Un vademecum sul referendum costituzionale del 4 dicembre
Questa domenica si decide il futuro dell’Italia. Una vittoria al referendum dei “Sì” o dei “No”, non avrà solamente effetto sulla nostra Costituzione, ma anche sugli equilibri politici nazionali. Una maggioranza di “Sì” garantirebbe a Matteo Renzi un aumento verticale del consenso (dentro il partito e dentro il governo), mentre una vittoria del “No” potrebbe danneggiarlo fortemente, benché sembrerebbero da escludere sue dimissioni immediate. I toni furiosi della campagna elettorale, tutta fondata sull’idea che si debba dire “Sì” o “No” a Renzi e alla sua politica, hanno fatto dimenticare che questo è un referendum costituzionale: andiamo a votare le regole del gioco. Se ci sta bene la proposta di modifica, voteremo “Sì”; se preferiamo la Costituzione così com’è oggi, voteremo “No”. Noi del Termopolio vogliamo proporvi un ripasso sintetico delle ragioni dell’uno e dell’altro schieramento, così da aiutarvi nella scelta. « Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016? » Il referendum è stato indetto sulla base dell’articolo 138 della Costituzione, che stabilisce che una revisione costituzionale debba essere approvata dalla popolazione qualora ne facciano richiesta almeno 500.000 cittadini, un quinto dei membri di Camera o Senato o almeno 5 consigli regionali. Trattandosi di un referendum costituzionale, non è previsto quorum: a prescindere dal numero dei votanti, passerà l’opzione che ha ottenuto un voto in più. Nel 2001 e nel 2006 si sono tenuti altri due referendum di questo tipo: nel primo caso, a fronte di un’affluenza del 34%, furono confermate le modifiche costituzionali (riguardanti la riforma del Titolo V); cinque anni più tardi, con il 52,5% di affluenza prevalsero i “No”, abrogando la riforma promossa dal governo Berlusconi. La riforma costituzionale pubblicata in Gazzetta Ufficiale ad aprile è nota come “Riforma Boschi”, dal nome del ministro Maria Elena Boschi. Il referendum non riguarda la legge elettorale, che – ricordiamo – è una legge ordinaria e non compare in Costituzione. Attualmente, il premier Renzi si è detto favorevole a modificare la legge elettorale, constatando la contrarietà all’Italicum di una parte consistente del suo stesso partito. Ma torniamo alla riforma, di cui cercheremo di riepilogare gli aspetti principali. Anzitutto, la riforma intende superare il bicameralismo perfetto, ossia il fatto che in Italia le leggi debbano essere approvate nella stessa identica forma sia dalla Camera, sia dal Senato, e la fiducia ai governi deve essere conquistata in entrambi i rami del Parlamento. Con la riforma, la Camera – che diventerebbe l’unico organo eletto direttamente dai cittadini – sarebbe l’unica assemblea a dare la fiducia e a votare le leggi ordinarie. Il Senato, chiamato “Senato delle Regioni”, sarebbe costituito da 100 senatori (invece che 315), 95 dei quali scelti tra i sindaci (1 per regione, più le province di Bolzano e Trento) e i consiglieri regionali (74). Il mandato dei senatori sarebbe uguale all’incarico già in corso nei comuni o nelle regioni, per cui le maggioranze in Senato potrebbero cambiare considerevolmente in occasione delle elezioni amministrative; non ci sarebbe un’indennità aggiuntiva, ma si percepirebbe solo lo stipendio dell’ente locale. I 5 senatori rimanenti sarebbero scelti dal Presidente della Repubblica per meriti particolari e avrebbero un mandato di 7 anni (non esisterebbero dunque più i senatori a vita). Il Senato delle Regioni potrebbe proporre modifiche alle leggi approvate dalla Camera, che non sarebbe comunque tenuta a dargli ascolto. I senatori parteciperebbero tuttavia all’elezione del Presidente della Repubblica, del CSM e della Corte Costituzionale. Sarebbe abolito il CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro), che attualmente è composto da 64 consiglieri e ha svolto il ruolo conferitogli dalla costituzione, cioè di proporre leggi in materia economica, appena 14 volte in sessant’anni. Sarebbe riformato il Titolo V della Costituzione, cioè quello che si occupa delle competenze di stato e regioni. Tornerebbero di pertinenza statale materie come ambiente, gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni. La riforma abolisce il quorum del 50% +1 nei referendum abrogativi: se la consultazione è richiesta da almeno 800.000 cittadini, sarà sufficiente che si rechino alle urne la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche. Si potranno proporre leggi di iniziativa popolare raccogliendo 150.000 firme (anziché le attuali 50.000), ma la Camera avrà l’obbligo di discuterle. Inoltre saranno introdotti in Costituzione i referendum propositivi e di indirizzo. Con una maggioranza di “Sì”, le modifiche che abbiamo raccontato entreranno in vigore; in caso di vittoria del “No” la Costituzione rimarrebbe così com’è adesso. Vediamo le posizioni dei Comitati per il “Sì” e per il “No”. Chi dice “Sì” Voteranno “Sì” i partiti dell’area di governo o centristi (Centro Democratico, Italia dei Valori, MAIE, Nuovo Centrodestra, Partito Democratico, Partito Socialista Italiano, Scelta Civica) e alcune organizzazioni (CISL, Coldiretti, Confindustria). Il Comitato “Basta un Sì” ritiene che siano queste le ragioni per approvare la Riforma Boschi. La Riforma supererà il bicameralismo paritario, caso unico in Europa: la Camera dei Deputati darà e toglierà la fiducia al governo, il Senato rappresenterà le istanze e i bisogni di comuni e regioni. Tranne che per alcune limitate materie, la Camera approverà le leggi e il Senato avrà 40 giorni per discutere e proporre modifiche, su cui poi la Camera esprimerà la decisione finale. Verrà ridotto il numero dei parlamentari, perché i senatori elettivi passeranno da 315 a 95 e non percepiranno indennità; il CNEL verrà abolito; i consiglieri regionali non potranno percepire un’indennità più alta di quella del sindaco del capoluogo di regione e i gruppi regionali non avranno più il finanziamento pubblico; le province saranno eliminate dalla Costituzione. Il Parlamento avrà l’obbligo di discutere e deliberare sui disegni di legge di iniziativa popolare proposti da 150mila elettori; saranno introdotti i referendum propositivi e d’indirizzo; si abbassa il quorum per la validità dei referendum abrogativi (se richiesti da ottocentomila elettori, non sarà più necessario il voto del 50 per cento degli aventi diritto, ma sarà sufficiente la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche). La riforma del Titolo V farà sì che materie come le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia o la formazione professionale saranno di esclusiva competenza dello Stato. Alle Regioni saranno lasciate l’organizzazione sanitaria, il turismo e lo sviluppo economico locale. Chi dice “No” Si sono espressi a favore del “No” partiti di ogni schieramento (Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega Nord, Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà, Unione di Centro, Conservatori e Riformisti) e varie organizzazioni (ANPI, ARCI, CGIL, Cobas, CUB, FIOM, Italianieuropei, Libertà e Giustizia, Magistratura democratica, UGL, USB). Hanno aderito ai Comitati per il “No” anche alcuni esponenti del Partito Democratico, in particolare larga parte della minoranza interna (a partire da Massimo D’Alema). Il “Comitato Nazionale per il No” è stato costituito il 29 ottobre di un anno fa, sotto la guida dei costituzionalisti Alessandro Pace e Gustavo Zagrebelsky, e riassume così le sue perplessità sulla Riforma Boschi. La Riforma non supera veramente il bicameralismo, ma crea una situazione confusa con conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato. Inoltre non si otterrà la semplificazione che ci si aspetta, in quanto saranno moltiplicati fino a dieci i procedimenti legislativi e sarà incrementata la confusione. Il problema dei costi della politica è appena scalfito, perché i costi del Senato sono ridotti solo di un quinto. Se il problema sono i costi, perché non dimezzare i deputati della Camera? La Riforma conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari. La stessa partecipazione diretta dei cittadini ne risulterà limitata, in quanto sono triplicate le firme necessarie ai disegni di legge di iniziativa popolare (da 50.000 a 150.0000). La Riforma non è scritta in modo chiaro e non è legittima, perché è stata prodotta da un parlamento eletto con una legge elettorale (Porcellum) dichiarata incostituzionale; inoltre è stata scritta sotto dettatura del governo, e non autonomamente dal parlamento. La Riforma non garantisce la sovranità popolare, perché insieme alla nuova legge elettorale (Italicum), già approvata, espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri. Di conseguenza non è garantito l’equilibrio tra i poteri costituzionali, poiché gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) sono messi in mano alla maggioranza prodotta dal premio. Cosa succederà Se avessimo scritto questo articolo qualche mese fa, lo avremmo chiuso con un bel sondaggio per indicare l’umore dell’elettorato. Ma le ultime tornate elettorali ci hanno sconsigliato dal farlo, in quanto è emerso con chiarezza che ai sondaggisti non si dice più la verità. Le analisi pubblicate sui giornali fino al 19 novembre (giorno a partire dal quale la legge impone il silenzio sulle rilevazioni), suggerivano un fronte del “No” in vantaggio e un grande numero di indecisi. E se tutti questi andassero a votare, cosa voterebbero? Siamo poi sicuri che chi vota “Sì” lo dichiara prima? E se non volesse rivelare le proprie intenzioni, per timore di essere visto come un sostenitore del governo, sul quale magari ha delle perplessità? Quest’ultimo, a ben vedere, è il caso di molti elettori di centrodestra, che sostengono le modifiche costituzionali – Renzi stesso ha insistito sui punti di contatto tra la sua Riforma e quella approvata dal Centrodestra nel 2005 – ma non hanno in simpatia l’attuale governo. Ci vorrebbe una palla di cristallo, per capire l’andamento di questa domenica referendaria. Ne riparleremo a urne chiuse. Fonti
Immagini tratte da:
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Novembre 2020
Categorie |