di Olga Caetani L’11 ottobre Palazzo Blu ha inaugurato la sua nuova grande mostra autunnale, rilanciando un’accattivante ma non facile sfida rivolta all’arte contemporanea. Nei primi dieci anni di attività della Fondazione Palazzo Blu, oltre un milione di visitatori ha avuto la possibilità di confrontarsi con i principali artisti del Novecento internazionale, fra i quali, solo per citarne alcuni, Chagall, Miró, Picasso, Kandinskij, Lautrec, Warhol, Escher… con un’attenzione particolare al Surrealismo. Il ciclo iniziato due anni fa con “Dalí e il sogno del classico” prosegue ora, grazie alla straordinaria collaborazione tra la Fondazione Palazzo Blu e il Centre National Georges Pompidou di Parigi, felicemente rinnovata dopo il successo della mostra “Modigliani et ses amis” del 2014/2015. Quest’anno, per la prima volta, come tiene a precisare Cosimo Bracci Torsi, presidente della Fondazione, il Palazzo non ospiterà un solo artista, ma un intero movimento d’avanguardia, quello del Surrealismo, appunto, osservato nel suo momento più prolifico, nonostante la devastante crisi economica, che, nello stesso periodo, da Wall Street investì anche l’Europa: “Da Magritte a Duchamp. 1929, il Grande Surrealismo dal Centre Pompidou”. Il curatore della mostra, Didier Ottinger, Directeur adjoint del Centre Georges Pompidou, fra i massimi studiosi al mondo del Surrealismo, durante l’anteprima stampa si è prestato al ruolo di prestigiosissima guida al percorso espositivo. Le dieci sale, attraverso le quali è articolata la mostra, possono essere sinteticamente riassunte con la parola “raffinatezza”, come suggerisce, ancora, Cosimo Bracci Torsi. Ottinger, che nella curatela si è avvalso della collaborazione di Marie Sarré, ha restituito al pubblico una visita, a un primo sguardo, lineare, didattica, ordinata per temi e autori, a seguire i principali sviluppi del movimento, concentrati attorno al cardine del cruciale 1929, con circa novanta opere che non risalgono oltre gli anni Trenta. Ricchissimo, inoltre, l’apparato fotografico e documentario, ampiamente indagato anche nei saggi del catalogo della mostra, edito da Skira. La raffinata esposizione delle opere (pitture, collages, sculture, fotografie, disegni), sembra quasi contrastare visivamente con i soggetti tipicamente “surrealisti” delle stesse. Si tratta di immagini visionarie, impresse sulla tela direttamente dal proprio inconscio, ossia il regno del sogno, di mostruose paure e di ossessive perversioni erotiche, dettate soltanto dall’automatismo psichico, o trascrizione automatica del flusso di pensiero. Nato nel 1924, con il primo Manifesto del surrealismo, del poeta André Breton, che raccolse l’eredità della vicenda dadaista, ormai quiescente, conferendole un’energia del tutto nuova, il movimento surrealista non si è mai identificato in uno stile unitario, ma ha da sempre accolto le più eterogenee e personali interpretazioni della realtà di ciascuno dei numerosi artisti, che negli anni vi hanno aderito. Ispirati dalla lettura di De Sade, Freud, Nietzsche, Marx e dalla pittura metafisica dell’italiano Giorgio de Chirico, di Picasso e di Klee, i surrealisti, provenienti da diversi paesi e riunitisi a Parigi, esplosiva fucina del movimento, hanno dato vita a immagini ancora oggi potenti e stranianti, sia attraverso forme figurative, come nel caso di Magritte, Dalí, Ernst, sia astratte, secondo Miró, Tanguy, Masson. Assolutamente emblematica è, senza dubbio, l’opera scelta come immagine-simbolo della mostra: Il doppio segreto, di René Magritte. Il pittore belga, appena avvicinatosi al movimento, in seguito al suo trasferimento nei pressi di Parigi, dà un contributo originale e autonomo al Surrealismo, che gli ha valso il significativo soprannome di saboteur tranquille, proprio per la sua straordinaria e geniale capacità di spaesare lo spettatore, insinuando dubbi attraverso una pittura del tutto riconoscibile, realistica, quasi accademica, ma immersa in un impenetrabile alone di mistero. “[Il doppio segreto], visto nell’ottica del surrealismo e dei suoi valori, […] può essere interpretato come la messa a nudo dei meccanismi della psiche che la cultura tende a dissimulare dietro la maschera della buona educazione”, scrive Ottinger. Un ragazzo è ritratto completamente “svuotato”: si intravedono soltanto dei sonagli, nel magma di un’informe materia grigia interna. “Nella tradizione carnevalesca, il sonaglio è uno degli attributi del folle: una “follia” che negli auspici del surrealismo doveva dare vita a opere sconvolgenti”. Una follia, in fondo, insita nei meandri più turpi della psiche umana. Immagini gentilmente concesse dall’Ufficio Stampa di MondoMostre Potrebbero interessarti anche:
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Gennaio 2022
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