiale dell’arte: Parigi. Pochi mesi dopo il suo arrivo in città, ebbe modo di visitare l’importante retrospettiva di Medardo Rosso, tenutasi quello stesso anno. Fu una rivelazione. Le modalità con le quali lo scultore italiano interveniva sulla materia insegnarono al giovane Brancusi come sfruttare le possibilità offerte dai giochi chiaroscurali e dalla rifrazione della luce sulle diverse superfici. La selezione non naturalistica dei particolari da rappresentare, capace di rivelare l’essenza più intima delle cose, era oggetto della ricerca di un altro grande scultore francese. Nel 1907, Brancusi entrò nello studio di Auguste Rodin come apprendista, mentre nei quartieri di Montmartre e Montparnasse si respirava più che mai il clima delle Avanguardie storiche. L’essenzialità delle forme di Preghiera, un monumento funebre commissionato in patria, richiama opere rodiniane come L’uomo che cammina, nella quale la figura acefala porta a compimento il percorso di eliminazione degli elementi anatomici.
Tuttavia, ben presto Brancusi decise di lasciare l’atelier del maestro ritenendo che “ sotto le grandi piante non cresce niente”, per dirlo con le parole di una sua celebre metafora. Analogamente, sospese la produzione di opere bronzee, per dedicarsi alla pietra. Guardando al primitivismo e al sintetismo della potente Figura accovacciata di André Derain, Brancusi percorse il proprio “cammino di Damasco” per scolpire Il bacio. Il tema degli amanti strizza l’occhio all’omonima opera del maestro, ma, instaurando una sorta di silenzioso dibattito, l’arcaico taglio diretto della pietra compie una stilizzazione del tutto nuova.
“La semplicità non è un fine dell’arte ma si arriva alla semplicità malgrado se stessi avvicinandosi al senso reale delle cose. La semplicità è la complessità stessa”. L’ermetico aforisma brancusiano può essere esplicato da uno degli ovali perfetti che costituiscono la serie di volti dedicati alla Musa addormentata, ciascuno realizzato in un diverso materiale. Passando dal marmo al bronzo e, infine, alla novità del bronzo lucidato e specchiante, Brancusi studiò il corpo umano, osservandolo nel momento in cui si trasforma in oggetto durante il sonno.
Brancusi fu estremamente innovatore nell’annullare il rapporto gerarchico tra l’opera scultorea e il suo piedistallo. Con lui la base diviene parte integrante della scultura, ed è quindi dotata di pari valore estetico e qualitativo. L’opera, ora fusa inscindibilmente con il supporto, risulta collegata al suolo ponendosi in un rapporto del tutto nuovo con lo spazio e con l’ambiente. È il caso della Colonna senza fine: una base romboidale con due tronchi di piramide alle estremità, pensata inizialmente per accogliere altre opere, vede moltiplicare il suo modulo creando una tensione ripetitiva, così che l’occhio dell’osservatore è indotto ad immaginarne la continuità.
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Gennaio 2022
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