“[...] Ho come l'impressione che farsi sparare addosso sia un fenomeno tipicamente americano, al pari della torta di mele, della Coca Cola o del tacchino del Ringraziamento. Ci si spara addosso quotidianamente in America, lo vediamo in TV, lo si legge sui giornali. […] Beh, anch'io l'ho voluto provare”. (Shoot!, 1971) Christopher Lee Burden, nato a Boston, Massachusetts, l'11 Aprile del 1946, lega la sua notorietà d'artista a una serie di performance o azioni estreme che segnano un'acme all'interno della storia della Body Art. ![]()
Studente alla University of Carolina di Irvine, nel 1971, Burden presenta come progetto di tesi di laurea la performance Five Days Locker Piece dove si fa rinchiudere in uno degli armadietti metallici dell'istituto e trascorre cinque giorni e cinque notti in questo spazio angusto e claustrofobico avendo a disposizione solo un contenitore d'acqua per bere e uno per urinare. Il corpo è nascosto, recluso, e sottoposto a un'immobilità forzata e innaturale. L'azione non ha pubblico, o meglio, l'audience è rappresentata dagli studenti dell'Università che durante la frequentazione quotidiana si avvicinano all'armadietto per recare un po' di sollievo all'artista recluso. Le performance dei body artist, per loro natura transitorie, mutevoli e precarie, spesso irripetibili, palesano l'urgenza d'essere fermate, catturate, registrate in un'immagine, in un filmato, in una traccia che ne documenti l'avvenuta realizzazione e che le trasformi in oggetti d'arte, da esporre e inserire nel circuito del mercato. Five Days Locker Piece venne di fatto “oggettualizzata”, fotografata e venduta come pezzo d'arte, come merce.
In Shoot! (1971) la componente d'autolesionismo che sin dall'esordio informa il percorso dell'artista statunitense diviene via via più estrema, eccessiva, esasperata e disturbante, si radicalizza a tal punto da mettere a serio rischio l'incolumità del performer e del pubblico.
“Era per me un'esperienza mentale, vedere come reagivo mentalmente” – ha spiegato in un'intervista del 1979 - “era sapere che alle sette e mezza sarei andato a fare un'azione in cui qualcuno mi avrebbe sparato addosso”. Burden pianifica il proprio ferimento. Convince un amico a imbracciare un fucile calibro ventidue e dalla distanza di circa cinque metri si fa sparare addosso. L'atto si compie in una sala della galleria F-Space di Santa Ana, California, di fronte a un pubblico che assiste alla scena inerte, senza intervenire. Il proiettile avrebbe dovuto colpire solamente di striscio il braccio dell'artista ma l'improvvisato tiratore finisce per centrare in pieno l'arto del compagno trapassandolo da parte a parte. Il proiettile non raggiunge il cuore per un soffio. In Deadman del 1972 si chiude in un sacco di tela e si stende nel mezzo di una strada trafficata di Los Angeles, rischiando di essere investito e di provocare incidenti. L'azione si conclude con l'arrivo della polizia e con l'arresto dell'artista. La performance dal titolo Through the Night Softly del 1973 vede l'artista statunitense scivolare nudo su di un piano cosparso di chiudi, lamette, cocci di vetro e altro materiale tagliente.
Del 1974 è la sua Trans-Fixed in cui si fa crocifiggere sul cofano di un maggiolone, piedi e mani trafitti da chiodi. Il motore viene spinto fuori giri per simulare le urla di dolore di questo Cristo postmoderno.
Doomed ebbe luogo tra le sale del Museum of Contemporary Art di Chicago, nel 1975.L'artista giace steso sul pavimento di una delle sale del museo sotto una teca in vetro di 5x3m, sopra di lui un orologio digitale scandisce la durata della performance. In Doomed l'artista pone in un certo qual modo la sua vita nelle mani degli astanti o dello staff del museo avendo pianificato di restare dentro la teca fino a quando qualcuno non avesse smosso l'inerzia dell'azione, interferendo con una delle tre componenti, il vetro, l'orologio o il performer. Dopo 45 ore dall'inizio della performance un membro dello staff del museo, preoccupato per l'integrità fisica dell'artista, gli avvicina un bicchiere d'acqua. Burden si alza, spezza l'orologio, ed esce dal museo. Le performance di Burden ci mostrano il dolore in tutta la sua crudezza, nudo, palpitante, pulsante, senza filtri, o mediazioni. Ci sconcertano, ci stravolgono, ci scuotono, ci rendono drammaticamente accessibile e fruibile quel carico di sofferenza viva di cui non percepiamo che la flebile eco, distrattamente, dallo schermo piatto della nostra TV in salotto o dallo stereo della nostra utilitaria. E attraverso la sofferenza Burden ci offre occasione di catarsi, di purificazione. Perché solo dialogando con la morte possiamo trovare la nostra rinascita.
Immagini tratte da:
www.arttribune.com
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Gennaio 2022
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