di Olga Caetani La Lezione di anatomia del dottor Tulp è l’opera che consacra la fama del giovane Rembrandt van Rijn appena trasferitosi ad Amsterdam da Leida, città ricca e fiorente sulle sponde del Vecchio Reno, ove era nato e aveva appreso i primi rudimenti di pittura, ma ormai troppo piccola e poco stimolante dal punto di vista artistico per attendere alle numerose commissioni che gli giungevano dalla capitale. Raccapricciante nella puntualità dei dettagli anatomici del cadavere, sezionato sotto gli occhi dello spettatore, il ritratto di gruppo dei chirurghi di Amsterdam, si trasforma in una drammatizzazione scenica delle loro reazioni, sospese tra interesse e stupore. Complice, senza dubbio, è la luce, proiettata come un faretto teatrale sui volti degli astanti contro lo sfondo scuro. La stesura pittorica accurata e serica lascerà il posto a un tratto più rapido, vibrante e chiaroscurato nelle opere della maturità, come in Ronda di notte, capolavoro di Rembrandt. Il titolo, quanto mai fortunato, è in realtà frutto di un errore settecentesco: la scena si svolge in pieno giorno, all’interno della Sala della Guardia del Municipio di Amsterdam, quando il capitano Frans Banning Cocq, in abito scuro e con la fascia rossa del comando, ordina di mettere in marcia la sua compagnia. La scelta del momento rappresentato è rivoluzionaria e trascende i canoni del ritratto di gruppo. Rembrandt inserisce infatti alcuni elementi allegorici, come il tamburino delle cerimonie festive che corre tra gli archibugieri, e la massiccia arcata sullo sfondo, simbolo della difesa della città. Il risultato è una complessa messinscena barocca di grande impatto per lo spettatore, tanto che “non ci si sottrae all’impressione vivissima di udire i colpi degli spari e il battere del tamburo di questo rumoroso corpo di guardia”, come scrive Tomaso Montanari. Osservando l’Aristotele che contempla il busto di Omero sembra quasi di trovarsi di fronte a uno shakespeariano Amleto. L’illuminazione del proscenio, l’attualizzazione del personaggio storico e il congelamento dell’azione ricordano la matrice caravaggesca dell’arte di Rembrandt, mediata dai pittori olandesi suoi connazionali, come Gerard van Honthorst, che, viaggiando in Italia, ne avevano avuto conoscenza diretta. Aristotele non veste propriamente abiti contemporanei, bensì un sontuoso costume di scena, e dalla catena d’oro pende un medaglione con il ritratto del suo discepolo Alessandro Magno. L’identificazione del personaggio è chiara, ma l’atmosfera ricorda quella del celebre soliloquio. Uno spirito teatrale infonde tutta l’opera di Rembrandt, per il quale l’artista diventa anche attore, ovvero “interprete convincente e credibile di un’espressione, di un volto, di una psicologia”, da saper riprodurre abilmente sulla tela. La lunga serie di autoritratti del pittore, copiati dai suoi allievi “per imparare ad appropriarsi degli affetti, degli stati d’animo, dei gesti di un’altra persona”, testimonia questa originale concezione dell’arte e del teatro. Galleria di autoritratti di Rembrandt Senza questa profonda indagine di sé, priva di vanità e abbellimenti, Rembrandt non avrebbe saputo restituirci mirabili ritratti, come quello dell’amico e protettore Jan Six. L’acquaforte che lo ritrae immerso nella lettura, in una posa spontanea e totalmente incurante dell’osservatore, fa pensare a un’istantanea tant’è la sua modernità, mentre, la versione a olio, apparentemente più tradizionale, è un “non finito” estremamente vivido e naturale, che con le sue grosse e materiche pennellate sciolte ci dà un precocissimo assaggio di quella che sarà la tecnica impressionista del colore. Fonti bibliografiche:
Immagini tratte da:
Potrebbero interessarti anche:
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Gennaio 2022
Categorie |