Benestante agente di banca e pittore part-time, Paul Gauguin dal 1879 iniziò a collezionare opere pittoriche di artisti a lui contemporanei e ancora poco noti, come Cézanne e Pisarro, assimilandone la lezione. Nell’aprile di quell’anno, su invito di Degas e dello stesso Pisarro, prese parte alla quarta mostra impressionista. L’accoglienza della critica fu tiepida e il successo alle mostre seguenti altalenante. Gauguin non riuscì a guadagnarsi le simpatie di Renoir e Monet, il quale, più tardi, confessò di non averlo mai preso sul serio nelle vesti di pittore. In realtà, la crisi che aveva investito le banche francesi nel 1882 indusse Gauguin a dedicarsi alla pittura a tempo pieno, nel tentativo, mal riuscito, di far fronte alle nuove ristrettezze economiche. Con il 1886 si concluse la grande stagione dell’Impressionismo. Dei suoi maggiori protagonisti, Gauguin, alla fine della sua carriera, scrisse con disprezzo che “studiarono il colore esclusivamente come effetto decorativo ma senza libertà, perché non superarono l’impaccio della rappresentazione”. La ricerca della semplificazione formale e il rifiuto della moda del pointillisme spinsero Gauguin a lasciare più volte la vita parigina all’insegna della modernité per immergersi in culture dal sapore arcaico e primitivo, come quella di eredità inca, con la quale era entrato in contatto durante l’infanzia trascorsa in Perù. Risalgono infatti ai suoi viaggi in Bretagna, a Tahiti e nelle Isole Marchesi i suoi capolavori.
L’aspro e selvaggio promontorio della costa nord-occidentale della Francia ispirò opere come La visione dopo il sermone. Gauguin, allo stesso modo di Émile Bernard e di altri giovani artisti che trascorrevano l’estate nella cittadina bretone di Pont-Aven, fu attratto dal folklore e dal misticismo religioso delle donne del luogo, con il tipico costume dalla candida cuffia inamidata. Il rosso infuocato e bidimensionale che fa da sfondo all’episodio biblico di Giacobbe che lotta con l’angelo - immagine che riecheggia l’omonimo dipinto murale della chiesa parigina di Saint-Sulpice, realizzato quasi trent’anni prima da Eugène Delacroix - preannuncia l’antinaturalismo del colore dei Fauves. Non mancano i riferimenti alle stampe giapponesi in voga all’epoca, nel curvo tronco d’albero che divide diagonalmente la composizione.
L’uso del colore liberato da ogni illusione di realtà ritorna ne Il Cristo giallo, le cui rigide e taglienti fattezze guardano alla scultura lignea medievale. Marcate linee scure delimitano le campiture di colori accesi e in prevalenza primari, conferendo loro risalto
La colonizzazione francese aveva trasformato le incontaminate spiagge polinesiane in un paradiso perduto, già sul finire del XIX secolo. L’ipocrisia occidentale, introducendo nelle isole il cristianesimo, dall’altro costumi e pratiche come la prostituzione, sconosciuta tra la popolazione maori, rischiò di far perdere la memoria delle tradizioni locali, ricostruite pazientemente da alcuni antropologi. Gauguin si servì anche dei loro studi per realizzare i dipinti dei soggiorni tropicali. La primigenia bellezza delle donne tahitiane è celebrata, tra le altre, nell’opera Aha oe feii? (Come! Sei gelosa?) del 1892. I monumentali corpi bruno-dorati delle due fanciulle riposano su una spiaggia dalla sabbia rosea, lambita dal mare che riverbera colori in senso puramente pittorico e non naturalistico.
Il testamento spirituale dell’artista, che morirà pochi anni dopo, nel 1903, malato e tormentato dai debiti, è rappresentato dalla grande tela intitolata Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Come se si trattasse di un antico affresco, gli angoli superiori “rovinati” lasciano intravedere un fondo oro. Gauguin, in una lettera all’amico De Monfreid, suggerisce di leggere l’opera procedendo da destra verso sinistra. In un lussureggiante Eden tropicale, nel quale uomini e animali convivono, alcune donne sedute sembrano fissare l’osservatore rivolgendogli i propri dubbi sull’esistenza. Poco oltre, un Adamo dai lineamenti polinesiani sta cogliendo un purpureo frutto. L’idolo azzurro della dea Hina rappresenta l’aldilà, e corrisponde idealmente al vertice della piramide con alla base le tre età dell’uomo. Una speranza si intravede: la lucertola, stretta negli artigli dell’uccello bianco al margine estremo del quadro, è simbolo di fede e resurrezione.
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Gennaio 2022
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