di Nicola Avolio In questo nuovo articolo voglio rivolgere le mie attenzioni ad un dipinto, in particolare l’ultimo, di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, ossia “Il martirio di Sant’Orsola”: commissionato a Napoli dal banchiere genovese Marcantonio Doria (la cui famiglia aveva come protettrice proprio Sant’Orsola) e oggi conservato presso il palazzo Zevallos-Stigliano sempre a Napoli, fu realizzato dall’artista lombardo nel 1610, poco prima di morire. Questo è un dipinto molto particolare, in cui il Caravaggio, che era solito rappresentare nelle sue opere la scena principale avvolta da fasci di luce (la luce divina), si discosta dalla tradizione rendendo lo scenario estremamente buio, crudo e realistico, il che potrebbe fungere da specchio del travagliato periodo che stava attraversando l’artista nell’ultima fase della sua vita. La scena è ambientata nella tenda del tiranno Attila, raffigurato in primo piano sulla sinistra e con abiti secenteschi, il quale, vedendosi più volte rifiutato dalla santa, la trafigge con una freccia, anche se, a giudicare dall’espressione del viso, sembra essersi già pentito del gesto appena compiuto, come a dire “ Cos’ho fatto?”; in primo piano, sul centro-destra, Sant’Orsola, raffigurata pallida in viso ad indicare la morte imminente e nel gesto di ritrarre indietro il petto, come se volesse osservare l’oggetto che l’aveva appena trafitta, rendersi conto del gesto appena compiuto dal tiranno; dietro di lei, a sorreggerla, tre cavalieri, anch’essi rappresentati in abiti moderni e con lo sguardo stupito, quasi come se non volessero credere a ciò che il loro capo aveva appena compiuto (tra essi è presente lo stesso Caravaggio, che si è autoritratto in una smorfia di dolore). Ma ciò che maggiormente colpisce di quest’opera è un cosiddetto “pentimento”, venuto fuori a seguito di un restauro eseguito nel 2005 e che raffigura una mano, collocata tra le figure di Attila e Sant’Orsola quasi come se si fosse intromessa nella scena per provare a fermare il gesto del tiranno: ma a chi appartiene questa mano? Tante sono le ipotesi messe in ballo dagli studiosi, c’è chi pensa appartenga allo stesso Caravaggio, il quale avrebbe voluto personalmente sventare l’esecuzione, c’è chi invece pensa si tratti dell’intervento divino, giunto ormai troppo tardi per impedire che la freccia trafiggesse la santa, e c’è invece chi semplicemente pensa si sia trattato di un errore di raffigurazione da parte dell’artista, un ripensamento o comunque un qualcosa privo di un significato reale, e che l’artista ha accuratamente pensato di “rimuovere” proprio perché non utile, nella sua mente, ai fini della realizzazione dell’opera e allo svolgimento dell’azione. Immagini tratte da:
L’immagine del particolare della mano è stata tratta dal seguente sito: http://senzadedica.blogspot.com/2013/02/il-martirio-di-santorsola-di-caravaggio_8.html Tutte le altre immagini sono state tratte dal seguente sito: https://www.arteworld.it/martirio-di-sant-orsola-caravaggio-analisi/
2 Commenti
gabry
9/5/2020 14:07:20
La mano non è un pentimento e non è un elemento eliminato dal Caravaggio. L'equivoco nasce da una ridipintura parziale oscurante e successiva da parte di qualcuno che ovviamente meriterebbe 0 spaccato in anatomia figurativa dal vero (mentre chi persevera nell'errore interpretativo oggi, oltre ad essere un ignorante come colui/coloro che hanno storpiato il dipinto ab antiquo, andrebbe rieducato in un liceo artistico per almeno vent'anni ). Analizzando la scena attraverso la regolazione luminosità/contrasto di un programma di foto ritocco (Photoshop/GIMP, ecc.), infatti, appare evidente che la "famigerata" mano riapparsa dopo il restauro appartiene al "barbaro" nobilmente vestito (come Attila, che però ha l'armatura) a destra di S. Orsola, il quale, a sua volta, guarda di sbieco verso una donna velata che s'intravede appena in secondo piano tra sé e Attila, probabilmente quella Santa Cunera sfuggita al massacro di Colonia e poi salvata da re Radbod di Frisia (presente al martirio) e, pare a motivo della sua bellezza, portata a Rhenen (Paesi Bassi), dimora di costui. Rimane da capire perché Caravaggio abbia evidenziato con il lampo di luce il volto del nobile barbaro (semplice motivazione iconografica di tipo cristiano legata alla cristianizzazione dei Frisoni/Olandesi o c'è un collegamento con il committente, quel Doria di nobili origini?). Bellissimo e poco noto, invece, il dettaglio della freccia, rappresentata proprio nel momento in cui si sta conficcando nel petto della santa: volendone rendere visivamente il movimento repentino percepito da un ipotetico spettatore lì presente e posto nello spazio dell'osservatore (espediente che immedesima tutti gli osservatori del quadro in quello spettatore), Caravaggio l'ha dipinta quasi trasparente e dissoluta nella forma, con un espediente che anticipa le soluzioni dinamiche del primo Futurismo.
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Franscesca
27/3/2021 19:02:37
Gabry, lei ha avuto modo di osservare il dipinto con una fonte di illuminazione apposita? Lo chiedo perché dalla foto non riesco a individuare la donna "velata" di cui lei parla. Dalla foto, tra attila e il barbaro vedo qualcosa che sembra un panneggio chiaro, illuminato appena da una coda di luce, ma non riesco a intravedere in esso le fattezze di un volto. Che però la mano al centro sia del barbaro alla destra di Orsola è piuttosto chiaro. Ha fatto bene a rimarcarlo.
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