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1/8/2017

Il furto della Gioconda

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“Amici vado al Louvre, serve qualcosa?”
di Marianna Carotenuto
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Tutto accadde nella calda estate parigina del 1911. In un lunedì di agosto, venne rubato dal Louvre il quadro più famoso di tutti i tempi: la Gioconda di Leonardo.                                                                            I sospettati furono più di 1300, ma i primi costretti al carcere furono Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso, il primo per aver dichiarato la volontà di eliminare l’arte del passato in favore di una nuova arte e il secondo per aver usato come fonte di ispirazione delle statue fenice sottratte al Louvre.                                                                                                                                       Successivamente, si scoprì che l’artefice del furto fu un imbianchino italiano, Vincenzo Peruggia, originario di Dumenza, un paese del nord della provincia di Varese.
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Peruggia emigrò in Francia giovanissimo, lavorò al Louvre e partecipò ai lavori per la sistemazione della teca di vetro dove era conservato il dipinto. Conosceva quindi perfettamente il luogo e le abitudini del personale del museo. Rubare la Gioconda e portarla in Italia fu un gioco da ragazzi! Ma quale fu il piano dell’imbianchino?                                                                                               
Peruggia, per dotarsi di un alibi, la domenica notte, organizzò una serata in un caffè con i suoi amici, fece molto tardi, si finse ubriaco e addirittura si fece multare per schiamazzi notturni. Andò a dormire in attesa che arrivassero le sette del mattino, uscì di casa senza farsi notare da nessuno, entrò nel Louvre e, sapendo di trovare il custode addormentato, si diresse verso il Salon Carrè, staccò dalla parete il quadro di Leonardo, tolse la cornice e infilò la tela dentro il suo giubbotto. L’imbianchino conosceva molto bene le abitudini del personale del museo, tutte le possibili vie di fuga che però non usò. Infatti, con tutta calma si diresse verso l’uscita e chiese persino aiuto a un idraulico perché gli aprisse il portone. In un baleno fu così su Rue de Rivoli e poco dopo nel suo appartamento, dove nascose la Monna Lisa sotto il tavolo della cucina. Erano le 8:30 del mattino. Alle nove in punto Peruggia uscì nuovamente di casa, facendosi notare dalla portinaia pettegola e andò di nuovo al Louvre, svegliò con un rumoroso saluto il custode, si scusò con il capo per il ritardo e iniziò a lavorare. Nello stesso momento, il pittore Louis Béroud e l’incisore Frédéric Laguillermie, da poco arrivati al Louvre per studi e ricerche, notarono che la Gioconda non era al suo posto. Di lì a poco la notizia della sparizione del quadro allarmò tutti, tanto da fare il giro del mondo.
Molte erano le ipotesi, alcuni pensavano che la colpa fosse dei tedeschi, altri di un pazzo o addirittura di un maniaco. La vicenda sfiorò il paradosso, dato che lo stesso Prefetto di Parigi perquisì la casa del ladro e, oltre a non trovare nessun indizio, firmò l’atto di perquisizione sullo stesso tavolo che nascondeva il dipinto.                                                                                           
La situazione diventò una tragicommedia. Apollinaire fu arrestato perché ritenuto colpevole del furto. Il suo arresto si basò in realtà su una calunnia del suo ex amante Honoré Géri Pieret che, per vendetta, lo accusò di aver ricettato alcune statuette rubate dal museo. Tali statuette arrivarono nelle mani di Pablo Picasso, amico di Apollinaire, che cercò di sbarazzarsene dichiarando di non aver mai conosciuto il poeta. Ma tutto ciò non aveva nessun legame con la Gioconda. Fu lo stesso Picasso che coniò la famosa battuta “Amici vado al Louvre, serve qualcosa?”.                                 
Intanto il vero autore del furto custodì il dipinto dentro una valigia di cartone per ben 28 mesi!  Peruggia tornò nel suo paese d’origine con la seria intenzione di restituire la Gioconda all’Italia, ma trovatosi in difficoltà economiche, si recò a Firenze per rivendere il quadro. Si rivolse al’antiquario Geri a cui spedì una lettera in cui scrisse: “Il quadro è nelle mie mani, appartiene all’Italia perché Leonardo è italiano” e concluse firmandosi “Leonardo”. L’antiquario accettò di vederlo insieme al direttore degli Uffizi. I due, increduli, si ritrovarono tra le mani il capolavoro di Leonardo, lo stesso quadro che la polizia di tutto il mondo stava cercando. Così, chiesero al Peruggia di avere un po’ di tempo per analizzarlo, inoltre avvertirono le autorità. Vincenzo Peruggia fu arrestato per sette mesi. Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale, morì a Saint-Maur-des-Fossés, nel giorno del suo 44° compleanno.                                                                                                      
Il dipinto ormai ritrovato venne esibito in tutta la penisola: prima agli Uffizi di Firenze, poi all'ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma e, infine, alla Galleria Borghese. La Gioconda arrivò in Francia a Modane, su un vagone speciale delle Ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità d'oltralpe, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carré, venne accolta dal Presidente della Repubblica francese, Raymond Poincaré, e da tutto il Governo.

Immagini tratte da:
Tgcom24.mediaset.it
Linkiesta.it
letteraturaartistica.blogspot.it
cultstories.altervista.org

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