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1/8/2016

Contro il terrorismo? Un po' di Prozac

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di Matteo Leoni

Il titolo di questo articolo, che di per sé può sembrare una battuta, in realtà rappresenta quanto leggiamo sui media relativamente ai terroristi che hanno commesso le ultime stragi.
Andando per ordine, si parte con la strage di Nizza, e con i presunti problemi di depressione, alcolismo, vita sessuale sregolata e quant’altro, che sono stati riferiti sul conto del franco-tunisino che ha travolto centinaia di persone sulla Promenade des Anglais. Si prosegue con la strage che per poco non si è consumata sul treno a Wurzburg, in Germania, in cui un afghano richiedente asilo ha tentato di accoltellare dei poveri malcapitati a colpi di ascia, fortunatamente non uccidendo nessuno. Anche qui si è parlato di un ragazzo disagiato, con problemi di ambientamento nella realtà tedesca. Per non parlare dei fatti di Ansbach, dove un siriano, anch’esso richiedente asilo la cui domanda era stata respinta, stava per farsi esplodere ad un concerto nella piazza locale. La prontezza del personale di sicurezza e il fatto che non avesse il biglietto per il concerto (fortunatamente non era una cima in quanto ad organizzazione) hanno evitato il peggio e indotto il ragazzo a ripiegare su una via laterale. Pare che fosse depresso, in precedenza non mostrava segni di radicalizzazione, aveva sofferto maltrattamenti in Bulgaria e quant’altro. Sui due attentatori di Rouen è stato invece detto poco, si sa che uno di loro aveva 19 anni, aveva provato ad andare in Siria, era stato in carcere, ma fino alla strage di Charlie Hebdo non dava segni di radicalizzazione.
Nel mezzo abbiamo la strage di Monaco, in cui Aly Sonboly, il ragazzo che ha ucciso a colpi di pistola 10 persone, compreso sé stesso, risultava essere stato in cura, mostrava disturbi della personalità e altri elementi che fanno effettivamente pensare al gesto di un pazzo. In questo caso la matrice però non era in nessun modo islamica.
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Quello che rimane dopo queste stragi, oltre al senso di smarrimento e insicurezza che permea la popolazione, è quindi l’idea, rilanciata da molti organi di stampa, che la maggior parte dei responsabili di questo genere di stragi lo abbia fatto perché disagiato, emarginato, depresso. Un soggetto che ha trovato una forte valvola di sfogo nel terrorismo di matrice jihadista. Evidenziamo subito una cosa. E’ impensabile risolvere il problema del fondamentalismo a base di Prozac, Daparox o qualunque altro medicinale.
Il semplicismo con cui viene affrontato nelle ultime due settimane il problema della lotta al terrorismo lo trovo fortemente limitante e superficiale. Dirò di più, da studente di medicina, lo trovo addirittura offensivo nei confronti delle milioni di persone che in Europa sono sotto trattamento psichiatrico, oppure lo sono stati, in quanto tali analisi spicciole e fuorvianti sulla presunta sanità mentale dei jihadisti generano, a mio avviso, una profonda paura in ampie fasce di popolazione ignorante in materia. Il cittadino medio che guarda il telegiornale e si ciba delle notizie che gli vengono somministrate senza porsi delle domande, percepisce più o meno consciamente nel soggetto che è in cura ad esempio per la depressione (e sono tantissime persone solo in Italia) un potenziale pericolo sociale. Il ragionamento più sbagliato che possa essere fatto in questo caso è nella consequenzialità “persona più o meno normale di religione musulmana”-“disturbo psichiatrico”-“necessità di una valvola di sfogo”-“radicalizzazione”.

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Proverò ora a spiegare il perché ritenga tutto questo non solo errato, ma addirittura dannoso per la lotta al terrorismo. Partiamo dal presupposto che l’emarginazione o il disagio socio-economico non è l’unico fattore che può condurre una persona al jihadismo. Uno degli organizzatori della strage di Parigi era figlio di un commerciante benestante di tappeti di Bruxelles, per esempio.
Dall’altra parte c’è il problema del disagio psichico. E’ evidente che una persona che lascia tutto per andare a cercare la morte nei territori controllati dall’IS, non sta del tutto bene. I motivi che stanno alla base della radicalizzazione sono da ricercare però non tanto in disturbi della personalità o di tipo depressivo. I giovani che in loco o altrove aderiscono allo Stato Islamico sono soggetti caratterialmente deboli, talvolta dei falliti nella vita reale, che subiscono il fascino perverso della propaganda jihadista. Loro stessi percepiscono nella copertura jihadista una maschera eroica ed affascinante che possono indossare a piacimento, per sentirsi importanti, talmente padroni della propria vita da cercare la morte per sé e per gli altri. Questo è completamente diverso dal profilo di un soggetto fortemente depresso, che al contrario tende ad isolarsi ed eventualmente cerca di togliersi  la vita da solo, non giustificando nella lotta contro un qualsiasi tipo di oppressione la motivazione del suo gesto.
Il lavaggio del cervello a cui sono stati sottoposti tali jihadisti da certi Imam è fondamentale, ma spesso molti di loro si sono radicalizzati sul web, dove ricercano in modo spasmodico video di esecuzioni e dove possono condividere con facilità, con altri adepti, pensieri, informazioni, farneticazioni. L’idea di fare qualcosa di illegale, pericoloso e temuto, probabilmente aiuta nella loro idea di essere importanti, quando il mondo reale al contrario li avrebbe già scartati. Non sono nemmeno così convinto che questi credano davvero al fatto che uccidendo quanti più “infedeli”possibile, inermi ed innocenti, vadano in paradiso.
Sto parlando quindi di soggetti deboli e indottrinati, non necessariamente psicopatici o depressi.
La figura del jihadista è del resto eterogenea, e questo viene ben evidenziato nel libro “Dentro l’IS” , del giornalista tedesco Jurgen Todenhofer, che analizza alcune figure di jihadisti nostrani. Spesso islamici di seconda o terza generazione, uno addirittura tedesco convertito. L’ideologia che sta dietro ai vari gruppi combattenti  è variegata e non sempre fa riferimento a quella dell’IS. Si va dall’elemento “redentorio”, in cui un individuo che afferma di aver passato la sua vita immerso nel peccato possa redimersi andando ad uccidere persone in nome di Allah, a quello che lo fa perché sente la necessità di vivere dove vige la Sharia. Tra tutti i personaggi intervistati nel volume non ne ho trovato uno solo che corrisponda alla figura del paziente depresso, solo, emarginato. Tutt’al più del soggetto debole psicologicamente e facile all’illusione, ricollegandomi a quanto detto prima.
Quello che è necessario quindi evitare è quindi l’equiparazione tra malattia mentale e fondamentalismo, tra disturbo psichico e jihadismo, che ultimamente un po’ troppe volte viene fatta, anche grazie alle tempestive, quasi euforiche, rivendicazioni dell’IS stesso, che, in difficoltà sul campo, sarebbe pronto a rivendicare anche un furto di gelati se questo facesse il gioco della sua propaganda. I fatti degli ultimi mesi, concludendo, sono il frutto di politiche enormemente sbagliate da parte dei nostri governi e dal pressappochismo che regna nella nostra società. Questi sono elementi che con la retorica del “gesto dello squilibrato”, per sua natura imprevedibile, minimizzano il problema, quasi a sperare che l’ondata passi, fornendo una buona copertura agli errori dei vari apparati decisionali  senza riuscire ad arginare effettivamente il problema in questione, ma arrecando indirettamente danno a chi un disturbo ce l’ha davvero ma mai penserebbe a farsi saltare in aria.


Immagini tratte da:
- http://www.cronacadiretta.it/files/news/2014/12/prozac-007.jpg
- http://i0.wp.com/www.lindro.it/wp-content/uploads/sites/4/2016/07/Germania-  ansbach.jpg?resize=597%2C336
- http://www.rsi.ch/news/mondo/Ansbach-esplosione-al-concerto-morto-lattentatore-7788836.html/ALTERNATES/FREE_480/Ansbach,%20esplosione%20al%20concerto,%20morto%20l'attentatore



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