Piccola guida all'impegnativa ricerca dei candidati alla Presidenza ![]() di Alessandro Ferri ![]() Oggi parleremo di politica americana. Come sapete, martedì 8 novembre 2016 gli elettori statunitensi saranno chiamati a scegliere il quarantacinquesimo Presidente dell’Unione, successore di Barack Obama. Ad oggi non sappiamo ancora chi si contenderà l’elezione, perché i principali partiti politici americani, i Democratici (blu, con il simbolo di un asinello e di tendenze progressiste) e i Repubblicani (rossi, con il simbolo dell’elefante e di tendenze conservatrici) stanno affrontando la campagna per le Primarie. A ben vedere, parlare delle Primarie non è solo un modo per conoscere il leader che avrà, se non le redini (al giorno d’oggi l’influenza degli Stati Uniti è inferiore a qualche anno fa), perlomeno un ruolo determinante nel definire gli assetti geopolitici mondiali. È anche un modo per conoscere un meccanismo raffinatissimo di selezione della classe dirigente che funziona da secoli, mentre da noi iniziative simili accusano già il peso degli anni. Com’è noto, le primarie si svolgono all’inizio dell’anno delle elezioni presidenziali (quindi ogni quattro anni, se i mandati non si concludono in anticipo), secondo un impegnativo calendario che si apre con l’Iowa nel mese di gennaio. Ogni stato assegna, con metodi diversi (caucus, cioè assemblee in cui si dichiara pubblicamente il proprio candidato, primarie, in cui si scrive la propria preferenza su una scheda, come alle elezioni “vere”, o conventions, simili ai congressi locali dei nostri partiti), un certo numero di delegati, calcolato sulla base del numero di abitanti e/o di iscritti al partito. Durante l’estate, i due partiti organizzano delle maestose conventions in cui il candidato che ha ottenuto il maggior numero di delegati, diviene il candidato presidenziale. Non sempre il candidato ritenuto vincente dalla stampa è quello che poi ottiene effettivamente la nomination: Barack Obama, nel 2008, era un misconosciuto senatore di Chicago, e in pochi avrebbero creduto alla sua vittoria sulla potentissima Hillary Clinton, già first lady tra il 1992 e il 2000. Il fatto è che il meccanismo itinerante delle primarie fa sì che candidati meno conosciuti possano acquistare consensi via via che le settimane passano. È un po’ quello che sta accadendo quest’anno: in un primo momento, larga parte degli analisti era convinto in un ampio successo della Clinton tra i Democratici e di Jeb Bush (fratello minore di George W. Bush, presidente tra il 2000 e il 2008, e figlio di George H. W. Bush, presidente tra il 1988 e il 1992) tra i Repubblicani. A poco più di un mese di distanza dall’inizio delle primarie, il ritiro di Jeb Bush, incapace di attirare consensi nonostante gli ingenti finanziamenti ricevuti, ha reso impossibile lo scenario di una sfida Bush-Clinton per la presidenza, come nel 1992. ![]() Ad emergere con forza tra i Repubblicani sono stati tre candidati: il magnate Donald Trump, il candidato della destra evangelica Ted Cruz e il leggermente più moderato Marco Rubio. Il fatto che i due oppositori di Trump siano entrambi figli di esuli cubani, lascia capire l’importanza della comunità latina negli USA. Benché ricchissimo, Trump è riuscito sin qui a condurre una campagna a costi contenuti, in virtù della sua straordinaria abilità di creare scandalo e di occupare i media, senza aver bisogno di acquistare spot elettorali. Il successo della sua candidatura, avversata da influenti esponenti del suo partito (nonché da Papa Francesco), contraddice l’usuale meccanismo delle primarie americane, ossia la tendenza a selezionare il candidato più moderato, perché in grado di mettere d’accordo la maggior parte del partito. Trump è orgogliosamente estremista, e propone perfino di “risolvere” la questione dell’immigrazione attraverso la costruzione di un muro lungo la frontiera messicana… da far pagare interamente al Messico. ![]() L’inversione di tendenza in casa repubblicana ha avuto effetti anche tra i Democratici: la strada di Hillary è stata accidentata, e alcuni hanno paventato la possibilità che si ripeta per lei la débâcle del 2008. A contrapporsi alla moglie dell’ex presidente Clinton è un anziano senatore del Vermont, Bernie Sanders, che rivendica con orgoglio l’adesione al socialismo (cosa incomprensibile ai più, in terra di capitalismo) e riforme avanzatissime, come un sistema sanitario nazionale alla maniera europea e l’Università gratuita. Il fatto che l’eventuale candidatura di Sanders appaia agli analisti come assai rischiosa (perfino contro Trump), non ha impedito alla base democratica di seguirlo con passione, al punto che ancora oggi la moderata Hillary non può dirsi al sicuro. Immagini tratte da:
Barack Obama, ritratto ufficiale di Pete Souza, da Wikipedia, pubblico dominio. Donald Trump, di Michael Vadon - Own work, da Wikipedia CC BY-SA 4.0 Bernie Sanders, di Michael Vadon - US Senator of Vermont Bernie Sanders in Conway NH on August 24th, da Wikipedia, CC BY-SA 2.0 Logo Hillary for America, da Hillary for America - hillaryclinton.com, da Wikipedia, pubblico dominio.
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Novembre 2020
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