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1/4/2019

“La Crocifissione” di Guttuso: una tragedia corale

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di Ilaria Ceragioli
Era il 1941 quando il celebre pittore siciliano Renato Guttuso ultimò l’elaborazione della sua opera più nota: La Crocifissione.
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La tela oggi conservata a Roma presso la Galleria Nazionale d’Arte moderna si configura come un vero e proprio grido popolare di opposizione ai regimi totalitari e alle atrocità che ne conseguono.
Nel pieno dello svolgimento del secondo conflitto mondiale, dunque, vedremo come Guttuso decise rappresentare il suo disgusto e la sua disapprovazione agli orrori generati della guerra.
Attraverso l’analisi dell’opera e della sua creazione noteremo come ogni singolo elemento trova la sua ragion d’essere, una sua giustificata presenza all’interno del quadro.
Innanzitutto, l’artista si avvalse di un tema sacro: la crocifissione di Cristo per l’appunto.
L’intento di Guttuso non fu quello di raffigurare Cristo che muore per i peccati di ogni giorno, bensì simboleggiare tutti gli uomini che ogni giorno soffrono e vengono puniti per le loro idee.
Ci troviamo così dinanzi ad un’opera che vuole essere una tragedia corale, un dramma che coinvolge e sconvolge ciascun individuo.
In un primo momento Guttuso pensò di inserire la scena in un interno, in una stanza, come farà Francis Bacon per la sua Crocifissione (1965).

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In seguito, però, decise di collocarla all’aperto come nella tradizione biblica.
Il paesaggio aspro e montuoso ricorda Bagheria, la sua città natale e sullo sfondo compaiono delle rovine.
In primo piano, alla nostra destra, Guttuso ha inserito su un tavolo una natura morta piuttosto insolita, ma non casuale: oltre a qualche bottiglia ed una ciotola, infatti, compaiono forbici, chiodi ed un martello che, inevitabilmente, ci riconducono a quei corpi appena massacrati e torturati.
Osservando la tela, non si può fare a meno di notare un dettaglio inedito che va a caratterizzare la figura di Cristo: il suo volto nascosto dal corpo di uno dei due ladroni.

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Il pittore siciliano affermò di  averlo celato perché ciò che per lui era importante non era raffigurare Cristo, ma un comune uomo torturato.
Un altro particolare interessante riguarda ancora Cristo e i due ladroni: i pugni chiusi.

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Si tratta, infatti, di un espediente che Guttuso utilizzò per manifestare il suo dissenso culturale e politico.
Ancora in primo piano, ma alla nostra sinistra, vi è un cavallo bianco dal collo torto che, immediatamente, rimanda a quello presente nella celeberrima Guernica di Picasso.

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Affianco allo stesso cavallo si scorge un uomo che mostra dei dadi e che nell’immaginario dell’artista avrebbe rappresentato proprio Adolf Hitler.

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Guttuso, di fatto, rivelò ad alcuni amici di aver aggiunto e tolto più volte dei baffi neri e di aver scelto di eliminarli definitivamente per evitare terribili ripercussioni personali.
L’angoscia e l’esasperazione dell’artista si manifestano in questo affollarsi di figure, nei colori impetuosi e violenti e nei movimenti diagonali e divergenti. La scena è così travolta da una forte carica espressiva.
Come possiamo intuire, però, l’opera suscitò feroci e avverse reazioni presso la critica.
I giudizi più aspri furono mossi dalla stampa cattolica e dalla censura ecclesiastica che considerarono il quadro fortemente scandaloso data la nudità dei personaggi, in particolar modo della Maddalena.

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Un attacco a cui l’artista palermitano si difese affermando che  il corpo spoglio di quest’ultima fosse tutt’altro che sensuale e che, per quanto riguardava gli altri, si trattava di uomini che non erano né antichi, né moderni, perciò, vestirli li avrebbe resi banali o volgari. Guttuso trovò così opportuno sottrarli da ogni collocazione temporale.
Per il Regime Fascista si trattò di una bislacca crocifissione e Marziano Bernardi su La Stampa la definì  “monstrum”, un’opera in cui in cui tutto stride, dalla forma e dal colore. Una tela in cui l’artista aveva commesso un grave errore, ossia capovolgere il tema passando dal divino all’umano.
Tuttavia, nonostante le contestazioni iniziali, l’opera godette ben presto di una meritata approvazione.
Immensa, dunque, è l’ ammirazione che si nutre osservando il coraggio di Renato Guttuso che con sapienza, audacia e profondità d’animo decise di mettere al bando quella violenza e quelle atrocità che tutt’oggi ricordiamo con forte turbamento.
 
 
Immagini tratte da:
www.news-art.it
Wikipedia, pubblico dominio, voce: Francis Bacon
www.artemagazine.it
 

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