Pisano d’adozione, ma siciliano di nascita, Francesco Raffa ci accoglie nella sua casa-studio, a due passi dalla centralissima via Borgo Stretto, con l’ospitalità e il calore che soltanto chi viene dal Sud è capace di regalare. Fin dall’ingresso, le pareti mostrano alcune delle numerose opere dell’artista: una natura morta con peonia, il ritratto della moglie Giulia, una delle tele appartenenti alla serie “La danza dell’Universo”. Mentre aspettiamo che sia pronto il caffè, Francesco ci conduce nel suo studio, ordinato e ben organizzato, dove ha appena interrotto un nuovo lavoro per riceverci. La nostra intervista ha inizio qui, nel luogo di concezione e gestazione delle opere, sotto forma di una chiacchierata informale, tra amici che condividono la medesima passione per l’arte e per il suo mondo. A tal proposito, scopriamo subito quanto quest’ultimo oggi, in Italia, possa essere ostile nei confronti di un giovane artista: “vorrei che qui ci fosse la stessa gioia per l’arte che c’è all’estero!”, ci rivela Francesco, con scarsa sorpresa da parte nostra, purtroppo. “Ho esposto in alcune gallerie di Londra e Southampton, inizialmente presentando le mie opere con i titoli tradotti in inglese. I galleristi mi chiedevano invece di lasciarli in italiano, come se per il pubblico estero essere italiano significhi avere una qualifica in più nel campo dell’arte, quasi a priori”. Immaginavamo che ci fossero delle differenze tra il pubblico straniero e quello italiano, per quanto riguarda la ricezione di un’opera d’arte… “Sì, e grandi differenze vi sono anche nella gestione delle gallerie, che danno la possibilità di esporre gratuitamente, tornando a essere il braccio destro dell’artista. In questo modo, se da un lato vi è molta selezione, dall’altro si ottengono qualità e predisposizione alla vendita. Attualmente espongo nella galleria online Saatchi Art, ma mi piacerebbe che a Pisa ci fossero più luoghi d’incontro e scambio di idee – sinonimo di crescita personale - tra amanti dell’arte, della musica, del teatro, del cinema…”. Ecco, tornando un passo indietro, quando è nata la tua passione per l’arte? “Disegno fin da quando ero bambino. Ho iniziato ricopiando le immagini dei fumetti di Tex Willer e Dylan Dog, che agli inizi mi sembravano irraggiungibili! La scelta di frequentare la scuola d’arte di Messina, quindi, è venuta da sé, e poi l’Accademia. Tuttavia, i loro metodi di insegnamento molto limitanti della creatività personale, hanno fatto sì che terminassi gli studi come tecnico audiovisivo. È proprio il lavoro di operatore, e poi di regista che mi ha fatto approdare a Pisa. Lavorare per la TV mi piaceva molto, ma presto ho capito che la mia strada era un’altra: avevo la sensazione che qualunque cosa facessi sentivo il bisogno di dare qualcosa agli altri. Sentivo una voglia di creare che non riuscivo a fermare. Già da piccoli, secondo me, si ha un impatto con quello che si farà nella vita. La pittura è sempre stata una passione, mi è sempre riuscita automaticamente. Se non faccio qualcosa che non riguarda questo ambito, muoio! Certo, all’inizio è stata dura, lasciare il lavoro e tutto il resto, ma grazie alla comprensione e al supporto che ho sempre avuto da parte di mia moglie, oggi sono in grado di dire che si può vivere di arte, lavorando e impegnandosi molto”. Questa tua irrefrenabile passione diventa tangibile osservando ciò che dipingi. Agli inizi del tuo percorso artistico, ti sei avvicinato a qualcuno dei grandi maestri del passato? “Ho compiuto un percorso classico, cercando fin da subito di trovare una mia identità. Ci vuole lo studio del passato, ma occorre andare oltre, altrimenti si esce dall’Accademia ritrovandosi spiazzati e disorientati. Inizialmente, puntavo tutto sul curare la tecnica. Ho iniziato a dipingere guardando al realismo e all’iperrealismo, creando figure che fossero esattamente delle fotografie, ma al contempo amavo tantissimo i Surrealisti, di cui ho cercato di capire quale fosse la loro forma d’arte e il perché soprattutto. Vorrei che le persone si chiedessero il perché delle mie opere, andando oltre l’immagine per coglierne il pensiero retrostante”.
Si nota una reminiscenza di Salvador Dalí nelle tue tele, soprattutto nella scelta dei colori e negli sfondi della serie “La danza dell’Universo”, di recente elaborazione. Come è nata e che cosa vuole comunicare allo spettatore? “La danza dell’Universo nasce più dalla parte spirituale dell’uomo, che da quella materiale, tra l’altro in questo periodo mi sto dedicando alla lettura di Castaneda e Sibaldi, che sono proprio su questa linea. Ho cercato di dare un’immagine figurativa e non astratta - non sono un grande amante dell’astrattismo puro - di dare un senso alle forze che ci circondano, all’Universo. Tuttavia, sto già passando ad altro, attraverso numerose prove ad acrilico su cartoncino - secondo il mio consueto modo di procedere - una sorta di unione tra astratto e figurativo, in cui la figura è presente, appunto, ma è quasi impercettibile, accompagnata da un’astrazione, quindi da una parte molto moderna, che potrebbe essere un richiamo all’anima, allo spirito delle persone. I colori sono fondamentalmente primari, costituendo la parte principale dell’immagine, mentre lo sfondo è ipotetico… ancora non so dove mi porterà tutto questo! Spesso ho abbracciato un progetto per poi abbandonarlo in itinere. La maggior parte delle idee su cui mi fermo sono proprio quelle che inizialmente non riesco a capire, ma cerco di portarle avanti, in quella che secondo me è la parte più bella della realizzazione di un lavoro, più creativa, quella che i greci chiamavano dáimon. Molte idee, poi, mi vengono la notte quando dormo, e al risveglio certo di rammentarle e fissarle su carta, come un sogno che sbiadisce al mattino, ma che cerchi di afferrare e trattenere”.
C’è grande eterogeneità nella tua scelta dei soggetti, come in quella della tecnica da impiegare, dalla lavorazione ad aerografo alla pittura a olio. Costante è, tuttavia, la ricerca della resa del movimento. “Sì, mi piace molto dare un senso di moto, che spesso si ottiene con il suo contrario, cioè attraverso la staticità dell’immagine. L’immagine statica rappresenta il momento in cui il pensiero si ferma su un oggetto, come se lo sfondo fosse la mente, e l’oggetto – liberamente interpretabile – il pensiero che si è appena formato. In questo sono stato influenzato dai miei studi e dal mio lavoro nell’ambito della televisione”.
Come vorresti che il pubblico reagisse, dinanzi a un tuo dipinto? “Mi aspetto sempre che le mie opere siano capaci di dare un’emozione, poco importa se positiva o negativa. Se un lavoro non dà emozioni, è un lavoro morto e fine a se stesso”. Una grande passione che senti di dover trasmettere. Quali sono, quindi, i tuoi progetti per il futuro? “A breve mi trasferirò in un nuovo studio, con lo scopo di aprirlo a tutti coloro che non hanno la possibilità di iscriversi in una scuola d’arte. Vorrei dare vita a una sorta di scuola, ma senza necessariamente un riscontro economico, in cui poter promuovere la creatività personale, prima di tutto, sarebbe il mio sogno! E se si ha un sogno, lo si deve portare avanti”.
Francesco Raffa è costantemente attivo nel promuovere la sua arte, anche attraverso il suo blog e i social network:
Immagini gentilmente concesse dall’artista Foto di Eva Dei
1 Commento
17/10/2017 18:33:29
grande Francesco , sono contento di te si vede che i miei insegnamenti ti sono serviti, avanti cos'ì. ciao
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