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24/10/2016

Medardo Rosso: sculture di luce

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di Olga Caetani

A partire dagli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento, le ricerche artistiche in pittura  e scultura non proseguirono più in parallelo, ma subirono una sorta di divaricazione a svantaggio della scultura stessa. Lo si percepiva soprattutto passeggiando nelle vie e nelle piazze cittadine di quei paesi che all’epoca avevano da poco raggiunto l’unità nazionale, compreso il Regno d’Italia. Le strade si abbellirono di statue monumentali raffiguranti i momenti salienti, ma anche i singoli “eroi” del Risorgimento, con intenti celebrativi e pedagogici in senso patriottico. Numerose effigi di Garibaldi, Mazzini, Cavour venivano fuse in bronzo con un ritmo quasi industriale che lasciava ben poco spazio all’inventiva dell’artista, obbligato a sottostare ai canoni dell’alta committenza pubblica. Umberto Boccioni sintetizzò chiaramente l’insofferenza per questo genere di produzione artistica con i toni aspri e diretti del suo Manifesto tecnico della scultura futurista, pubblicato nel 1912. Secondo Boccioni, l’unico grande scultore italiano moderno “che abbia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto, di rendere con la plastica le influenze di un ambiente e i legami atmosferici che lo avvincono al soggetto” fu Medardo Rosso. Nato a Torino nel 1858, dopo i primi approcci con la pittura e con il marmo in scultura, intraprese il consueto iter formativo degli artisti del tempo, iscrivendosi ai corsi dell’Accademia di Brera dal 1882. A Milano si avvicinò al movimento artistico-letterario della tarda Scapigliatura, portandone le premesse alle estreme conseguenze e prediligendo tematiche sociali alle scene di vita borghese. Molto presto le sue sculture si affrancarono dai sentimentalismi romantici e da ogni minuzia descrittiva, divenendo fresche e immediate  traduzioni di attimi fugaci tratti dalla realtà circostante. Questo genere di vibranti e vivide opere non poteva essere scolpito in marmo, che richiedeva innanzitutto un’attenta fase progettuale, quindi una lunga lavorazione. Così Medardo adottò la tecnica di modellazione in gesso e soprattutto in cera, conferendo a questi materiali dignità artistica, dato che in precedenza venivano scelti solo per l’esecuzione di bozzetti preliminari. La portinaia, di questo periodo, è raffigurata in un momento rubato al quotidiano. Gli occhi sono infossati e il capo è reclinato in una profonda stanchezza, tale che il mento si fonde letteralmente con il petto, effetto reso possibile dalla duttilità della materia impiegata.
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La portinaia, 1883, gesso, Barzio, Museo Medardo Rosso
In contrasto con i tradizionali metodi di insegnamento, Rosso fu espulso dall’Accademia. Si recò a Parigi, città immersa in un clima culturale che aveva appena conosciuto l’Impressionismo, perciò favorevole alle sue figure dai contorni evanescenti, quasi smaterializzate e fatte di luce, frammenti di visioni da osservare da un punto di vista singolo, secondo il volere dell’artista. La sua partecipazione al Salon des Indépendants del 1886 fu un successo. Perfettamente integrato nella vita parigina, conobbe Zola, Degas, Rodin, la cui poetica del “non finito” è diversa dalle ricerche di vivo dinamismo di Rosso, secondo il quale “come la pittura, anche la scultura ha la possibilità di vibrare in mille spezzature di linee, di animarsi per via di sbattimenti d’ombre e di luci, più o meno violenti, d’imprigionarsi misteriosamente in colori caldi e freddi”. L’età dell’oro o Aetas aurea fissa in cera un’intima istantanea di vita dell’artista: la moglie Giuditta Pozzi è intenta a calmare il pianto del figlio Francesco, sussurrandogli dolci parole di conforto.
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Aetas aurea, cera su anima di gesso, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Problematica nella datazione (probabilmente il 1896), in quanto sconcertante per la sua modernità a queste altezze cronologiche, è Madame X. Il titolo ci suggerisce un volto femminile, ma ogni riferimento fisionomico è qui annullato, complice la luce. Forse si tratta di un’anonima espressione di dolore e angoscia, capaci di far sprofondare la figura in una rarefazione totale dei connotati. Certa è l’ambiguità dell’opera, modellata sia con “il tocco sensuale del pollice, che imita la leggerezza della pennellata impressionista”, come scrive Boccioni, sia con netti colpi di spatola. Le analogie con La musa addormentata di Constantin Brancusi (1910) si sprecano: con la scultura di Medardo Rosso viene a chiudersi l’Ottocento. 
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Immagini tratte da:
- www.scultura-italiana.com
- www.scultura-italana.com
- www.arte.it
- www.centrepompidou.fr

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1 Commento
Gabriella Caselli
5/9/2019 20:22:22

Straordinario Medardo Rosso , in breve la storia dello scultore ben descritta

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