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10/7/2018

Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano

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di Olga Caetani
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​Quattro grandi schermi introducono lo spettatore alla mostra Dawn of a Nation. Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano (Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22 luglio 2018), giusto per citare alcuni capisaldi cronologici e stilistici, all’interno dell’ampio ventaglio di artisti e di opere estremamente significative, che hanno segnato la storia dell’arte italiana del secondo dopoguerra e non solo. Le immagini proiettate riassumono il periodo che dalle ceneri dell’ultimo conflitto mondiale conduce al Sessantotto, del quale quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario. Il referendum istituzionale, la riforma agraria, il boom economico e le sue conquiste tecnologiche alla portata di tutti, la televisione, l’intramontabile bellezza di Mina con la sua voce possente, lo sguardo malinconico di Pasolini, celato dai suoi iconici occhiali da sole, la corsa allo spazio e la politica estera sono tutte immagini segnanti un’epoca, che sembra emanare il luccichio dell’oro. I primi anni Cinquanta appaiono come un nuovo Risorgimento, un’alba dopo la lunga notte del Fascismo e della guerra, testimoniato dalla grande tela di Renato Guttuso celebrante La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (1951-1955). 
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​Il rigore figurativo e la drammaticità neorealista dell’opera, tanto cara all’ideologia del Partito Comunista Italiano, sono immediatamente posti in forte contrasto con il Comizio di Giulio Turcato (1950), sulla parete retrostante, assunto a baluardo dell’astrattismo italiano, capace anch’esso di esprimere le problematiche storiche, politiche e sociali del Paese, sebbene con un linguaggio assai più libero e innovativo.
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​In quest’ottica appare la lettura del décollage di Mimmo Rotella, raffigurante i frammenti de L’ultimo re dei re (1961). La sala successiva costituisce un “primo inciampo” per l’arte italiana, come ci suggerisce il curatore Luca Massimo Barbero, la quale, nell’ambito dell’Informale, compie una profonda riflessione sulla materia. Al fianco dei Sacchi di Alberto Burri, dominano le tinte scure e corpose dell’immenso Scontro di Situazioni ’59-II-1 di Emilio Vedova e della terracotta Al limite della notte II (1960) di Leoncillo Leonardi, illuminate soltanto dal riverbero della lastra di rame, lacerata verticalmente dalla forza di Lucio Fontana (Concetto Spaziale, New York,10, 1962), a ricordare i grattacieli della metropoli statunitense. 
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​Dall’oscurità del “limite della notte”, si passa al candore quasi accecante della sala dedicata ai monocromi, una sorta di “giardino incantato”, dominato dall’albero in ferro dipinto di Pietro Consagra (Ferro trasparente bianco II, 1966). Siamo forse giunti al momento più spettacolare, dal punto di vista scenografico e allestitivo, della mostra. Si sperimentano i nuovi materiali sintetici messi a punto dall’industria chimica, come la plastica o il vinavil, accolti come scoperte eccezionali, ignorando le conseguenze ambientali che un loro smodato uso avrebbe provocato in futuro, ma anche semplici bende, tele cucite, perfino il cibo messo quotidianamente sulla tavola. Piero Manzoni, con la sua fenomenale irriverenza e genialità al contempo, è assoluto protagonista in tal senso, con la serie degli Achromes (dal 1957), fino alle estreme provocazioni costituite dalle uova firmate dall’impronta del suo dito e dalla Merda d’artista, 1961. 
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​Jannis Kounellis, Pino Pascali e Michelangelo Pistoletto conducono poi, progressivamente, a una definizione concettuale della realtà, privata di orpelli descrittivi. Di grande interesse risulta il focus sulla pittura “lenticolare” di Domenico Gnoli, unico esempio di ritorno al figurativo in questo periodo, ma da un punto di vista del tutto personale, quasi straniante e metafisico, ispirato anche dai cambiamenti sociali e di costume. L’abito comincia a “fare il monaco e la monaca”, in un’Italia nella quale il proprio status sociale conta sempre di più. 
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​Dal politicamente scorretto di Manzoni e delle prime opere di arte concettuale, la mostra si fa politicamente impegnata, con Franco Angeli, Mario Schifano e Tano Festa, fra i più importanti rappresentanti della Pop Art italiana. Si raffigurano i simboli delle ideologie politiche contemporanee e del recente passato, ma anche fatti di cronaca, in un’ottica di contestazione e protesta, come vuole esprimere, quasi urlando, il gigantesco No (1962), di Schifano. 
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​Ecco allora la visione cartografica della Penisola, appesa con una fune al contrario, a ricordare la pagina nera degli eventi di Piazzale Loreto, realizzata nel caldo 1968 da Luciano Fabro. L’identità nazionale italiana sembra aver raggiunto una propria definizione ed è pronta, attraverso l’Arte povera di Alighiero Boetti, a parlare un linguaggio internazionale, giovane e rivoluzionario, o almeno desidera ardentemente uno sviluppo in questa direzione, e ben lo suggerisce Gino De Dominicis, con la processualità del suo Tentativo di volo (video di azioni di vari artisti, raccolte da Gerry Schum in Identifications, 1970): un librarsi tutt’oggi non ancora compiuto.   
Per informazioni sulla mostra: www.palazzostrozzi.org/mostre/nascita-di-una-nazione

Immagini tratte da:
www.palazzostrozzi.org

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