L’Afrodite di Milo (più comunemente Venere) è una delle opere maggiormente conosciute del mondo antico. Ritrovata nel 1820 da un contadino nell’isola greca di Melos, l’opera purtroppo è priva delle braccia e del basamento. La statua venne sequestrata da un ufficiale turco e poi, dopo varie vicissitudini, fu portata in Francia dove venne mostrata a Luigi XVIII e infine esposta al Louvre.
In base all’iscrizione ritrovata sul basamento, ormai perduto, si è potuto attribuire l’opera ad Alessandro di Antiochia attivo nel II sec.a.C. datandola così al 130-100 a.C. Afrodite è rappresentata in piedi, stante, ed è coperta nella parte inferiore da un veste che le sta scivolando dai fianchi. Le due gambe si stringono affinché il drappo non cada del tutto scoprendola totalmente. La vitalità prorompente di tale opera è data da una parte dal movimento delle gambe, infatti la gamba sinistra si inclina verso il lato destro con il piede sinistro elevato e nascosto dalle pieghe del panneggio e dall’altra dalla solidità del modellato. Un’altra caratteristica è la contrapposizione fra la morbida e delicata pienezza del nudo e l’increspatura violenta del panneggio. Le pieghe del panneggio presenti all’altezza del ventre sono, oltretutto, anche il modo attraverso il quale l’artista è riuscito a nascondere la giuntura delle due parti della statua. Infatti tale opera è stata realizzata lavorando separatamente due blocchi di marmo pario poi messi insieme. Tale opera emana una grande sensualità propria della dea dell’amore. Ma come ha fatto l’artista a donare all’Afrodite questa sensualità?
La geometria delle proporzioni che crea la sinuosità del contorno e la veste che sta per cadere, lasciando intravedere i lombi, creano un effetto sensuale che avvolge completamente lo spettatore.
Così la descrisse Auguste Rodin: “Ecco la meraviglia delle meraviglie! Un ritmo squisito simile a quello delle statue che abbiamo appena ammirato; ma in più, qualcosa di meditativo: perché qui non troviamo più la forma convessa, al contrario, il busto in questa dea si curva un po’ in avanti come nella statuaria cristiana. E tuttavia niente di inquieto né tormentato. Quest’opera è uno dei più alti momenti dell’ispirazione antica: è la voluttà regolata dalla misura, è la gioia di vivere cadenzata, moderata dalla ragione” (L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell).
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Gennaio 2022
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