di Nicola Avolio Chi studia storia dell’arte, o anche chi ne è semplicemente appassionato, saprà che il museo inteso come luogo di esposizione di opere e mostre pubbliche o private ha avuto una lunga gestazione nel corso dei secoli: i primi nuclei espositivi nacquero negli studioli privati appartenenti ai principi di corte (si ricordino, ad esempio, gli studioli di Federico da Montefeltro e di Isabella d’Este), i quali erano soliti raccogliere all’interno di questi privè, per utilizzare un termine moderno, oggetti di ogni tipo e solitamente di piccole dimensioni. Successivamente alla concezione dello studiolo alcune figure eminenti, tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, resero necessaria l’esposizione al pubblico delle loro collezione, garantendone così la conoscenza e la fruibilità da parte di tutti: in questo caso è bene fare menzione del Palazzo Della Valle a Roma, appartenente al cardinale Andrea Della Valle e della cui collezione, situata nell’hortus pensilis del palazzo, ci sono pervenuti oggi alcuni disegni del Vasari e di Hyeronimus Cock, della collezione di Egidio e Fabio Sassi e della collezione Cesi, una delle più cospicue di Roma e che si estendeva in tutto il cortile della villa del prelato, fino alle rive del Tevere e di cui ci sono pervenute delle testimonianze biografiche dell’Aldrovandi (il quale, nel 1603, donò in eredità la sua collezione di storia naturale, la prima in Italia, al Comune di Bologna affinché venisse tramandata ai posteri e resa quindi fruibile a tutti) e raffigurative di Maarten Van Heemskerk. Ma come si arriva alla prima concezione di museo inteso unicamente come luogo atto a raccogliere oggetti d’arte? Per scoprirlo, bisogna arrivare agli anni compresi tra il 1536 e il 1543: in quegli anni, infatti, Paolo Giovio, vescovo di Nocera, allestì la sua collezione privata, accessibile cioè soltanto a pochi membri d’elìte, di oggetti d’arte nella sua villa di Borgovico, sulle rive del lago di Como, che all’epoca fu considerata una rievocazione della “Comoedia”, la villa che Plinio il Giovane possedeva negli stessi luoghi. Situata sul luogo dove oggi sorge la Villa Gallia, la costruzione aveva al centro un cortile nei cui portici si distribuivano gli oggetti d’arte posseduti dal Giovio; a esso si affiancava un salone decorato con le figure di Apollo e delle Muse – tema molto comune già negli studioli di corte quattrocenteschi – che ospitava invece il nucleo caratterizzante della raccolta. È proprio per questo ambiente che il Giovio utilizza il termine Museo, un termine che viene ora ad indicare, per la prima volta, il luogo deputato all’esposizione di opere d’arte. La principale collezione di questo iocundissimo museo era costituita da alcune centinaia di ritratti di uomini illustri, poeti, artisti, condottieri, pontefici, imperatori, ciascuno dei quali illustrato da un elogium, ossia una sorta di didascalia compilata dallo stesso Giovio. Alla base della collezione c’era il modello delle Vite di Plutarco, cioè una storia vista come l’insieme delle vite dei personaggi eccezionali: idea che incontrò grande successo, tanto che la “serie gioviana” fu replicata a Firenze, dove Cosimo I ne commissionò le copie a Cristofano dell’Altissimo, ad Ambras dell’arciduca Ferdinando d’Austria e da Ippolita Gonzaga. La novità della villa di Borgovico risiede non solo nella diversificazione di ciascun ambiente a seconda del contenuto, ma soprattutto nel fatto che il museo viene consacrato come luogo fisico della conservazione delle raccolte, come spazio dal quale materiali anche non omogenei ricevono una cornice unificante. Il materiale per la stesura del seguente articolo è stato tratto dal manuale “Il museo nella storia. Dallo studiolo alla raccolta pubblica” di Maria Teresa Fiorio, Bruno Mondadori editore, pp. 27-28. L’immagine della villa di Borgovico è stata tratta dal seguente sito: http://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/CO290-00012/
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Gennaio 2022
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