![]() Se a Klein avessimo chiesto ragione dei suoi Monochromes (o Monocromi), campiture monocromatiche su tela, lui, Yves-le monochrome, avrebbe probabilmente preso a narrare un'antica parabola persiana a lui cara e che più o meno recita così. "C'era una volta un flautista che un giorno si mise a suonare una nota unica, continua e ininterrotta. Dopo aver fatto così per vent'anni, sua moglie gli fece notare che gli altri flautisti producevano un'ampia gamma di suoni armoniosi e persino intere melodie, creando una certa varietà. Ma il flautista monotono replicò che non era colpa sua se egli aveva già trovato la nota che tutti gli altri stavano cercando". E Yves quella nota unica, continua e ininterrotta l'avrebbe riprodotta ossessivamente per l'intero arco della sua brevissima esistenza quasi a voler schernire la vuota varietà degli altri flautisti la cui tronfia orchestrazione di suoni armoniosi e persino di intere melodie maschererebbe altresì un'impietosa mancanza di verità. “Sono giunto a dipingere il monocromo […] perché sempre di più davanti a un quadro, non importa se figurativo o non figurativo, provavo la sensazione che le linee e tutte le loro conseguenze, contorno, forme, prospettiva, componevano con molta precisione le sbarre della finestra di una prigione.” Linee, contorni, forme e prospettive verranno assorbite da quell'unica stesura di colore, uniformante, compatta e avvolgente, che tinteggerà lo spazio della tela nella sua totalità e andrà a realizzare un'intensa campitura monocromatica dall'impatto visivo violento, dirompente. Il senso di vuoto, l'angoscia dell'infinito, dell'indefinito, dell'immateriale, queste le sensazioni suggerite allo spettatore da quell'unica nota cromatica stesa ad ampie e decise pennellate sulla tavola e ripetuta ossessivamente opera su opera, tela dopo tela, in un'attività febbrile, prolifica ed intensa, interrotta soltanto dalla morte sopraggiunta prematura all'età di trentaquattro anni. Nel febbraio del 1956 Klein partecipa all’esposizione parigina nella “Galerie Colette Allendy” intitolata “Yves: Proposition monochrome”; qui inizia a far conoscere le proprie opere e cerca di verificare l’impatto della pittura monocroma sul pubblico. Lavora perlopiù con tonalità calde, morbide, come le nuance del giallo, dell'arancio, del rosso, ma il lavoro non lo soddisfa. I dieci monocromi presentati, ciascuno di un colore diverso, creano a suo dire una “policromia decorativa”, effetto del tutto lontano dalle intenzioni dell’artista convinto che il colore debba necessariamente svincolarsi dalla sua natura decorativa, ornamentale, per farsi esso stesso significante, per “rappresentare qualcosa in sé”. ![]() Klein decide quindi di limitarsi a lavorare con un unico colore che di conseguenza avrebbe dovuto essere straordinario, intenso, evocativo. Sceglie il blu, o meglio, una particolarissima sfumatura di blu oltremare, che l'artista definisce“l'espressione più perfetta di blu. Il blu: la verità, la saggezza, la pace, la contemplazione, l’unificazione di cielo e mare, il colore dello spazio infinito, che essendo vasto, può contenere tutto. Il blu è l’invisibile che diventa visibile. Non ha dimensioni. E’ oltre le dimensioni di cui sono partecipi gli altri colori”. Dal 1957 incomincia la fase che verrà definita “epoca blu”, in cui il colore da lui creato, l’ IKB (International Klein Blue) e poi brevettato il 19 maggio del 1960, sarà l’unico protagonista. Il pigmento blu purissimo impiegato nella miscelazione dell'IKB non perdeva la sua naturale brillantezza grazie ad un solvente particolarissimo, una resina sintetica usata normalmente come legante, il Rhodopas M, prodotta dall’industria chimica Rhone–Poulenc, che Klein, insieme con il suo amico Edouard Adam, diluì in una soluzione di alcol etilico e aceto d’etile al 95%. Così miscelata la resina divenne un ottimo legante per i grani del pigmento stesso, ed era particolarmente adatta al blu oltremare in quanto non ne modificava la tonalità. Ai grandi monocromi blu si alternano in questi anni creazioni in cui il pigmento blu sviluppato sapientemente da Klein viene utilizzato su diversi altri rilievi scultorei, dalla statuaria classica, come per la celebre Victoire de Samothrace o la Vénus bleu, a quella rinascimentale, come per L'Esclave de Michel-Ange, a composizione più squisitamente astratte o che denotano l'interesse vivo dell'artista per la cosmogonia come per la serie dei Globe terrestre bleu, mappamondi imbevuti del blu da lui brevettato.
![]() L'idea per una nuova serie di opere, le Anthropométries, si può sicuramente mettere in relazione alla passione di Klein per il judo, in particolare all'impronta del corpo che rimane sul materasso dopo la caduta. I primi esperimenti di Klein avvennero il 27 giugno 1958: applicò della vernice blue su una modella nuda e la fece rotolare su un foglio di carta steso sul pavimento. I risultati però non lo soddisfecero perché le impronte erano troppo casuali, come l'action painting di Georges Mathieu, che riscuoteva gran successo in quel periodo a Parigi. L'idea di disegnare con "pennelli viventi" continuò ad affascinarlo. La première pubblica ebbe luogo la sera del 23 febbraio 1960 nell'appartamento di Klein. La modella, sotto la supervisione dell'artista, impresse il suo corpo su un foglio di carta affisso alla parete. Le forme del corpo erano ridotte agli elementi essenziali del tronco e delle cosce, e veniva prodotto un simbolo antropometrico, cioè quello relativo al canone delle proporzioni umane. Klein lo ritenne l'espressione più intensa dell'energia vitale immaginabile. La carriera di Klein coprì a malapena l’arco di un decennio ma questo bastò a imporre la sua opera sulla scena parigina ed europea come una sorta di tabula rasa che ha prodotto un nuovo impulso alla ricerca artistica degli anni 60. I quadri, le sculture, gli scritti, la vita quotidiana dell’artista sono impossibili da scindere l’una dagli altri. Klein ha influenzato quasi tutti i pittori della sua generazione e di quella che gli è succeduta, ma non ha creato una scuola ne pu venir chiamato maestro da alcuno; ha lasciato un eredità impossibile, perché tutto il suo lavoro, la sua ricerca, non sono altro che un’organica filosofica utopia. “La mia vita dovrebbe essere […] una nota continua, liberata dall’inizio alla fine, legata ed eterna al tempo stesso perché essa non ha né inizio né fine…”. Unica, continua e ininterrotta come la nota del flautista dell'antico racconto persiano. Immagini tratte da:
www.yveskleinarchives.org
1 Commento
Edoardo
22/10/2017 13:00:56
Molto interessante, scorrevole e curioso
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