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21/3/2017

Futurismo: nuove ricerche e diffusione internazionale                             

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di Olga Caetani

Nell’ottobre del 1911, Marinetti riteneva che il gruppo futurista fosse ormai pronto al debutto sulla scena artistica internazionale. Da tempo progettava di inaugurare quello stesso autunno una grande mostra a Parigi. Qui, dai primi anni del secolo risiedeva Gino Severini, perfettamente inserito nel clima culturale della città, come testimoniano le numerose ballerine che affollano le sue tele, soggetti ispirati dalla vita notturna dei caffè parigini e già molto cari a Degas e Toulouse-Lautrec.
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Gino Severini, La danza del “Pan-Pan” al Monico, 1909-1911, Parigi, Centre Pompidou
Di ritorno a Milano, Severini ebbe modo di constatare quanto i compagni futuristi fossero lontani, nonostante le premesse teoriche che muovevano la loro arte, dalle straordinarie novità stilistiche messe a punto nella capitale francese dai pittori cubisti. L’indomani, a spese di Marinetti, Boccioni, Carrà e Russolo partirono alla volta di Parigi per una sorta di accelerato corso di aggiornamento in vista della loro prossima esposizione, rimanendo profondamente colpiti dalla lezione cubista. Rientrati in Italia lavorarono senza posa fino ai primi di febbraio del 1912, quando presso la galleria Bernheim-Jeune poté finalmente aprire la mostra futurista, con i colori non ancora del tutto asciutti sulle tele.
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Da sinistra, Umberto Boccioni e Filippo Tommaso Marinetti durante l’inaugurazione della mostra alla Galerie Bernheim-Jeune, Parigi, 5 febbraio 1912
Colui che, tra gli altri, meglio seppe sfidare l’estetica del Cubismo fu senza dubbio Boccioni. Nelle sue nuove opere infatti, inserì con disinvoltura elementi cubisti, geometrizzando e solidificando ogni residuo, o quasi, di Divisionismo. Questo processo risulta particolarmente evidente nelle due versioni, realizzate a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, del medesimo trittico dedicato agli Stati d’animo, raffigurante il tentativo di fissare su tela quanto di più astratto, evanescente ed effimero possa esistere: un’emozione. Nella prima versione, risalente all’inizio dell’estate del 1911, la pennellata “divisa” è portata alle estreme conseguenze. Coppie di figure nell’atto di unirsi in un abbraccio sofferto si distinguono appena, così immerse nei flutti ondeggianti e coloratissimi del primo quadro del trittico, intitolato Gli addii, come per conferire una dimensione tangibile all’ingombrante presenza del vapore sprigionato da quello che verosimilmente è un treno in partenza. Fitte e parallele linee diagonali traducono il punto di vista, che sfreccia da una prospettiva all’altra, di Quelli che vanno, mentre Quelli che restano avanzano come appesantiti da un sentimento di lugubre tristezza, che incombe e si riversa su di loro nella forma di una pioggia di linee discendenti dai toni acidi.
Umberto Boccioni, Stati d’animo: Gli adii; Quelli che vanno; Quelli che restano, primavera-estate 1911, Milano, Museo del Novecento
Nella seconda versione de Gli adii, dipinta verso la fine dell’autunno del 1911, dopo la conoscenza della rivoluzione cubista, ed esposta nella mostra in questione, la locomotiva sembra materializzarsi dal fondo, divenendo visibile al contempo di fronte e di lato, scomposta e sfaccettata, con in risalto una serie di numeri stampigliati, elemento tipico di un collage o di un papier collé di Picasso e Braque. I volti di Quelli che vanno appaiono ora delle chiare caricature cubiste, così come la gamma cromatica in Quelli che restano, virata verso tinte più scure, allude alle tavolozze monocrome dei principali testi del Cubismo.
Umberto Boccioni, Stati d’animo II: Gli adii; Quelli che vanno; Quelli che restano, fine 1911, New York, MOMA
Dalle sprezzanti critiche mosse nei confronti della mostra futurista dal poeta Guillaime Apollinaire, al quale spettò “il posto più eminente fra i critici del Cubismo” secondo Carlo Carrà, insorse l’abitudine di considerare il Futurismo un mero fratello minore del Cubismo. In realtà, dopo tre settimane a Parigi, la mostra passò immediatamente alla Sackville Gallery di Londra - salutata da Marinetti come “città futurista” per eccellenza, data l’idea “totalmente nuova del moto, della velocità” che si poteva sperimentare prendendo la metropolitana -  quindi a Berlino, Amsterdam, Zurigo, Vienna e Budapest. La diffusione internazionale del Futurismo era iniziata, dando vita, negli stessi anni, alle ricerche cubofuturiste dell’Avanguardia russa. 
 
Immagini tratte da:
- pinterest.com
- johanandlevi.com
- sguardinotturni.blogspot.it
 

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