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1/8/2016

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Democratici e Repubblicani hanno finalmente un candidato, ma alle Convention non sono mancate le sorprese
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di Alessandro Ferri
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A meno di cento giorni dalle elezioni dell’8 novembre, i due partiti che si dividono il consenso della maggioranza degli americani, Repubblicani e Democratici, hanno compiuto la propria scelta, individuando in Donald Trump e Hillary Clinton i candidati alla presidenza degli Stati Uniti. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a scelte fuori dalle consuetudini.
Trump, benché amatissimo dagli elettori delle Primarie, non è mai riuscito a compattare attorno a sé il Grand Old Party (cioè i Repubblicani), e ha pronunciato di frequente dichiarazioni che avrebbero rapidamente posto fine alla carriera di un politico americano, appena pochi anni fa. Come si può pronunciare affermazioni sessiste, omofobe, razziste e poi rivendicarle con orgoglio? La logica del politically correct è stata presa a ceffoni dal magnate newyorkese, che ha fatto un vanto delle proprie intemperanze e fin qui le ha trasformate in consensi.
La scelta della Clinton da parte del partito dell’asinello (i Democratici) è stata senza dubbio più scontata, anche perché era la favorita già otto anni fa, quando un misconosciuto senatore dell’Illinois la batté a sorpresa dietro la spinta di centinaia di attivisti. L’effetto Obama non si è ripetuto con Bernie Sanders, il suo attempato rivale dalle idee socialiste. Anche i più delusi elettori democratici non possono negare che la candidatura di una donna, per quanto moderata e “con le mani in pasta” da decenni, sia una svolta di straordinaria importanza. Dopo un presidente nero, un presidente donna confermerebbe l’evoluzione demografica degli USA, stato in cui le minoranze sono sempre più rappresentate. “Abbiamo rotto il soffitto di cristallo”, ha dichiarato la Clinton al momento di accettare la nomination alla Convention di Philadelphia, ultimo passo delle Primarie e primo delle elezioni presidenziali. Vediamo i momenti salienti di entrambi gli appuntamenti.
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La Convention democratica. In mezzo ai palloncini e agli striscioni, si è parlato anche di politica.
La Convention repubblicana di Cleveland si è svolta tra il 18 e il 21 luglio. Tra i suoi momenti più intensi, non tanto la nomina di Mike Pence – anonimo governatore dell’Indiana – a vicepresidente di Trump, ma soprattutto l’incredibile discorso di Ted Cruz la sera del 20 luglio. Cruz era stato il concorrente più pericoloso per Trump, e si era ritirato dalle Primarie solo nel mese di maggio. Alla Convention, ci si aspettava che pronunciasse un discorso di riconciliazione, con il classico invito all’unità del partito e a sostenere il candidato legittimamente scelto dagli elettori. Niente di tutto questo: nonostante le aspettative dei delegati, Cruz ha invitato gli elettori a votare secondo coscienza (cioè: “fate come vi pare, ma non votate Trump”), attirandosi l’odio della platea e concludendo il suo discorso tra i fischi. Una scena così incredibile è andata in onda in tutte le TV americane in prima serata, e lascia intendere che Trump non dovrà guardarsi solo dai democratici, ma anche dall’opposizione “interna”.

If you love our country, and love your children as much as I know that you do, stand and speak and vote your conscience, vote for candidates up and down the ticket who you trust to defend our freedom and to be faithful to the Constitution.

«Se amate il nostro paese, e amate i vostri figli come so che fate, alzatevi e parlate e votate secondo coscienza, votate per i candidati che confidate difendano la nostra libertà e siano fedeli alla Costituzione».
 
La Convention democratica, svoltasi a Philadelphia tra il 25 e il 28 luglio, ha visto alternarsi momenti retorici notevoli a situazioni imbarazzanti, create perlopiù dai sostenitori di Bernie Sanders. Al grido di Bernie or bust, “Bernie o niente”, i più agguerriti non hanno voluto dare ascolto neanche al proprio beniamino, che ha pronunciato un discorso molto teso in cui sotterrava l’ascia di guerra e riconosceva la vittoria di Hillary, invitando l’intero partito all’unità. Nonostante la matematica gli desse torto da tempo (i suoi voti alle primarie non erano sufficienti alla conquista della nomination già da maggio), Sanders ha aspettato solo la Convention per esprimersi. Se poi c’è ancora qualche “giapponese” che lo vorrebbe candidato dopo il suo ritiro, capite il motivo: Sanders ha aizzato le folle per mesi contro la Clinton e non può certo aspettarsi che si plachino con uno schiocco di dita. In effetti, un grande colpo di scena si è verificato il primo giorno: la presidente del Partito Democratico Debbie Wasserman-Schultz – personaggio misconosciuto, perché in America i funzionari di partito contano pochissimo, e tutto è nelle mani dei candidati – ha rassegnato le dimissioni, in quanto Wikileaks aveva pubblicato delle email riservate da cui emerge che durante le Primarie i Democratici manovravano a favore della Clinton. Niente di illegale, ma certamente di poco opportuno. La sostituta, l’altrettanto sconosciuta Donna Brazile, ha chiesto scusa a Sanders, che si è detto contento sia delle scuse sia delle dimissioni della Wasserman.
Il 27 luglio, il cinquattottenne senatore della Virginia Tim Kaine è stato formalmente candidato alla vicepresidenza. Personaggio abbastanza opaco, è stato scelto proprio per non oscurare la candidata presidente. Dalla sua ha l’esperienza e il fatto di venire da uno stato del Sud, regione dominata da quarant’anni dai Repubblicani (il che potrebbe aiutare).
Dicevamo dei momenti retorici: in casa democratica hanno parlato alcuni dei più esperti affabulatori della scena politica americana, dal vicepresidente uscente Joe Biden a Bill Clinton, da Barack Obama all’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che era indipendente ma odia così tanto Trump da essersi schierato per Hillary. Il momento più bello non è stato il discorso della candidata, ma quello di una donna giovane, energica e amata dagli elettori. La first lady Michelle Obama, da molti vista come possibile candidata alla presidenza tra qualche anno, ha pronunciato un discorso applauditissimo in cui ha attaccato lo slogan della campagna di Trump: make America great again, “rendi nuovamente grande l’America”. Secondo Michelle, il fatto stesso che lei, afroamericana, viva alla Casa Bianca, un edificio costruito da schiavi, è la prova che l’America è ancora grande.

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...this November, when we get to the polls, that is what we are deciding. Not Democrat or Republican, not left or right. In this election, and every election, it is about who will have the power to shape our children for the next four or eight years of their lives. [...] I wake up every morning in a house that was built by slaves. And I watch my daughters - two beautiful intelligent black young women - play with the dog on the White House lawn. And because of Hillary Clinton, my daughters and all of our sons and daughters now take for granted that a woman can be president of the United States. Don't let anyone ever tell you that this country is not great. That somehow we need to make it great again. Because this right now is the greatest country on Earth.
«È questo ciò che decideremo questo novembre, quando ci recheremo alle urne. Non i Democratici o i Repubblicani, la sinistra o la destra. In questa elezione, e in ogni elezione, si decide chi avrà il potere di plasmare i nostri figli per i prossimi quattro o otto anni delle loro vite. Mi sveglio ogni mattina in una casa che fu costruita da schiavi. E vedo le mie figlie – due belle e intelligenti ragazze nere – giocare con il cane sul prato della Casa Bianca. E grazie a Hillary Clinton, le mie figlie e tutti i nostri figli e figlie ora sono certi che una donna può essere il Presidente degli Stati Uniti. Non permettete a nessuno di dirvi che questa nazione non è grande. Che in qualche modo abbiamo bisogno di renderla grande di nuovo. Perché questa, adesso, è la più grande nazione al mondo».
 
Fonti e approfondimenti
  • La sempre utilissima newsletter settimanale di Francesco Costa, vicedirettore del Post, http://francescocosta.us13.list-manage.com/subscribe?u=b47c450f70a1aafeb6c766f01&id=0d76d9b540;
  • [inglese] la trascrizione del discorso di Ted Cruz a Cleveland, http://abcnews.go.com/Politics/full-text-ted-cruzs-2016-republican-national-convention/story?id=40768272;
  • Il discorso di accettazione della nomination di Donald Trump, http://www.ilgiornale.it/news/cronache/discorso-candidato-repubblicano-1288266.html (qui, in inglese, il fact-checking: http://www.factcheck.org/2016/07/factchecking-trumps-big-speech/);
  • [inglese] la trascrizione del discorso di Michelle Obama a Philadelphia, http://www.independent.co.uk/news/world/americas/michelle-obama-speech-in-full-dnc-2016-barack-hillary-clinton-democratic-party-us-election-a7156031.html;
  • Un riepilogo del discorso finale di Hillary Clinton, http://www.panorama.it/news/esteri/hillary-clinton-il-discorso-finale-per-la-presidenza-usa/ (qui, in inglese, il fact-cheking: http://www.factcheck.org/2016/07/factchecking-clintons-big-speech/);
  • [inglese] un sito con tutti i video e le trascrizioni delle Convention, https://www.c-span.org/convention/?party=dnc&day=1469602800.
 
Immagini
  • Donald Trump a Cleveland, foto tratta da http://media.salon.com/2016/07/aptopix-gop-2016-convention.jpeg7-620x412.jpg;
  • La convention democratica, foto tratta da https://www.flickr.com/photos/demconvention/28005334243/.

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