di Ilaria Ceragioli L’opposizione al Romanticismo italiano, alla cultura risorgimentale e al buonsenso borghese caratterizzarono un gruppo eterogeneo, composto da letterati, pittori e scultori provenienti dall’Italia settentrionale, che passò alla storia come “Scapigliatura”. Un nome piuttosto insolito e bizzarro che deriva dal titolo di un romanzo di Cletto Arrighi, “La scapigliatura e il 6 febbraio” (1862). Si trattava, infatti, di un romanzo che descriveva la vita sregolata degli artisti parigini dell’epoca. L’attività del gruppo va, approssimativamente, dal 1860 al 1880 e fu stimolata dalla presenza di sapienti pittori quali, Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni e dallo scultore Giuseppe Grandi. La tecnica pittorica di Cremona e Ranzoni si fonda sulla sfocatura dei contorni, su pennellate discontinue e luminose e su un’attenta e precisa caratterizzazione psicologica dei soggetti prescelti. I generi preferiti, invece, sono il ritratto e il paesaggio. Tranquillo Cremona nasce da una famiglia di origine ebraiche ed è colui che merita di essere considerato come l’iniziatore della Scapigliatura (in ambito pittorico). Uno stile antiaccademico e un’atmosfera vaga e nebulosa contraddistinguono la celebre opera L’Edera (1878), conservata attualmente alla Galleria d’Arte Moderna di Torino. Il dipinto immortala due giovani innamorati; il musicista Alfredo Catalani e Lisetta Cagnoli, la cognata del pittore. L’uomo stringe a sé la donna la quale, però, non sembra contraccambiare con lo stesso entusiasmo quel tenero abbraccio. Tuttavia, il volto della fanciulla lascia trasparire un forte desiderio. Le due figure si fondono così con lo spazio circostante. L’ambientazione risulta piuttosto confusa, mentre facilmente riconoscibile è il ramo di edera che compare alla destra dello spettatore. Un maggior senso plastico dato dalle pennellate cromatiche si coglie, invece, nella tela di Daniele Ranzoni intitolata I figli del principe Troubetzkoy (1873) e custodita a Milano presso la Galleria Civica dell’Arte Moderna. Il dipinto fu commissionato dal principe Pietro Troubetzkoy, mecenate di Ranzoni e raffigura i suoi tre figli assieme al loro adorato cane. Qui, le figure prendono forma grazie a chiazze di colore generate da pastose pennellate. Interessante, inoltre, è l’emergere di un’accurata caratterizzazione psicologica dei personaggi ritratti. All’interno del gruppo è Giuseppe Grandi ad unire e a far dialogare tra loro scultura, letteratura e musica. Vibrante e viva è la modellazione scultorea che si riscontra nel Monumento alle Cinque Giornate di Milano (1894) situato nell’omonima piazza del capoluogo lombardo. Il monumento richiama alla memoria l’insurrezione popolare del 1848 che portò alla cacciata dell’esercito austriaco dalla città. Le cinque figure femminili, di fatto, rimembrano allegoricamente quei giorni in cui la città fu orgogliosamente e faticosamente difesa dai propri cittadini. Dunque, questa è stata grossomodo la lodevole attività pittorica e scultorea di quegli artisti “scapigliati” che, sapientemente, sono riusciti a dare vita ad un’arte anticonformista, lontana dalla cultura tradizionale, ma destinata ad essere ricordata per l’eternità. Immagini tratte da: www.analisidellopera.it www.analisidellopera.it www.wikipedia.it, voce: Giuseppe Grandi, pubblico dominio
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Gennaio 2022
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