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13/9/2016

Giovanni Fattori: dal segno alla macchia                                     

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di Olga Caetani

Nel rivoluzionario panorama dell’Italia preunitaria, molti artisti di idee liberali in fuga dalle repressioni austriache, papali e borboniche, trovarono un clima culturalmente più disteso nel Granducato di Toscana.  A Firenze, essi amavano ritrovarsi presso il Caffè Michelangelo in Via Larga (l’attuale via Cavour), il quale, dal 1848, divenne la culla del realismo italiano, di cui i macchiaioli, sulla scia delle teorie del critico d’arte fiorentino Diego Martelli, rappresentarono la componente più fortunata e originale. Anche Giovanni Fattori frequentava già dal 1850 lo stesso Caffè, a due passi dall’Accademia, ma aderì più tardi al movimento. Nato a Livorno nel 1825, a poco più di vent’anni il suo animo risultava diviso tra timidezza e inquietudine, tra un amore profondo per l’arte, del quale era quasi inconsapevole, e una passione patriottica sfrenata, anche se non parteciperà mai in prima persona ad uno scontro in armi. Nel 1846 si recò a Firenze per studiare alla scuola privata del pittore Giuseppe Bezzuoli, ritrattista e grande ammiratore di Ingres, la cui nitidezza del disegno costituirà un tratto distintivo anche dell’opera di Fattori. Gli studi accademici non lo appagavano, tranne il disegno appunto, pratica quotidiana che non lo abbandonerà per tutta la vita. Con i suoi piccoli album si recava in campagna a disegnare dal vero, anticipando altri macchiaioli come Signorini. Tuttavia le tendenze romantiche, alimentate dalla lettura di Victor Hugo e Walter Scott, continuavano a costituire una fonte di ispirazione. Gli antitetici romanticismo e realismo sembravano coabitare in lui, ma nel 1850 Fattori venne a contatto con le discussioni sulla ricerca di un’arte “vera e sincera” del Caffè Michelangelo. “Io allora lottavo fra il realismo macchia e il romanticismo”, scrisse Fattori nelle sue memorie. Fu il pittore romano Nino Costa in modo molto schietto, dopo aver osservato e apprezzato i suoi taccuini di campagna, ad indurlo a concentrarsi esclusivamente sul vero, riconoscendo il grande potenziale fattoriano ancora sopito. Su insistenza di Costa, nel 1859, Fattori partecipò ad un concorso pittorico per la realizzazione di quattro grandi tele raffiguranti i momenti salienti delle imprese belliche risorgimentali. Campo italiano dopo la battaglia di Magenta gli assicurò la vittoria.
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Campo italiano dopo la battaglia di Magenta,1862, olio su tela, 232×384 cm, Firenze, Galleria d’arte moderna
Se la piccola tavoletta con I soldati del ’59, che ne costituisce uno studio, è un perfetto esempio di pittura macchiaiola, il risultato finale si limita ad un equilibrato realismo, senza però indugiare in patetismi romantici. La scelta di raffigurare il momento immediatamente successivo alla cruenta disfatta italiana di Magenta, testimonia la lontananza della poetica di Fattori da scene di cruda violenza.
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Soldati francesi del’59, 1859, olio su tavola, 15×32 cm, Milano, collezione privata
Negli anni Sessanta, la morte della moglie per tubercolosi condusse il pittore in uno stato di angoscia profonda, dalla quale scaturì una serie di paesaggi spogli, desolati e privati dei tanto cari dettagli realistici, tuttavia dotati di estrema modernità, come La Sardigna.
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La Sardigna a Livorno, circa 1865, tela su cartone, 25×38 cm, Firenze, collezione privata
Vedendolo così affranto per le vie di Firenze, Diego Martelli, “il solo e caro amico, uomo di vero cuore”, invitò Fattori presso la sua casa a Castiglioncello, ove spesso soggiornavano anche gli altri macchiaioli. La bellezza e l’asperità del paesaggio marino e bucolico del litorale tirrenico divennero i suoi soggetti ideali. Fu un periodo molto prolifico, nel quale Fattori dissipò ogni esitazione nei confronti dell’osservazione della realtà in senso macchiaiolo. La rotonda Palmieri, nonostante le piccole dimensioni, ne è un celebre esempio. La composizione è ripartita in lunghe e sottili fasce di colore, perfettamente raccordate tra loro dal punto di vista cromatico. Le ricche signore sedute all’ombra di una luminosissima giornata al mare, sono risolte con nette “macchie” di colore, accostate secondo un’attenta alternanza di toni chiari e scuri. Già nello studio preparatorio, Signora all’aperto, conservato nella milanese Pinacoteca di Brera, adotta una soluzione compositiva a tarsia, di grande libertà espressiva.

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La rotonda Palmieri, 1866, olio su tavola, 12×35 cm, Firenze, Galleria d’arte moderna
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Signora all’aperto, 1866, olio su tavola, 12×17 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
Immagini tratte da:
- Campo italiano alla battaglia di Magenta, www.pinterest.com
- Soldati francesi del ’59, www.artribune.com
- La Sardigna, www.zapgina.wordpress.com
- La rotonda Palmieri, wikipedia, pubblico dominio, voce: Rotonda Palmieri
- Signora all’aperto, www.frammantiarte.it




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