25/10/2016 "Michelangelo secondo me": il citazionismo di Tano Festa tra Rinascimento e Pop ArtRead Now
"Festa sa bene [...] come sia impossibile superare di slancio la distanza e come la storia non sia un impaccio ma piuttosto l’esito di un tracciato e di un percorso capace di armare il procedimento creativo con strumenti di dialogo [...] mediante la pratica della citazione. L’artista non vuole emulare nella tecnica gli antichi maestri, Michelangelo, Van Eyck o Ingres. Egli ne riconosce la distanza e ne amplifica il distacco attraverso l’iscrizione iconografica nei fotogrammi della sua pittura" (A. Bonito Oliva, “Il tallone di Achille. Sull’arte contemporanea”, Feltrinelli, Roma 1988). ![]()
Tano Festa, assieme ai coetanei Mario Schifano, Franco Angeli e ad un nutrito gruppo di giovani artisti poco più che ventenni come Mambor, Fioroni, Tacchi, Cerioli, Lombardi e Kounnellis, fu tra i più significativi protagonisti di quella Giovane scuola di Roma o Scuola di Piazza del Popolo (dal nome della piazza romana dove artisti, intellettuali e letterati erano soliti incontrarsi attorno ai tavoli dello storico Caffè Rosati o nella sede della galleria La Tartaruga in via del Babuino di proprietà del gallerista e mercante d'arte Plinio de Martiis) che fece della Roma dei primissimi anni '60 la città italiana capace più di ogni altra di rispondere in modo originale e indipendente agli stimoli di movimenti artistici di transizione come New Dada, Pop Art, Nouveau Réalisme, che, pur condizionati dai tratti dell’Informale europeo, dell’Action painting e dell’Espressionismo astratto statunitense, aprirono la strada ai caratteri che poi avrebbero dominato l’arte nei decenni successivi. Nato a Roma il 2 Novembre del 1938, Tano Festa si diploma in fotografia artistica nel 1957 presso l'istituto d'Arte in via Conte Verde con uno studio sugli effetti cromatici che si ottengono in camera oscura gettando l'acido direttamente sulla carta fotografica. I disegni che sono rimasti a testimoniare i suoi esordi, tra il 1956 e il 1958, hanno chiare ascendenze surrealiste e sono debitori del magistero del grande pittore surrealista cileno Roberto Matta: "Eravamo tutti attratti dal Surrealismo" – ricorda Renato Mambor – "Tano all'inizio faceva delle cose un po' surreali [...] eravamo entrambi inamorati del primo Matta". Nel 1959 espone in una collettiva insieme a Franco Angeli e Giuseppe Uncini alla galleria La Salita, di Gian Tomaso Liverani, all'epoca una delle più prestigiose a Roma per l'arte contemporanea.
Nel 1960 abbandona la gestualità informale e realizza i suoi primi dipinti monocromi. Sono ampie e omogenee campiture di colore rosso (un rosso che ricorda la luce utilizzata nella camera oscura nella fase dell'impressione fotografica) alternate a strisce di carta imbevute delo stesso colore che solcano la tela verticalmente e la dividono in sezioni non regolari. Nel novembre dello stesso anno Festa, Angeli, Schifano, Lo Savio e Uncini inaugurano a La Salita la nota mostra "Roma 60. 5 pittori". Le strisce di carta imbevute di colore vengono ora sostituite da listelli di legno disposti verticalmente e a intervalli irregolari. Il combine-painting (o assemblaggio) che ne deriva, di chiara impronta oggettuale-Novodadaista-Novorealista, e l'uso di vernici industriali al posto della tempera a olio, contribuiscono a annullare definitivamente la partecipazione emotiva dell'autore. Nel 1962 fanno il loro ingresso nell'arte di Tano Festa gli oggetti. Finestre, porte, armadi, mobili ricostruiti dall'artista secondo una logica straniante e antinaturalistica, privi di cardini, maniglie, serrature, perennemente chiusi. Espone alla galleria Sidney Jais di New York assieme ai principali artisti internazionali interessati alle poetiche dell'oggetto, quelli della corrente definita in america New Dada e in Francia Nouveu Réalisme, dal cui ambito emergerà di lì a poco la Pop Art. Al 1963 appartengono le sue celebri rivisitazioni in chiave pop art dei grandi maestri della pittura del passato da Michelangelo, ad Ingres, a Van Eyck.
La prima figura tratta da un'opera cardine del canone pittorico occidentale ad essere reinterpretata dall'estro dell'artista romano è l'effige del mercante lucchese Giovanni Arnolfini dipinta nel 1434 da Jean Van Eyck ne "I coniugi Arnolfini", celebre tela esposta alla National Gallery di Londra. Tra le sue prime citazioni figura anche la "Grande Odalisca" di Ingres, ora conservata al Louvre ("questa (la Grande Odalisca) mi piace, potrei metterla in un quadro come potrei metterci una pianta, una macchina, una persiana"), ma le immagini tratte da Michelangelo saranno le più frequenti e assidue lungo tutto il percorso creativo ed artistico di Festa. Le opere derivate da Michelangelo si susseguono infatti nella produzione dell’artista senza soluzione di continuità per circa un ventennio, a partire dal 1963. La prima opera di Festa a contenere un'iconografia michelangiolesca è "Particolare della Sistina dedicato a mio fratello Lo Savio" del 1963, citazione dell'Adamo di Michelangelo così come compare sulla volta della Sistina. Francesco Lo Savio era morto nel settembre di quello stesso anno e il tema biblico della nascita della vita nella Creazione di Adamo era associato, in relazione oppositiva, a questo tragico avvenimento. Tratte dallo stesso soggetto sono le due versioni de "La Creazione dell'Uomo" esposte alla Biennale di Venezia del 1964. Si tratta di strutture di legno composte da quattro pannelli verticali, di diverse misure, affiancati e uniti a formare quasi un paravento, al cui interno viene sezionata la figura di Adamo che protende il braccio verso il Creatore. In questi lavori l'immagine antica, tratta spesso da una fotografia in bianco e nero di matrice Alinari, è stampata su carta e trasposta su tela. Su questa immagine poi l'artista interveniva con lo smalto, cancellandone alcuni particolari. Alla galleria La Tartaruga di Roma nel 1964 espone le prime opere dove appare un nuovo particolare dell'opera michelangiolesca, la testa dell'Aurora, una figura scultorea appartenente al complesso monumentale delle tombe di Giuliano e Lorenzo de' Medici nella Sacrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze. Il soggetto michelangiolesco questa volta viene realizzato attraverso la tecnica della proiezione su tela (con proiettore), ricalco a mano e campitura a smalto. A New York, nel 1967, Festa torna ossessivamente sull'iconografia michelangiolesca dipingendo quasi esclusivamente il particolare dell'Aurora delle tombe medicee e intitolando le sue tele "Michelangelo according to Tano Festa". Furio Colombo, presentando una selezione di queste opere alla galleria Arco d'Alibert nel 1968, poi riproposta alla galleria Il Punto di Torino, scriverà: "Si è portato un'ossessione in classe turistica da Roma a New York e da New York a Roma, come si porta una malattia, un sogno ricorrente, una storia d'amore [...]" Il raffinato citazionismo di Festa disseminerà l'intera produzione degli anni '70/'80 di omaggi alla grande arte antica e del recente passato (Leonardo da Vinci, Turner, Velasquez, Manet, Cezanne su tutti) instaurando coi Maestri un dialogo mai sterile e pedissequo ma sempre proficuo e fecondo di suggestioni e di sviluppi che accompagnerà l'artista romano fino alla morte sopravvenuta precoce all'età di quarantanove anni.
Immagini tratte da:
1 www.piccolenote.ilgiornale.it 2 www.gruppodipiombino.blogspot.it 3, 4, 6, 7, 8 www.artslife.com 5 www.dagospia.it
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