14/11/2016 “L'artista che espose un mongoloide”: Gino de Dominicis e la miopia dei perbenistiRead Now
“Penso che le cose non esistano. Un bicchiere, un uomo, una gallina per esempio, non sono veramente un bicchiere, un uomo, una gallina, sono soltanto la verifica delle possibilità di esistenza di un bicchiere, di un uomo, di una gallina. Perchè le cose possano esisttere bisognerebbe che fossero eterne, immortali. Solo così cesserebbero di essere unicamente la verifica di certe possibilità e diverrebbero cose esistenti”
(Lettera sull'immortalità del corpo, 1969)
L'atteggiamento di radicale svalutazione o azzeramento della realtà e dell'esperienza sensibile (“penso che le cose non esistano”) e la ferrea convinzione che soltanto nella dimensione (a)temporale dell'eternità le cose terrene possano finalmente acquisire significato, sostanza, corporeità (“perchè le cose possano esistere bisognerebbe che fossero eterne, immortali”), sono due dei punti cardine attorno ai quali si sviluppano le riflessioni filosofico-artistiche di Gino de Dominicis, personalità contorta, sfuggente, indefinibile, straodinario protagonista dell'arte italiana del secondo dopoguerra. Se tutto ciò che esiste paradossalmente non esiste davvero ma è soltanto la verifica delle sue possibilità di esistenza anche l'artista vien man mano perdendo la nettezza dei suoi contorni fino a smaterializzarsi, a scomparire, a perire. Annunciando una delle primissime personali a Roma presso la galleria L'Attico di Via Cesare Beccaria, Gino de Dominicis fece redigere e stampare decine di manifesti funebri con il proprio necrologio recanti data Novembre 1969, corrispondente a quella della mostra: L'uomo de Dominicis muore come esistenza anagrafica per sancire la morte simbolica dell'artista (“Gino de Dominicis è nato nel 1947 ma non esiste veramente – si legge in Lettera – essendo soltanto strumento della natura che verifica attraverso di lui alcune possibilità”). L'esasperato nichilismo della Lettera viene oggettualizzato/concettualizzato nelle serie delle sue celebri Opere invisibili.
Cubo invisibile, perimetro tracciato col gessetto bianco sul pavimento della sala espositiva, assieme al suo pendant rotondo, il Cilindro invisibile e a Piramide invisibile, presentati per la prima volta nel 1969 presso la galleria L'Attico a Roma, danno consistenza e plasticità alle riflessioni sull'arte e sulla natura dell'oggetto artistico contenute nella Lettera. “Nel mondo esistono e sono sempre esistite solo opere bidimensionali o tridimensionali, ecco ora alcune opere invisibili di Gino De Dominicis […] Gino con gli oggetti invisibili cambia le carte in tavola rispetto a Pino e a Gianni, ai materiali naturali del'arte povera”, scriveva Sargentini. Gallerista d'avanguardia, attore, regista e scrittore, Sargentini aveva ben compreso l'originalità della ricerca artistica di de Dominicis e la sua alterità rispetto a quelli che erano gli artisti di punta della galleria L'Attico da lui diretta, Pascali e Kounnellis su tutti. È l'invisibilità la vera novità del lavoro di de Dominicis.
La dialettica cerchio/quadrato tornerà nel Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell'acqua del 1969 in cui l'artista viene filmato di spalle nell'atto di gettare sassi dal greto di un fiume. L’uso di un nuovo medium visivo, come il video, gli consentì di comporre un loop di azioni continue, nelle quali gesti e movimenti apparentemente non-sense conducono lo spettatore ad operare delle forzature mentali, per afferrare l’impossibile (letteralmente quadrare il cerchio) e superare quei vincoli imposti dal mondo reale e dal peso corporeo. Tentativo di volo (1969) testimonia della necessità per l'uomo di perseguire l'immortalità del corpo nonostante essa appaia impossibile da raggiungere, come appare impossibile riuscire a spiccare il volo dimenando semplicemente le braccia. Materializzare l'assenza, rendere visibile, concreto, a tratti palpabile l'invisibile, è il teorema sul quale poggia e si sviluppa quel suggestivo e denso gioco ossimorico (“ossimori fisici, opere invisibili, ubique”) al quale de Dominicis sottopone continuamente lo spettatore, in un continuo rovesciamento di senso e ribaltamento di prospettive. Ossimori fisici giocati sul binomio presenza/assenza sono Aspettativa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione tale da generare un movimento spontaneo del materiale (1968) e Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell'attimo immediatamente precedente al rimbalzo (1970). La complessità di questi lavori, pur componendosi di due semplici elementi, rispettivamente una pietra e una palla poggiate sul pavimento della sala, risiede in un doppio e in un certo senso contraddittorio statuto: da una parte la messa in trasparenza dell'invisibile movimento, virtuale nella palla, un auspicio nella pietra, dall'altra il potere del linguaggio dell'arte di fissare, di catturare l'attimo di immobilità. Statue (1970) rientrano nell'alveo semantico dell' invisibilità. Si tratta di uomini invisibili, come già i solidi geometrici, segnalati da ciabatte e cappello di paglia, materiali leggeri, quasi il segno dell'evanescenza e del passaggio all'invisibilità. ![]()
Invitato ad esporre nella sezione Opere e comportamento alla 36° Biennale di Venezia del 1972, De Dominicis presenta Seconda soluzione di immortalità (l'universo è immobile), opera composta da tre dei suoi lavori già precedentemente presentati in pubblico (“summa non aritmetica delle cose che avevo fatto sino ad allora”): il Cubo invisibile (1967), Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell'attimo immediatamente precedente il rimbalzo (1968) e una pietra – più piccola rispetto a quella, squadrata, esposta nel 1969-70 – da titolo Attesa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione, tale da generare un movimento spontaneo della pietra. Questa volta però i tre ogetti sono collocati davanti Paolo Rosa, “el Pinin”, un ragazzo veneziano affetto da sindrome di down che, seduto nell'angolo della sala, li osserva dal proprio punto di vista interno all'opera stessa e opposto a quello degli spettatori. L'installazione è completata dalla presenza de Il giovane e il vecchio (1971) seduti allle due estremità della sala a diversi metri d'altezza dal suolo. L'opera è visibile solamente la mattina dell' 8 giugno 1972, giorno dell'inaugurazione, scatenando da subito polemiche e censure. Distorto dalla miopia dei media l'opera di de Dominicis viene completamente svuotata di senso e ridotta a setrile provocazione. Il Vaticano la giudica un'offesa alla dignità del mongoloide, del subnormale, del minorato (sic), parte del mondo dell'arte un deplorevole incidente. Nei giorni successivi compare al posto di Paolo Rosa una bambina, ma con l'accentuarsi della controversia l'esposizione viene disallestita e la sala viene chiusa. L'artista e il suo assistente sono denunciati alla Procura della Repubblica di Venezia per sottrazione d'incapace alla patria potestà e solo nell'aprile del 1973 assolti perchè il fatto non sussiste. Seconda soluzione di immortalità venne fraintesa, distorta, travisata. Paolo Rosa, il diverso, non avendo ricordi, memoria, né percezione del futuro è, ovviamente per paradosso, immortale. È il bambino affetto da sindrome di down la Soluzione di immortalità enunciata dal titolo. Lo spettatore è invitato ad assumere la prospettiva di Paolo è a vedere i tre oggetti attraverso la sua lente focale, solo così La palla, il sasso, il cubo possono transitare dallo statuto di verifiche a quello di cose esistenti.
Immagini tratte da:
1 www.arengario.it 2 www.exhibitiondesignlab.tumblr.com 3 www.museoastro.altervista.org 4 www.pinterest.com 5 6 www.pinterest.com
1 Commento
stefano
4/11/2020 22:16:09
complimenti per l'articolo, comunque De Dominicis vero genio incompreso
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