di Olga Caetani Giovanni Francesco Barbieri, meglio noto con il soprannome di Guercino, a causa di uno strabismo all’occhio destro, trascorse a Roma un periodo brevissimo rispetto agli altri pittori provenienti dalla scuola bolognese dei Carracci, ma non per questo meno ricco di capolavori, capaci di lasciare il segno nello sviluppo del Barocco romano. Più giovane di tutti i suoi conterranei, fu senza dubbio il più moderno, in termini di stile e di scelte iconografiche. Ludovico Carracci lo presentava come “gran disegnatore, e felicissimo coloritore […] mostro di natura, e miracolo da far stupir chi vede le sue opere”, tanto che, ben presto, ottenne la protezione del cardinale Alessandro Ludovisi. Non appena costui ascese al soglio pontificio, con il nome di Gregorio XV, lo invitò a raggiungerlo a Roma. Nella Città Eterna, Guercino poté conoscere, oltre all’antico, l’opera di Michelangelo, Raffaello e Annibale Carracci, con l’esempio dei quali il suo stile dal tratto rapido e volutamente tremolante acquistò maggiore eloquenza e monumentalità. Ma, al contempo, Guercino fu immediatamente attratto dalle straordinarie novità introdotte da Caravaggio, riprendendone il tenebrismo e l’attenzione al dettaglio naturalistico. Del Merisi, Guercino ebbe modo di osservare da vicino un’opera che costituisce un unicum all’interno della vasta produzione del genio lombardo: l’olio su muro – Caravaggio infatti dipinse sempre su tela e mai ad affresco – per il soffitto del camerino alchemico del cardinale Francesco Maria Del Monte, al piano nobile del “casino” della sua villa suburbana presso Porta Pinciana, all’epoca aperta campagna. Giove, Nettuno e Plutone, personificazioni dell’aria, dell’acqua e della terra, nonché dei tre stati della materia, si stagliano, seminudi e possenti nel modellato, su un cielo temporalesco, con al centro la sfera luminosa dei segni zodiacali. La visione dei nudi virili dal sotto in su certamente eludeva ogni forma di decorum seicentesco, ma si trattava pur sempre di un ambiente privato, dedito alla pratica empirica dell’alchimia. Nel 1621, il “casino” di Del Monte fu acquistato dal cardinal nipote Ludovico Ludovisi, che affidò a Guercino la decorazione della sala contigua al camerino alchemico e di quella sottostante, situata al piano terreno. Qui, sul soffitto a volta illusionisticamente “sfondato”, oltre la finta architettura realizzata ad affresco da Agostino Tassi, Guercino dipinse il carro dell’Aurora, il cui “passaggio” è reso possibile dall’architrave parzialmente diruto che costituisce l’antro, rischiarato soltanto dal lume di una lucerna, ove si è appisolata la Notte, con un libro aperto sulle gambe e i due figli dormienti, allegoria del Sonno e della Morte. Altri simboli sinistri della donna sono la civetta e il pipistrello volteggiante nel cielo scuro. Nella lunetta opposta, invece, appare il Giorno, un giovane alato, portatore di luce, preceduto dal carro dell’Aurora, che campeggia al centro della volta, trainato da due possenti cavalli pezzati. La soluzione adottata da Guercino per la raffigurazione dell’Aurora, che segue i dettami dell’Iconologia di Cesare Ripa (1593), si discosta completamente da quella proposta da Guido Reni qualche anno prima nel soffitto del Casino dell’Aurora di Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, allora proprietà di Scipione Borghese: una composizione maggiormente statica, che ricorda un fregio classico, certamente preziosa, raffinata ed elegante, ma forse priva di quella potenza suggestiva che Guercino è stato capace di infondere col calore della tempera. Una scala a chiocciola conduce dalla Sala dell’Aurora alla Sala della Fama, incarnata da una florida figura femminile che spicca il volo trionfante al suono della tromba, con al seguito l’Onore e la Virtù. Nel rosso cremisi e nel giallo-oro delle loro vesti sono ravvisabili i colori del simbolo araldico della famiglia Ludovisi, la cui fama, in seguito al pontificato di Gregorio XV, sarà consacrata in eterno. Guercino si muove verso una direzione molto più movimentata e complessa - in una parola “moderna” - anticipando alcune conquiste spaziale e compositive degli anni avvenire. Alle finte colonne tortili che reggono la trabeazione della Sala della Fama, infatti, dovette guardare anche Bernini, circa un decennio più tardi, per il Baldacchino di San Pietro, una delle opere fondanti lo stile barocco. Immagini tratte da:
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Gennaio 2022
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