di Nicola Avolio Sappiamo che la città di Napoli e la sua provincia sono ricche di cultura e di tesori, tesori spesso nascosti e, proprio perché nascosti, finiscono per essere dimenticati, a vantaggio di altre bellezze e altri siti dotati di un maggior risalto mediatico. Uno di questi siti che meriterebbe un maggior risalto mediatico-culturale non solo per il luogo in cui si trova ma soprattutto per le ricchezze che esso conserva al suo interno è certamente il Museo Correale di Terranova, sito nella città di Sorrento: esso è una “casa-museo”, ossia un edificio adibito in passato ad abitazione privata e trasformato, in età moderna, in un museo privato, con lo scopo di raccogliere le ricchezze possedute dalla famiglia che un tempo lo abitava e di tramandarle ai posteri. Esso è frutto di una straordinaria vicenda collezionistica di fine Ottocento, che vede come protagonisti due fratelli, Alfredo e Pompeo Correale Conti di Terranova, ultimi discendenti di una delle più antiche famiglie del patriziato sorrentino. Nati rispettivamente nel 1827 e nel 1829 dal matrimonio di Francesco Maria Correale con Maria Clelia Colonna, i due fratelli furono abili e attenti collezionisti, paragonabili al Filangieri e al Placido de Sangro di Napoli, e la loro esistenza trascorse tra le incombenze e gli svaghi consueti e gentiluomini del loro tempo: come puntualmente documentato dai registri di spese tenuto dalla principessa Clelia Colonna di Stigliano, la loro formazione giovanile fu affidata ai migliori maestri ed educatori del tempo, come Giacinto Gigante e Teodoro Duclére (presso i quali Pompeo imparò l’arte del disegno), ed affiancata da una serie di viaggi presso le maggiori capitali europee: Svizzera, Francia e Inghilterra furono per loro occasione di incontri con gli sviluppi del collezionismo internazionale, proprio negli anni in cui a Londra si organizzava la prima Esposizione Universale e a Parigi si inaugurava il Museo Cluny, dedicato alle arti decorative. Spinti dall’analogo impulso che mosse numerosi aristocratici in altre città italiane, come Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, Gian Giacomo Poldi Pezzoli e Federik Stibbert – per merito dei quali nacquero le omonime e prestigiose case-museo – Alfredo e Pompeo Correale disposero che alla loro morte, “per dare maggior lustro alla città di Sorrento, ma anche per evitare lo sperpero di tanti oggetti ed assicurarne la conservazione…”, le collezioni d’arte da loro tramandate e raccolte costituissero un museo privato ed autonomo, intitolato a loro nome. Come sede del Museo i due fratelli prescelsero, tra le tante dimore di loro proprietà, la settecentesca Villa alla Rota, immersa in un verde e lussureggiante aranceto (il quale, purtroppo, resistette fino al 1931, anno in cui il Comune confiscò i terreni della villa per crearne uno spazio pubblico da usare come campo sportivo). Dopo la morte di Pompeo (1900) e Alfredo (1902) e della moglie di quest’ultimo, Angelica de’Medici Principessa di Ottajano (1917), casa Correale fu riadattata e trasformata in museo. Il Museo è dedicato alla raccolta di numerose suppellettili, sia di manifattura occidentale (porcellane di Napoli e Capodimonte, francesi, austriache, tedesche e inglesi) che di manifattura orientale (porcellane giapponesi e cinesi): le seconde prevalgono sulle prime, in quanto i due fratelli vissero nel periodo in cui l’arte e le manifatture orientali iniziavano a diffondersi nel Vecchio Continente attraverso gli scambi commerciali, ed essendo loro viaggiatori ed avendo visitato le più grandi capitali europee dell’epoca, acquistarono nei mercati di antiquariato oggetti di manifattura orientale in quantità industriale. Oggi questi oggetti sono conservati in numerose sale del Museo, tra il primo e il secondo piano, a seguito dell’ultimo allestimento museale effettuato nel 1980, dopo il sisma che colpì l’Irpinia e, di conseguenza, anche la provincia di Napoli, e la collocazione della maggior parte di questi oggetti è assai singolare, in quanto si trovano inseriti in ampie e alte vetrine che, costruite in intercapedini ricavate nelle pareti che stanno a dividere le sale le une dalle altre, permettono l’osservazione degli oggetti su due differenti lati, dunque ampliandone la fruibilità. Questo allestimento contribuisce inoltre a dilatare la percezione spaziale del percorso museale e a conferire maggior luce a quelle sale che sono meno esposte all’illuminazione naturale. Immagini tratte da: - Immagine 1 da - Immagini 2-3-4-5 tratte da foto dell'autore
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Gennaio 2022
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