2/5/2017 PILLOLE DI ARTE CONTEMPORANEA Gino de Dominicis, “Mozzarella in Carrozza”e “Lo Zodiaco” (1970)Read Now
“Il termine arte concettuale, origine americana, in Italia è molto piaciuto, forse perché ricorda nomi di persona molto diffusi come Concetta, Concezione, Concettina etc; e viene di continuo usato stupidamente per etichettare tutto ciò che in arte non è immediatamente riconoscibile”
(G. de Dominicis, in Quadri & Sculture, anno VI, numero 33)
“L'epiteto romantico”, scrive il Praz in La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, “è un'approssimazione da lungo tempo entrata nell'uso […]. Come un'infinità d'altre parole d'uso corrente, quelle approssimazioni hanno un valore e rispondono a una funzione utile, purché si trattino per quello che sono, cioè come approssimazioni, e non si pretenda da esse quel che non possono dare, cioè esattezza di stringente pensiero”. Limitatamente al linguaggio della critica d'arte e seguendo il solco già tracciato dalle considerazioni del Praz, è possibile, a mio avviso, considerare il termine concettuale come un'utile approssimazione, una categoria empirica che, seppur imprecisa, inesatta, se “la si mette alla porta esorcizzandola con logica che non erra, essa rientra cheta cheta dalla finestra, ed è sempre lì tra i piedi, elusiva, assillante, indispensabile”. Irrinunciabile seppur tremendamente irritante. Il proverbiale male necessario, insomma. Un passepartout critico “usato stupidamente per etichettare tutto ciò che in arte non è immediatamente riconoscibile o catalogabile”. Ma se l'etichetta di concettuale aderisce perfettamente a molti degli epigoni di Duchamp, per quanto riguarda la galassia artistica di de Dominicis, così straordinariamente indefinibile, sfuggente ed elusiva, ogni tentativo di classificazione, di inquadramento e di sistemazione teorica risulterebbe totalmente vano e criticamente inappropriato.
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Lavori come Mozzarella in carrozza, presentata alla storica galleria L'Attico nella collettiva del 7 Febbraio del 1970, sebbene da taluni considerata un'opera concettuale, di fatto ne formalizza l'esatto contrario. Le parole infatti vengono materializzate, visualizzate. È inoltre la dimostrazione, ironizzando sui meccanismi di decontestualizzazione e defunzionalizzazione interni all'arte di un genio come Duchamp, che la mozzarella rimane tale pur se poggiata sui sedili in pelle d'un cocchio principesco. Il meccanismo preconcetto secondo il quale l'insignificante object trouvé duchampiano assumerebbe i tratti dell'opera d'arte soltanto perché esposto in un museo e che quindi un tasso di artisticità si trasmetterebbe metonimicamente dal contenitore al contenuto viene così miseramente decostruito.
In principio era l'immagine, capolavoro pittorico oggi esposto al MoMA di New York, viene accostato a un water in una delle collettive degli anni '80 organizzata negli spazi espositivi della galleria di proprietà di Gian Enzo Sperone a Roma. Il water resterà tale e non subirà alcuna miracolosa trasformazione per la sua prossimità al quadro esposto.
Alla sua seconda personale a L'Attico nell'aprile del 1970 de Dominicis presenta per cinque giorni Lo Zodiaco. L'opera è pensata dall'artista come una sorta di tableau vivant. I segni zodiacali, rappresentati tutti da esseri umani o animali vivi ad eccezione dei Pesci, sono disposti a semicerchio e presentati al pubblico, immobili, per i cinque giorni della mostra. Le dodici figure dell'oroscopo dismettono così la loro piatta bidimensionalità da almanacco illustrato per acquisire rilievo, spessore, plasticità. Ogni significato simbolico viene deliberatamente annullato a favore d'una esatta corrispondenza tra parola ed immagine. Si celebra così il trionfo dell'oggetto e la morte del concetto.
Immagini tratte da:
1. 2. 3. 4. www.fabiosargentini.it
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