"I soggetti che preferisco trattano la vita quotidiana degli americani più svantaggiati o delle classi medie. La vera realtà della loro vita è colta in questa rassegnazione, in questo vuoto, questa solitudine. Di fatto, benché realista, la forma umana non mi interessa, ma piuttosto il volto che ha sofferto come un paesaggio da cui traspare l'erosione del tempo"
(Duane Hanson)
Una donna carica di buste della spesa è ferma, in piedi. Forse sta aspettando il pullman che la riporterà a casa o il verde del semaforo per attraversare la strada. La sua figura è pingue, le borse che tiene fra le braccia sono piene e mostrano i brand dei negozi dove sono state acquistate. Se la Pop Art aveva celebrato il consumismo sfrenato della vita americana, la riflessione di Hanson ne sgretola l'ipocrita façade per restituirci nella sua deplorevole nudità il volto di quell'America bulimica, alienata e schizofrenica che vagola confusa e disorientata ai margini della Factory. La Campbell's soup, la Coca-Cola, le Brillo boxes e le altre icone pop di Warhol (e accoliti) gonfiano gli shopper (e le pance) di questi derelitti, “esclusi, esseri psicologicamente handicappati […] che conducono un’esistenza di calma disperazione”, sul cui vuoto, sulla cui solitudine, sulla cui frustrazione e angoscia Hanson conduce spietatamente la sua lucida analisi. L'artista statunitense, originario del Minnesota, trasforma i suoi soggetti in sculture, li presenta isolati, come se fossero stati sottratti per un istante alla frenesia della folla che li circonda, per strada o al supermercato. Attraverso questo isolamento (non dissimile a quello delle cavie in laboratorio) cerca di far emergere la “vera realtà della loro vita”, di cogliere nei loro volti sovrappensiero la solitudine, la rassegnazione, la stanchezza. Realizza delle istantanee senza tuttavia far ricorso alla fotografia, troppo fissa, rigida e fredda per poter fare da modello. “Faccio fare un calco direttamente sul corpo del soggetto, lo colo in fibra di vetro e resina, poi lo rielaboro e metto insieme”. L'illusione di realtà è resa ancor più verosimile dal fatto che quei calchi son agghindati con veri vestiti. La donna ha veri occhiali sul naso, la borsa è una borsa di pelle e le buste dei negozi sono effettivamente buste di plastica e di carta. Tutto collabora all'effetto di mimesis, a mostrarla come una persona in carne e ossa. Il visitatore può avvicinarla fisicamente trovandosi essa, come tutte le creazioni di Hansen, al centro dello spazio espositivo, senza nessunissimo filtro o schermo a definirne la natura d'oggetto d'arte. Potrebbe essere vera (“Vorrei che respirassero”, è ciò che si vocifera abbia detto l'artista avvicinandosi a una delle sue sculture in resina sintetica, peraltro facendo eco al michelangiolesco “Perché non parli?”). Vera, più vera del vero.
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Gennaio 2022
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