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27/9/2016

Gian Lorenzo Bernini: lo scultore di passioni impetuose e travolgenti

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di Ilaria Ceragioli

Estrosità, teatralità, virtuosismi e vortici di passioni incontrollate e travolgenti sono solo alcuni dei caratteri dominanti di quello stile che si diffuse nell’Europa della prima metà del Seicento: il Barocco. Un termine che, almeno in un primo momento, assunse una connotazione estremamente negativa e venne associato a tutto ciò che era stravagante, eccessivo e bizzarro. Fu uno stile che mirò a unificare le tre arti per eccellenza: la pittura, la scultura e l’architettura rendendole così un unicum artistico. La pittura, ad esempio, assorbì caratteristiche proprie della scultura quali inganni e illusioni ottiche, mentre la scultura esibirà giochi di luce e ombre, elementi maggiormente legati alle tecniche pittoriche. Tuttavia, fu la scultura ad assorbire le caratteristiche più rappresentative dell’estetica barocca. Se pensiamo all’attività scultorea del Seicento Barocco inevitabilmente balzerà alla mente colui che Papa Urbano VIII descrisse come un “Huomo raro, ingegno sublime, e nato per disposizione divina, e per gloria di Roma a portar luce al secolo”: Gian Lorenzo Bernini. Napoletano di nascita, Bernini si formerà presso la bottega dello scultore Pietro Bernini, padre e maestro da cui apprenderà l’arte dello scolpire.
Con Gian Lorenzo Bernini il marmo si anima e prende vita. Ciò si nota chiaramente in due celeberrime opere che l’artista realizzò per il cardinale Scipione Borghese, entrambe custodite presso la Galleria Borghese a Roma: il Ratto di Proserpina (1621-1622) e Apollo e Dafne (1622-1625). Due capolavori dalla bellezza disarmante che riassumono i principi fondanti dell’arte barocca e della produzione scultorea di Gian Lorenzo Bernini.
La prima opera sopra menzionata fu realizzata quando l’artista era poco più che un ventenne e vede come protagonista Proserpina (o Persefone) figlia di Giove e Cerere.

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La leggenda narra del rapimento della fanciulla ad opera di Plutone, re dell’Ade. Cerere, dea delle messi, addolorata per la notizia provocò carestia e siccità a tal punto che Giove invitò il Re degli inferi a restituire la fanciulla, la quale, però, non poté fare ritorno sulla terra in quanto aveva mangiato un chicco di melograno. Nell’Ade, infatti, chi osava cibarsi non avrebbe potuto raggiungere nuovamente il mondo dei vivi. Fu così che Giove permise a Proserpina di trascorrere sei mesi sulla terra e i restanti nell’Ade. Il momento immortalato da Bernini è quello del rapimento della fanciulla. Osserviamo un possente e barbuto Plutone che con forza e vigore stringe a sé la figura femminile la quale, voltandosi in segno di ripugnanza, è intenta a liberarsi. I tratti del volto di Proserpina si contraggono ed ha la bocca semiaperta in una smorfia disprezzante. I loro corpi sbilanciati verso sinistra e verso destra conferiscono movimento e teatralità all’azione. La scena, dunque, è ricca di pathos e di sentimenti discordanti.
Analoghe peculiarità dell’arte barocca si riscontrano nel gruppo scultoreo intitolato Apollo e Dafne.


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Il soggetto rimanda a un celebre racconto delle Metamorfosi di Ovidio che godette di un’enorme fortuna artistica e letteraria. Cupido, il dio dell’amore e del desiderio sessuale, punì Apollo perché soleva vantarsi delle sue abilità nell’usare arco e frecce facendolo invaghire follemente di Dafne. La fanciulla per sfuggire dall’irrefrenabile amore di Apollo, chiese al padre Peneo di trasformarla in un albero di alloro. Bernini scolpì proprio il momento della metamorfosi di Dafne in pianta di alloro. Le mani della ragazza dai capelli ricci e svolazzanti a poco a poco divengono foglie e Apollo cerca invano di trattenerla con la mano sinistra. Il dolce volto di Dafne è segnato da un furioso grido che accentua la drammaticità dell’azione scolpita. Questa tragicità, però, è qui attenuata da una passione meno impetuosa e violenta segnata da un significativo, ma minore movimento. Ad ogni modo il gruppo scultoreo presenta curve sinuose e un’espressività indubbiamente teatrale.
Dunque, Gian Lorenzo Bernini conferì corporeità e calore al marmo, un materiale di per sé roccioso immobile, statico e freddo. Lasciò così che le sue opere non fossero che un’eccellente manifestazione delle più intense, vorticose e irrazionali passioni umane.

 


Immagini tratte da:
- mcarte.altervista.org
- mcarte.altervista.org
- nashvillearts.com
- answers.com

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FRANCESCA
3/4/2021 19:14:39

GRAZIE

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