di Olga Caetani Giovane illustratore e grafico, Eugenio Bucci è un artista a tutto tondo, che pone al centro della propria quotidianità il disegno e la pittura, senza mai rinunciare alla musica, che suona e soprattutto scrive. Un suo sogno? Quello di riuscire a integrare l’illustrazione con la grafica, unire la propria sfera artistica con l’ambito professionale. Per questo motivo, nel postare i suoi disegni, sempre accompagnati da didascalie in versi, sulle pagine social da lui curate riduce al minimo indispensabile l’intervento digitale. La carta, infatti, rimane il suo supporto prediletto, con la cui grana l’acquerello si sposa perfettamente. Nel suo studio, circondati dalle sue chitarre e dai suoi lavori, non tutti ancora incorniciati, Eugenio mi mostra le sue opere più recenti e una ancora in corso… Da un primo sguardo ai tuoi disegni, emergono isolate figure umane, o dai tratti mostruosi e surreali, curate nei singoli dettagli, spesso tracciate in un elegante bianco e nero, e immerse poi in un groviglio inestricabile di colorati elementi naturali, vegetali e zoomorfi, estremamente realistici. Un’eco simbolista le pervade vagamente. Sì, non amo riprodurre la figura umana nella sua interezza, al di là della scelta del soggetto maschile o femminile. Preferisco soffermarmi sul singolo dettaglio, le mani, per esempio, per le quali ho quasi una mania, mi piacciono le forme che assumono, così anche per le foglie, il cui accartocciarsi ricorda molto la mano. Sono entrambe forme riducibili, trasformabili, vi si possono trovare delle combinazioni di linee che vanno anche oltre quelle di un volto umano. Oppure mi concentro sul panneggio, che può essere inteso come oggetto a sé stante di ricerca pittorica, capace di mutare di significato non appena si pone sotto una luce diversa. L’umanità mi interessa poco, in realtà. La componente animale è sempre quella molto più presente e più forte: l’umano rientra nelle composizioni, ma appare isolato, relegato e sconfitto. Sembra di rileggervi delle mitologiche metamorfosi, come quelle del poeta latino Ovidio… Si tratta di una mia reinterpretazione di “Leda e il cigno”: una loro fusione. Le ali del cigno sembrano appartenere alla donna, mentre l’animale si nasconde dietro di lei. Entrambi i corpi sono avvolti da un prezioso panneggio ondoso che allude all’ambientazione di uno stagno. Mi piaceva semplicemente riprendere gli elementi di quel celebre mito, per trasporli in una composizione che fosse lontana dall’iconografia classica. Da dove trai ispirazione per i soggetti delle tue opere? Innanzitutto, rifuggo temi e immagini in linea con tutto ciò che abbia intenzione di fare critica sociale. Non amo i riferimenti alla nostra contemporaneità, troppo frenetica e in continua evoluzione. Preferisco un linguaggio che sia universale e rinnovabile nel tempo, che non invecchi mai. I paesaggi che ho incontrato nei miei viaggi in Europa mi hanno spinto a dipingere, tra l’altro in circostanze meno comode di quelle a cui sono abituato in studio. Sono acquerelli dipinti al volo, su di una panchina di fronte al fiume di Francoforte o dalla finestra del mio ostello a Siviglia, sottostando alla rapidità con la quale mutano le condizioni di luce all’aperto, e con loro i colori. Poi, c’è stato un periodo in cui ho cominciato a fare una serie di sogni che ho tradotto visivamente attraverso la pittura. Così è nata “La marea della notte”, in cui a dominare doveva essere la composizione - che è l’elemento che mi interessa di più - in modo che catturasse a colpo d’occhio. Da un sogno dipinto è nata anche una canzone. Musica e arte: quale rapporto? Chi influenza l’altra? Prima cercavo di trasformare i testi delle canzoni che scrivo in immagini, ma poi ho capito che non era una via adeguata. Disegno ascoltando la musica che amo, perché per farlo ho bisogno di un’atmosfera. La musica comunque è qualcosa di molto più meccanico, è diverso il rapporto che si ha con lo strumento da quello con il pennello. Lo strumento musicale è più personale, ogni chitarra ha la sua voce e l’approccio è più “animalesco”. Per disegnare, invece, occorre tempo, la musica dà un risultato immediato, che può piacere o non piacere ma segue una pista già tracciata sulla quale muoversi. Al contrario, ho provato a tradurre un mio disegno in musica, ma il risultato è stato forse difficile da condividere e da far comprendere al pubblico. Sono molto autocritico e selettivo nel mio lavoro, perché sento come voglio che venga una cosa, se non la ottengo in quel modo, capisco che c’è qualcosa che non va. La modestia è una delle prime caratteristiche che colpiscono di te! Ma, tornando un passo indietro, quando hai “scoperto” il tuo innato talento artistico e come lo hai coltivato? Oltre alla laurea in Scienze della Comunicazione, conseguita all’Università di Pisa, hai frequentato studi e corsi d’arte? La mia è una formazione essenzialmente da autodidatta, empirica. Ho sempre disegnato, fin da bambino, vedendo che gli altri apprezzavano quello che facevo. A scuola disegnavo per passare il tempo. Ho fatto tanta pratica, che mi ha portato a ottenere i risultati di oggi, di cui posso dirmi abbastanza soddisfatto. Quando sento di aver raggiunto un obiettivo lo abbandono per passare a sperimentare altro. Ho studiato l’opera di tantissimi pittori e illustratori, per cercare ciò che maggiormente si avvicinava alla mia idea, ma senza mai copiarne lo stile, tentando piuttosto di fonderlo con il mio. Mi piacerebbe integrare tutte le mie passioni: arte visiva, musica e letteratura, creare qualcosa che racconti una storia sotto varie forme. Il mio lavoro di grafico ha molto a che fare con i miei studi, ma il mio stile personale rimane – per ora – qualcosa di nicchia nelle commissioni che ricevo. Il settore editoriale è quello che più si avvicina a questo mio sogno. Recentemente, ho realizzato l’illustrazione della copertina di un e-book, edito da Maggioli Editore. Vi sono alcuni modelli o artisti del passato ai quali fai riferimento in particolare? Mi hanno influenzato molto Alfons Mucha e la cartellonistica, nel contornare e rilevare sul foglio elementi isolati. Amo moltissimo la pittura di Velázquez e di Goya, mentre odio Dalí. Con Picasso ho un rapporto un po’ controverso. Mi piace Kandinskij e il suo approdare all’astrattismo, ma non necessariamente lo stile di queste grandi personalità è vicino ai miei lavori. E per quanto riguarda il contemporaneo, rispetto ai tuoi colleghi? Rimango sempre aggiornato. Conosco diversi pittori, grazie soprattutto ai numerosi eventi ai quali ho partecipato, ai live painting, alle mostre collettive e personali. E’ però soprattutto durante le performance, dove pesa molto anche la dimensione fisica oltre a quella mentale, che si riesce a entrare nel vivo del rapporto tra pittori, altrimenti piuttosto “isolazionisti”, poco accoglienti: è difficile entrare nella sfera artistica altrui, anche solo per un confronto, per uno scambio di opinioni sulla propria opera. A questo proposito, da un punto di vista più tecnico, qual è il processo creativo di una tua illustrazione? Di solito non faccio schizzi preparatori, creo una base a matita, un disegno che di per sé è già molto preciso, che poi ripasso con penne a china di 0,5 mm per i vari piani, fino al dettaglio, per il quale ho molta cura, sfociando spesso nel puntinismo o nel tratteggio, ottenendo un effetto più sfumato. Ottenuta la traccia, inizio a dipingere ad acquerello oppure mescolando l’acquerello all’acrilico, che ha quel qualcosa di pastoso e materico che preferisco, tangibile e denso sul supporto cartaceo. La tela la utilizzo di rado, è stata uno strumento per trovare una via che fosse mia, magari ci tornerò in seguito. La mia tavolozza esclude quasi completamente il bianco, che trovo troppo innaturale, preferisco mescolarlo all’avorio, molto più dolce, come ho fatto di recente per “Famiglia”. Se dovessi definire le tue opere in una parola? Esperienziali. Oggi non voglio più soffermarmi su lavori che sono puri vezzi stilistici, come facevo in passato, né produrre necessariamente grandi numeri di opere, perché non sono le quantità a fare la qualità di un artista. Voglio dipingere qualcosa di più personale, che abbia una motivazione, una riflessione o un evento scatenante alle spalle. Attraverso la pittura sto capendo come sono fatto, ha contribuito a darmi una linea. La pittura riesce a dare un ordine alle cose, a conciliare aspetti, colori e forme, senza lasciare niente al caso. Farmi domande e darmi delle risposte mi ha dato consapevolezza, mi ha reso autocritico, riesco a capire quali sono le cose che vanno o no, sia in pittura che per me stesso. Nel tempo, scoprendo qualcos’altro di me, cambierà di conseguenza il mio stile. La mia pittura è un percorso soprattutto interiore. Eugenio Bucci nel web: Immagini gentilmente concesse dall’artista
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Gennaio 2022
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