L’insediamento del 45° Presidente degli Stati Uniti d’America
Anche otto anni fa (20 gennaio 2009) a Washington faceva molto freddo. Ma non abbastanza da fermare le centinaia di migliaia di persone accorse ad assistere all’insediamento di Barack Obama, quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Venerdì scorso, diciamo che il freddo è stato più forte di qualsiasi fiducia nel nuovo Presidente, Donald John Trump. In realtà, le folle che salutavano Obama come un eroe non sono sparite, ma hanno cambiato posizione: la Women’s march on Washington del giorno seguente all’insediamento avrebbe attirato almeno 500.000 persone non convinte dal nuovo Presidente. Ma torniamo alla cerimonia d’insediamento. Il discorso di Trump è stato passionale e schierato come ai tempi della campagna elettorale, smentendo quanti confidavano in una “normalizzazione” del Presidente. Prima di leggerne i momenti salienti, diamo uno sguardo alla tag cloud del discorso. Come era prevedibile, le parole più ricorrenti sono America e American. A seguire, le fondamenta del successo politico del magnate statunitense: people, country, great, back. Il popolo, la nazione, la grandezza (perduta) e il ritorno a un’epoca in cui gli Stati Uniti “non perdevano posti di lavoro a causa della concorrenza dei paesi stranieri”. Il programma perfetto per un candidato che si è rivolto in primo luogo alla classe operaia e media bianca, attaccando volutamente quelle minoranze che erano state l’elettorato di riferimento del predecessore. Noi, cittadini americani, siamo uniti in un grande sforzo nazionale per ricostruire il nostro paese e recuperare la sua promessa per tutti noi. Insieme, orienteremo il corso dell’America e del mondo per molti, molti anni a venire. Affronteremo sfide. Sarà difficile, ma ce la faremo. […] La cerimonia di oggi ha un significato particolare, perché oggi non stiamo semplicemente trasferendo il potere da un’Amministrazione a un’altra, o da un partito a un altro, ma stiamo trasferendo il potere da Washington per restituirlo a voi, il popolo. Il discorso è proseguito con l’argomento principe delle arringhe populiste: fino a oggi, la classe politica si è arricchita a spese degli elettori. Tutto questo cambia a partire da qui e ora, perché questo momento è il vostro momento. Appartiene a voi. Appartiene a chiunque è riunito qui oggi e chiunque ci sta guardando in tutta l’America. È il vostro giorno. È la vostra festa. E questi, gli Stati Uniti d’America, sono la vostra nazione. Quello che conta non è quale partito controlla il governo, ma se il governo è controllato dal popolo. Il 20 gennaio 2017 sarà ricordato come il giorno in cui il popolo è tornato di nuovo a comandare la nazione. Uomini e donne dimenticate di questo paese non lo saranno più. Se c’è una cosa del programma del nuovo Presidente che lo distingue rispetto alla tradizionale politica del partito repubblicano, è il rifiuto di un impegno attivo, sul piano economico e su quello strategico-militare, nel resto del mondo. La NATO è superata; i trattati transatlantici e transpacifici sono dannosi. Una politica decisamente lontana da quanto accaduto negli ultimi decenni, con effetti ancora imprevedibili sul piano dell’economia globale. Per decenni abbiamo arricchito l’industria estera a spese di quella americana, sovvenzionato gli eserciti di altri paesi mentre permettevamo il triste esaurimento del nostro. Abbiamo difeso i confini delle altre nazioni mentre ci rifiutavamo di difendere i nostri, e speso migliaia di miliardi di dollari oltreoceano mentre le infrastrutture americane cadevano in rovina. […] Siamo riuniti qui oggi per stabilire un ordine che dovrà essere udito in ogni città, in ogni capitale straniera, e in ogni stanza del potere: da oggi in poi, una nuova visione governerà la nostra terra. Da oggi in poi, l’America sarà al primo posto. L’America al primo posto. Ogni decisione su accordi commerciali, tasse, immigrazione, affari esteri sarà compiuta per beneficiare i lavoratori e le famiglie americani. Dobbiamo proteggere i nostri confini dalle devastazioni di altri paesi che fanno prodotti uguali ai nostri, ci rubano le aziende e distruggono i nostri posti di lavoro. Il protezionismo creerà prosperità e forza. “Compra americano, assumi americano” è il mantra della politica economica trumpista, e le polemiche sul presunto razzismo del presidente vanno stemperate perché “che siamo neri o marroni o bianchi, abbiamo lo stesso sangue da patrioti, godiamo delle stesse gloriose libertà e salutiamo la stessa grande bandiera americana”. Allora a tutti gli americani, di ogni città vicina e lontana, piccola e grande, da montagna a montagna, da oceano a oceano, ascoltate queste parole: non sarete mai più ignorati. La vostra voce, le vostre speranze e i vostri sogni definiranno il nostro destino americano. E i vostri coraggio e bontà e amore saranno per sempre la nostra guida. Insieme renderemo l’America di nuovo forte. Renderemo l’America di nuovo ricca. Renderemo l’America di nuovo orgogliosa. Renderemo l’America di nuovo sicura. E, sì, insieme, renderemo l’America di nuovo grande. Prima di lasciarvi, un aggiornamento sulle notizie di cui abbiamo parlato la scorsa settimana. Antonio Tajani è stato eletto Presidente del Parlamento Europeo. Il PPE, quindi, governa le tre principali istituzioni dell’Unione Europea, mentre il PSE è rimasto all’asciutto. A Londra, Theresa May ha annunciato, in modo non perfettamente limpido, che il suo obiettivo è la clean Brexit, ossia la hard Brexit: fuori da Unione e mercato comune, recuperando un ruolo di protagonista a livello globale. Il come è tutto da chiarire. Immagini tratte da:
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Novembre 2020
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