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25/7/2017

"L'artista mediocre copia, il genio ruba!" : Maurizio Cattelan o il furto dell'arte

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di Alessandro Rugnone
Foto
Maurizio Cattelan
Foto
Untitled, 2002
Enfant terrible dell'Art Biz, artista da 86,6 milioni di dollari (questa la cifra spesa fino a oggi per aggiudicarsi le sue creazioni), ironico, irriverente, spietato. Questo è Cattelan. Schivo, sfuggente, elusivo, refrattario all'artefatta mondanità dei vernissage, ai riflettori della ribalta, eppure così svergognatamente popolare da collezionare una media di trenta esposizioni l'anno. Questo è Cattelan. Deliziosamente autoreferenziale, narcisista fino all'egolatria, conteso da galleristi, mercanti d'arte e collezionisti d'ogni sorta, schernito dai benpensanti, vilipeso dai soliti alfieri del potevo farlo anch'io (che mi vien lecito pensare e perché non l'avete fatto voi?) ma osannato dalla critica e amatissimo dalla stragrande maggioranza del pubblico, costui, ripeto, a grandissime linee (rigorosamente di lunghezza infinita, citando il maestro Piero Manzoni) è Maurizio Cattelan.
“Non ho mai fatto niente di più provocatorio e spietato di ciò che vedo tutti i giorni intorno a me. Io sono solo una spugna. O un altoparlante.” È una spugna, Cattelan. S'imbeve del blu Kline, del gesso bianco, del caolino liquido e della colla degli Achromes di Manzoni, dell'object trouvé duchampiano, del gioco dadaista, delle accumulazioni post-dadaiste, del gesto espressionista, delle combustioni di Burri, dei tagli di Fontana e, impregnandosi, assorbe, assimila. Se l'artista mediocre copia, plagia, e il genio metaforicamente ruba, s'impossessa intellettualmente di tutto ciò su cui posa la propria ipoteca d'artista, Cattelan è dunque un genio. Su quell'amalgama d'accatto egli appone il proprio personalissimo sigillo o trademark intellettuale e ne prende legittimamente possesso, rendendo di fatto riconoscibilissimo come suo qualcosa che non è affatto suo (la metafora del sigillo e della cera lacca è quanto mai calzante).
FotoUntitled, 1986
Untitled, acrilico su tela del 1986, dà conto perfettamente della carica eversiva di questo gioco mistificatorio. Cattelan squarcia la tela alla maniera di Fontana ma il taglio netto del maestro diventa grottescamente in Cattelan la Z di Zorro, la firma d'un condottiero (s)mascherato in scherno alla tirannia del mercato dell'arte. Tra le migliaia di possibilità di furto che il Novecento ha affinato rispetto all’innocua ispirazione dei secoli precedenti, l'opera più geniale è il celebre foglio della denuncia di Cattelan alla questura di Forlì del furto della sua auto con dentro l'opera invisibile. Furto ovviamente falso, ma denunciato veramente per dare così falsa esistenza a un’opera che non l’aveva affatto (addirittura paradossale il fatto che tale Pep Marchigiani, artista abruzzese, abbia messo a verbale presso il comando dei carabinieri di Montesilvano di aver rinvenuto presso un locale cassonetto di rifiuti la fantomatica opera invisibile a suo tempo trafugata!).
Another fuckin' readymade: works from a stolen exhibition del 1996 gioca sull'idea di liceità, di legittimità del furto in arte, traslando il concetto dal piano puramente metaforico (ispirazione, citazionismo, plagio...) a quello letterale di rapina, di sottrazione. Cercando di spostare l'identità artistica da uno spazio all' altro, il giorno prima dell'opening alla De Appel Foundation di Amsterdam, insieme ai curatori della mostra, Cattelan ruba tutto il contenuto in mobili, opere e carteggi vari della concorrente Galleria Bloom, mettendolo in mostra come suo lavoro alla De Appel. Alla locale polizia non piacque affatto il divertissement post-duchampiano e all'artista venne intimato di ricollocare tutta la refurtiva nel suo luogo d'origine. Picasso (o chi per lui) aveva ragione: l'artista mediocre copia, il genio ruba.

Foto
Another fuckin' readymade, 1996
Foto
La nona ora, 1999

IMMAGINI TRATTE DA:
1 www.lachiavedisophia.com
2 www.oziomagazine.it
3 www.deodat-arte.it
4 www.artnews.com
5 www.arttribune.com

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